Una intervista a uno dei più autorevoli teologi del mondo su temi di grande attualità. L'intervista, curata da D. Baldini, è stata appena pubblicata da "VS La rivista"(n.22-05).
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Per un'etica globale
Intervista ad Hans Küng
Nell’attuale èra della globalizzazione, quali sono - a suo giudizio - i punti di maggior contrasto, quelli insomma che oggi sembrano ancora contrapporre Occidente ed Oriente?
I concetti di Occidente e Oriente sono troppo complessi per poterli sommariamente contrapporre. Come si può ricondurre a un unico contesto i Paesi arabi, l’India, la Cina, il Giappone? Di certo c’è che tutti i continenti sono toccati in questo momento dalla globalizzazione. La mia opinione è la seguente: una globalizzazione dell’economia, della tecnologia, della comunicazione ha conseguenze disumane se non è accompagnata da una globalizzazione dell’etica. La globalizzazione ha bisogno di un’etica globale.
Il progetto di un’etica mondiale ha dimostrato che, nonostante la grande differenza esistente tra le tre religioni monoteiste (Ebraismo, Cristianesimo e Islam), le religioni indiane (Induismo, Buddismo, Sikh) e la religione cinese (Taoismo e Confucianesimo) esistono dei valori e dei riferimenti etici comuni. Essi possono sì essere letti come espressione di quelle stesse culture e religioni, e tuttavia questi elementi in comune possono costituire un ponte tra Oriente e Occidente.
1 miliardo (circa) di cattolici ed 1 miliardo (circa) di mussulmani, dopo feroci i contrasti del passato, tentano, nel presente, di praticare la difficile via di dialogo. Quali i punti di incontro e quali, invece, quelli di scontro?
Storicamente ci sono stati cinque grandi momenti di scontro tra il Cristianesimo e l’Islam. Il primo alla nascita dell’Islam con l’impero bizantino, il secondo nel Medioevo durante la dinastia degli Umaiyaden, soprattutto in Spagna, il terzo durante le Crociate, il quarto all’inizio dell’era moderna con l’espansione ottomana e il quinto - non dimentichiamolo - quando il colonialismo e l’imperialismo europei dei secoli 19° e 20° misero sotto controllo l’intero mondo islamico.
Fondamento comune tra le tre religioni monoteiste è la fede nell’unico Dio di Abramo, il creatore buono e misericordioso, protettore e giudice di tutti gli uomini. Anche gli arabi cristiani usano per rivolgersi a Dio la parola “Allah”. Su questa unica fede si fonda anche la concezione della storia del mondo come un disegno teleologico che va dalla creazione al suo compimento, e su questa poggiano i medesimi valori e le medesime norme fondanti.
Quali effetti ha prodotto la separazione del cristianesimo dall’ebraismo e, soprattutto, che fare, oggi, per superarla?
La differenziazione, se si può riassumere in poche parole, consiste in questo: l’Ebraismo considera Israele il popolo di Dio e la terra di Dio, il Cristianesimo ha in Gesù Cristo il Messia e il figlio di Dio; l’Islam ha il Corano, che è la parola e il libro di Dio. Il Cristianesimo per secoli ha dimenticato la sua origine giudaica. Ma è di significato cruciale che Gesù, sua Madre, i suoi discepoli, l’intera prima comunità fossero giudei. Il primo paradigma del Cristianesimo è quindi giudaico-cristiano; esso niente sapeva di dogmi ellenistici, di diritto romano, di sfarzo bizantino. Si dovrebbe riflettere di più oggi sulle radici comuni di Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Nei miei libri ho dimostrato che, in principio, eravamo notevolmente più vicini di quanto lo siamo oggi.
Uno dei punti cruciali del dibattito contemporaneo è il rapporto tra fede e scienza. Partecipando ad esso, quanto - fino ad oggi - il magistero della Chiesa ha mostrato di attenersi a criteri di fede evangelica?
Del rapporto tra fede e scienza mi sono occupato approfonditamente nel mio ultimo libro L’inizio di tutte le cose. Scienza naturale e religione, che presto sarà pubblicato anche in italiano. Lì ho chiarito che un modello basato sulla divaricazione tra scienza naturale e religione è oggi superato. Né il magistero della chiesa, né la scienza secolare possono vincere se entrano in polemica l’una contro l’altra invece di provare a capirsi. Allo stesso modo non porterebbe da nessuna parte un modello ispirato alla totale armonia. Allora i teologi non devono cercare di adattare ai loro dogmi i dati della scienza e, da parte loro, gli scienziati non devono strumentalizzare la religione a sostegno o meno delle loro tesi. La scelta giusta è la complementarietà, che consiste in una interazione critica e costruttiva tra scienza e religione. Perciò va rispettata la sfera di ciascuno, vanno evitate ingerenze illegittime e respinti tutti gli assolutismi (i fondamentalismi). E’ necessario il dialogo reciproco e il reciproco arricchimento. Solo in questo modo sarà resa giustizia alla verità intera in tutte le sue tanto diverse dimensioni.
Una parte consistente di laici e di cattolici denunciano un’intrusione sempre più forte dell’alta gerarchia ecclesiastica nelle questioni riguardanti la politica. Qual è il limite oltre il quale la religione non deve spingersi, se non vuol diventare “interferenza” rispetto alla laicità dello Stato?
Troppo spesso la gerarchia ecclesiastica manca di una distanza critica e di rispetto nei confronti dell’autonomia della politica, dello Stato e della società secolari di oggi che sono parte dell’attuale potere temporale del mondo e non hanno certo bisogno di un nuovo teologismo integralista. Fondamentalmente direi che il singolo cristiano deve prendere posizione su tutte le questioni. La chiesa come comunità di credenti e i suoi rappresentanti però non possono, non devono pronunciarsi su tutte le questioni emergenti. Detto in positivo: La Chiesa e i suoi rappresentanti possono e devono prendere posizione pubblica anche sulle questioni controverse che la società dibatte, ma solo laddove la loro funzione li autorizza a farlo, il che significa laddove il Vangelo (e non una qualunque teoria o strategia) inequivocabilmente (e non ambiguamente) li sfida a intervenire.
Traduzione di Anna Maria Villari