Perché negano la
Shoah
Esponenti dei cattolici scismatici del cardinale Lefevre hanno abbracciato la
fede negazionista. I
moderati delle loro file invece di chiedere scusa alle vittime della shoah,
hanno chiesto scusa al
Benedetto XVI per aver disturbato il manovratore nel suo caritatevole tentativo
della quadratura del
cerchio: riaccogliere nel seno di Santa Madre Chiesa nemici giurati del Concilio
Vaticano Secondo
senza pretenderne il pentimento, essere amico degli ebrei continuando a
considerarli il popolo che
persevera nell’errore del rifiuto di Cristo e affermare la via cattolica come
unica verità possibile.
Dapiù parti si grida allo scandalo: perché? In fondo le uscite
negazioniste dei lefebvriani più onesti
sono una manifestazione di coerenza. Il papa che li ha espulsi dal seno della
Chiesa, Giovanni Paolo
II, affermò con forza che Auschwitz è il Golgota della nostra era. Ora, così
come duemila anni
prima sulla croce salì un ebreo, duemila anni dopo sulla «stessa» croce è salito
il popolo ebraico con
più di un milione di bambini. Su quella croce vi sono saliti anche Rom e
Sinti, antifascisti,
menomati, omosessuali, slavi, testimoni di Geova, vagabondi, prostitute,
ambulanti e delinquenti
comuni. Vi salirono anche cattolici e cristiani, ma non in quanto tali, solo
in quanto oppositori. I
carnefici nella stragrande maggioranza avevano ricevuto educazione cattolica o
cristiana. Questo
fatto innegabile rappresenta un buco nero nel processo plurisecolare di
evangelizzazione
dell’occidente e segnatamente dell’Europa delle radici cristiane. Wojtyla lo
aveva capito, anche i
lefebvriani lo sanno: per riaffermare senza ambiguità il «nulla salus
extra Ecclesiam», bisogna
azzerare il significato della Shoah, ovvero negarla con qualche artificio
dialettico. La palla passa nel
campo di Benedetto XVI: o i lefebvriani o gli ebrei, tertium non datur.
Moni Ovadia l'Unità 31 gennaio 2009