L'altra faccia del
Natale
Il dolore dell’umanità partoriente, gemito generativo del mondo, che ha dato nei
secoli anima e
senso alla gioia festosa del Natale ha abbandonato da tempo il teatrino insulso
della nostra ritualità
natalizia, sia sacra che profana. Ma l’immane potenza simbolica del Natale ha
alimentato sempre i
sogni del riscatto. Vale ancora la pena di guardare a quest’altra faccia, quella
vitale e generativa?
Interessa a qualcuno? Oppure è solo archeologia? Ma si può abbandonare
completamente la presa
su una simbologia così potente? Forse conviene rischiare senza abbandonare la
fiducia.
Come le primitive comunità cristiane
Anche nella nostra «notte», come nella notte fatidica di due millenni fa, c’è
tanta gente che veglia
fuori dai palazzi del potere. E c’è anche tanta gente, che dorme, da svegliare.
Le comunità cristiane del primo secolo, piccole, sparute e povere, da cui
sono nati i vangeli, più che
di Gesù parlano si se stesse. O meglio, parlano di sé raccontando di Gesù. Il
miracolo natalizio, vero
e palpabile, è la loro esistenza e resistenza in un mondo in cui nulla può
essere concepito, nascere e
vivere se non per decisione e concessione del potere. Le primitive comunità
cristiane dalle quali i
vangeli della nascita di Gesù sono usciti esprimevano una visione dell’esistenza
opposta a quella
dominante e cioè vedevano e vivevano la storia come unico grande processo,
fecondato e animato
dallo Spirito, proteso alla nascita e alla vita senza fine: la morte non finisce
nulla. Lo facevano con
molte contraddizioni ma il succo era quello.
Che queste donne e uomini delle prime comunità cristiane fossero ispirati da Dio
è questione di
fede, ma la loro visione della storia e della vita, il loro coniugare memoria e
presente è cosa che può
interessare tutti e che si rivela di grande attualità. Ricostruire la memoria
storica e intrecciarla col
presente può significare individuare i segni di valori che non sono mai
scomparsi, far emergere le
tracce di un movimento sotterraneo, vedere l’inquieto lavorio di semi interrati,
scoprire la nascita
come unico grande evento generativo non solo della storia umana ma del cosmo
intero. E’ la nascita
come resurrezione perenne e anche come incessante riscatto da ogni alienazione.
Oggi, come venti
secoli fa, quando nacquero le prime comunità cristiane. La storia umana
vista e vissuta come una
parto, come una tensione continua verso la liberazione, la giustizia,
l’uguaglianza, la fraternità.
Quest’anno si celebrano ovunque i sessant’anni della dichiarazione dei diritti
umani universali. Ma
qualcuno, ad esempio, Gustavo Zagrebleski, ci avverte che i diritti si possono
vedere e vivere in due
modi: come feticcio o come tensione costante cioè come forza generativa: «A
chi parla di diritti è
giustificata la domanda: da che parte stai, degli inermi o dei potenti?
Ritrovare il significato
autentico dei ‘diritti’ è possibile solo nella comune tensione all’uguaglianza.
Senza uguaglianza i
diritti cambiano natura: per coloro che stanno in alto diventano privilegi per
quelli che stanno in
basso, concessioni o carità. Senza uguaglianza, ciò che è giustizia per i
potenti è ingiustizia per i
senza potere; la libertà è garanzia di prepotenza dei forti e destino di
oppressione dei deboli; la
solidarietà si trasforma in carità e la carità serve a sancire l’ingiustizia; le
istituzioni, da luoghi di
protezione e integrazione, diventano strumenti di oppressione e divisione; il
merito viene sostituito
dal clientelismo, le capacità dal conformismo e dalla sottomissione; la dignità
dalla prostituzione.
Senza uguaglianza le forme della democrazia, (il voto, i partiti,
l’informazione, la discussione, ecc.)
possono non scomparire ma diventano armi nelle mani di gruppi potere» (la
Repubblica 26
novembre 2008).
E’ la fotografia della crisi politica che stiamo vivendo. Non è solo «questione
morale» interna al
mondo del privilegio, è un problema di senso profondo della politica. Senso che
abbiamo perso.
«Chiediamo alla città, al suo corpo sociale, ai suoi cittadini, alle sue
associazioni e alla sua classe
politica una reazione, un gesto d’indignazione profonda, una volontà di
rinascita». E’ una citazione
dell’ appello di un gruppo di fiorentini, fra cui chi scrive, variamente
impegnati nella società e nella
cultura. L’appello sta ricevendo molte adesioni. E’ certamente un buon segno.
La veglia dell’Isolotto
Ma dov’eravamo quando l’assessore Graziano Cioni e il sindaco Leonardo Domenici
facevano
quelle orride ordinanze e regolamenti contro la parte più debole della città,
lavavetri, senza dimora,
accattoni, venditori spontanei? E quando si spendevano somme enormi per le
grandi opere e non si
trovava una soluzione abitativa per gli sfrattati, per i senza casa o per
l’accoglienza notturna dei
senza dimora? Non era già lì evidente la questione morale? Ci voleva la
magistratura per fermare la
giunta comunale? L’allontanamento della politica dalla vita, la
degenerazione della politica in
gestione privatistica e clientelare della cosa pubblica è un po’ anche
responsabilità della base che da
un lato si è ritirata nel privato frustrata e nauseata e dall’altro ha pensato
di rinnovare la politica con
ottime intenzioni ma sempre all’interno di strutture partitiche che al momento
sono più potenti di
ogni buona intenzione di cambiamento.
«I diritti o sono di tutti o sono privilegio»: è questo io credo il
fondamento di ogni questione
morale. E è su questo che si snoderà la Veglia che faremo la notte di Natale
all’Isolotto.
Desideriamo vivere la quarantesima veglia dopo il ’68, a sessanta anni dalla
Dichiarazione
universale dei diritti umani, scoprendo e vivendo i diritti come nascita
perenne. Con testimonianze
di tensione comune, per non dire lotta, verso l’uguaglianza e la fraternità,
provenienti dai
movimenti attualmente più vivi e generatori di speranza di cambiamento: il
movimento per il diritto
al lavoro, alla scuola di tutti per tutti, alla salute oltre le mercificazioni
della sanità, a una
carcerazione meno inumana, per l’abolizione dell’ergastolo, a un’accoglienza
dignitosa del
«diverso» sia per etnia, cultura, religione sia per orientamento sessuale.
L’augurio che ci facciamo è
che tutte le energie spese a profusione da questa umanità in movimento siano
come lo sforzo della
partoriente.
don Enzo Mazzi
il manifesto 24 dicembre 2008