Pd, tutti pazzi per il centro
La premessa ovvia è che il cattolicesimo democratico costituisce una componente
fondamentale della cultura politica italiana. Essa ha svolto un ruolo importante
sia nelle grandi lotte sociali del dopoguerra che nella costruzione dell'Italia
repubblicana e nei processi di allargamento della democrazia nel corso degli
anni '60 e '70. Dunque il dialogo e talora l'alleanza della sinistra comunista e
socialista con le varie anime di questa componente è stata prova fruttuosa di
intelligenza e di lungimiranza politica. La scelta politica che vale anche oggi,
benché i protagonisti di un tempo appaiono così radicalmente mutati. Ma quanto è
saggio e lungimirante oggi trasformare dialogo e alleanze su singoli temi e
lotte in un rapporto di unità organica di partito? Vediamo in quale
insormontabile difficoltà si è posta la dirigenza dei Democratici di sinistra
nel puntare a realizzare un nuovo partito, il Partito democratico, con i
cattolici della ex Margherita. Un partito, rammentiamo, nato anche per
realizzare un organismo unitario, capace di decisione, in grado di superare le
divisioni paralizzanti che segnano l'azione della sinistra radicale e popolare.
Su questo punto l'insuccesso è evidente. E qui tralascio i fatti di cronaca recente per annotare alcuni dati di valore generale. I dirigenti ex comunisti non hanno compreso la portata storica della nuova politica della Chiesa di Roma, che condiziona profondamente il comportamento dei cattolici oggi. La linea di Benedetto XVI non rappresenta soltanto l'involuzione di un papa conservatore. In questa fase storica la Chiesa, di fronte agli esiti estremi di una modernizzazione che si esprime in termini di accresciuto dominio tecnico sulla natura e sulle persone, di mercificazione compulsiva di ogni angolo della vita, reagisce con un riflesso autoritario. Se la libertà dell'individuo, conquista del pensiero illuminista, diventa l'individualismo anomico, che sgretola la rete dei rapporti sociali, la Chiesa non si schiera contro i poteri che orchestrano questo modello di società. Non cerca soluzioni progressive, che ricompongano le relazioni umane con un incremento di potere democratico. Risponde alle sfide difendendo il vecchio ordine con decisioni spesso confliggenti con il senso comune dei diritti della persona. Ora, non dubito del fatto che i cattolici del Partito democratico siano in buona parte autonomi dalla Chiesa. Ma fino a che punto possono esserlo? Qui occorre rammentarsi di ciò che è accaduto ai partiti negli ultimi 20 anni, trasformati in agenzie di marketing elettorale. La Chiesa di Roma non rappresenta più soltanto il magistero spirituale del mondo cattolico. Oggi si presenta come una delle pedine in gioco nel mercato elettorale italiano. E' oggetto della competizione di gran parte delle forze politiche che guardano a essa come a un bacino potenziale di voti. Per quale superiorità culturale e morale i cattolici del Partito democratico dovrebbero rinunciare a questa sponda strumentale?
E' evidente, dunque, la difficoltà in cui si sono messi gli ex Democratici di sinistra costretti a logorarsi in una interminabile mediazione interna su questioni che sono fondative della loro laicità. Parte della paralisi operativa di questo partito nasce anche da qui. Ma non è tutto. L'unità organica con i cattolici costringe gli ex Democratici di sinistra, anche per le ragioni dette, a uno spostamento al «centro», cioè verso posizioni moderate dell'asse programmatico del Partito democratico. Uno spostamento strategico, in atto per la verità da tempo, che ora viene perseguito in maniera organica e istituzionale Allora la domanda: è questa una scelta vincente, possibile, realistica? Tutto, ma proprio tutto, lascia pensare che non sia così. Il cosiddetto centro è il luogo più affollato della vita politica italiana. Tutti i partiti italiani sono ormai di centro. La maggioranza che oggi sostiene il governo non è di destra, ma di centro-destra. Essa cioè copre e rappresenta uno spettro straordinariamente ampio di ceti sociali. Sono «partiti pigliatutto», per l'appunto. Il caso della Lega è esemplare. Da quando esiste ha messo in campo tutti gli strumenti più abietti della retorica populistica, quelli destinati a creare il nemico: dal Sud infetto a Roma ladrona, per passare ai rom, ai rumeni, agli zingari, a clandestini. Eppure è noto che tale formazione ha oggi in tante regioni un insediamento da vecchia Democrazia cristiana. Dunque, che cosa ci sta a fare al centro il Partito democratico? C'è bisogno addirittura di un nuovo partito per realizzare un programma di governo un po' meno moderato di quello dell'esecutivo attuale? Perfino l' Economist si è accorto di questa imbarazzante omologazione, quando ha preso visione del programma dei due poli nell'ultima campagna elettorale. Ma l'errore strategico acquista un'evidenza drammatica di fronte al fatto che un vasto universo sociale, un intero continente di culture, soggettività, movimenti, associazioni, rimane oggi sempre più privo di rappresentanza politica. Nessuno lo dice, ma la crisi mondiale dipende anche dal fatto che i ceti popolari e soprattutto la classe operaia hanno progressivamente perduto le loro rappresentanze storiche, da decenni impegnate a «spostarsi al centro». Sempre più al riparo da conflitti oppositivi, il capitalismo è così potuto diventare unleashed , scatenato - come ha ricordato l'economista inglese Andrew Glyn - privo di controlli, di contrappesi, di regole. Oggi, che la disoccupazione di massa avanza a grandi passi chi rappresenterà politicamente la marea montante dei poveri? Chi darà voce e progetto a conflitti che saranno necessariamente radicali? Il centro? Rammentiamo sommessamente che la Grande Crisi degli anni Trenta ha avuto due esiti divergenti: il New Deal e il nazismo. Non è indifferente per gli esiti della crisi attuale chi, con quali idee, si porrà alla testa dei movimenti popolari.
Piero Bevilacqua Il manifesto 14/12/2008