L'ultimo monito di
Foa "Impariamo a ricordare"
Il testo che qui pubblichiamo è parte di un'intervista rilasciata da Vittorio
Foa, scomparso tre mesi
fa, alla redazione del mensile "Una città", che ora l'ha raccolta in un dvd
disponibile su richiesta
(www.unacittà.it)
Quando è stata istituita la giornata della memoria, al principio ho avuto
qualche dubbio, più che per
i rischi della retorica, per l'imposizione esercitata sui ragazzi di ricordare
qualcosa a data fissa. Mi
pareva una specie di compito scolastico che non corrispondeva al valore delle
cose. Penso adesso
che la giornata possa tradursi in un'occasione. Forse bisogna pensare al modo di
avvicinarsi a questa
memoria.
Una domanda che mi pongo è come io viva il ricordo in un'epoca segnata
dall'oblio. Il passaggio del
tempo attenua fortemente il vigore delle immagini e sopravviene in qualche modo
qualcos'altro.
Talvolta l'oblio può sembrare un elemento provvidenziale. Si può pensare che
certi conflitti umani e
sociali possano essere superati soltanto attraverso l'oblio, attraverso cioè la
dimenticanza di determinate cose. È un'osservazione che proviene da Renan,
quando alla fine dell'Ottocento disse che la nazione francese è potuta nascere
in quanto è stata dimenticata la Notte di San Bartolomeo e in quanto è stato
possibile non contrapporre le vittime di San Bartolomeo alla monarchia francese.
Altrimenti sarebbe stato impossibile.
Questa domanda sull'oblio me la pongo, perché non c'è niente di male che si
attenui il vigore di una
memoria, la drammaticità di una memoria. Non è questo che mi preoccupa. La
cosa che mi inquieta
è un'altra, e cioè subentri la negazione dei fatti: questo è intollerabile, i
fatti non possono essere
annullati. Il secondo rischio è la banalizzazione dei fatti. Mi rendo conto che
si possano ricordare i
fatti in modo diverso, però anche qui c'è un modo inaccettabile di banalizzare,
che è in qualche
modo un'ipocrisia.
Come si può impedire che l'avvento dell'oblio possa in qualche modo cancellare o
modificare
qualcosa dei nostri ricordi? Ecco, l'oblio si può vincere, secondo me, in un
solo modo: se cioè il
ricordo della memoria non è solo legato alle vicende che vengono riprodotte e
che si ritiene di
dovere riportare all'attività mentale della memoria, ma anche alla ragione per
cui l'evento viene
rievocato. Che cos'è che oggi mi spinge a pensare alla Shoah? C'è qualcosa
di diverso dalla spinta
che mi muoveva ieri o no? Bisogna pensare che ci sono le domande di oggi; la
memoria non è
soltanto la ripetizione delle domande di ieri.
Voglio dire qualcosa sull'Italia. Nel nostro paese v'è stata una campagna
razziale. Non è stata una
cosa da poco; ha cacciato dalle scuole tutti i bambini, ha cacciato gli insegnanti,
ha cacciato dal
lavoro tutti gli ebrei. La mia famiglia è stata costretta all'emigrazione. Come
hanno reagito gli
italiani? Qui vi è stato veramente un silenzio colpevole. Io ho vissuto
l'esperienza del giuramento
dei professori universitari: alcuni professori universitari hanno rifiutato di
giurare, altri hanno
accettato di giurare in condizioni di disperazione. Non vi è stato allora su
questo nessun commento.
Poi, quando hanno cacciato via i professori ebrei dalle scuole e dalle
università, non vi è stata una
sola parola di solidarietà. Ciò che più mi ha colpito è che nel 1945, quando
cioè tutto era ridiventato
normale, nella gran moltitudine di intellettuali antifascisti, comunisti,
socialisti, azionisti, non c'è
uno solo che abbia detto una parola per un amico, per un collega fatto partire.
Perché? Esiste una
tentazione italica di sentirsi sempre vittime, in qualunque circostanza, cioè la
colpa è sempre degli
altri, noi siamo sempre puliti.
Qui c'è un punto sulla memoria che a me pare imprescindibile. La memoria
richiede il
riconoscimento. Se il riconoscimento non c'è o è manchevole, la memoria non
funziona e non è
possibile nessuna riconciliazione. L'esempio di Mandela è stato abbastanza
chiaro. Ma il fenomeno
è più esteso. Io ricordo come gli etiopici non capissero perché l'Italia non
abbia riconosciuto i gas o
le rapine. Io per questo chiederei che nella memoria si dia il primato assoluto
al riconoscimento.
Riconosco il nesso profondo che esiste tra lo Stato di Israele e tutta la
vicenda della Shoah. Però
non si può pensare che al mio avversario interessi solo la forza e non la
ragione. Devo abituarmi a
vedere in tutti la ragione. Se io penso che la forza sia l'unico argomento
valido, io non vado da
nessuna parte. Ecco perché ho messo insieme le due cose: il riconoscimento del
fatto e l'idea che la
forza non sia l'unico rimedio praticabile.
Vittorio Foa la Repubblica
27 gennaio 2009