L'ossessione del peccato



Poiché in quasi metà degli Stati del pianeta (91 secondo l'Arcigay) l'omosessualità è un reato,
punibile in 19 paesi anche con la morte; e poiché perseguire per legge le attitudini sessuali è una
evidente mostruosità, la delegazione francese all'Onu ha proposto la "depenalizzazione universale
dell'omosessualità". Una di quelle nobili formule retoriche di non evidente e immediata
applicazione, comunque utili per richiamare all'attenzione del mondo almeno qualcuno dei tanti
orrori e soprusi in corso. Si rimane dunque di stucco leggendo che monsignor Celestino Migliore,
osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite, si è pronunciato contro la proposta francese.
Portando controdeduzioni così causidiche, e così stravaganti, da dovere essere rilette almeno tre o
quattro volte nel timore di non avere capito bene. Monsignor Migliore sostiene infatti che un
eventuale pronunciamento sulla depenalizzazione dell'omosessualità, imponendo o suggerendo
"agli Stati di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, creerebbe nuove e
implacabili discriminazioni, per esempio mettendo alla gogna gli Stati che non riconoscono il
matrimonio tra persone dello stesso sesso".
Vale a dire, sempre che il pensiero del monsignore sia decifrabile: se si comincia col salvare dal
capestro un omosessuale, il rischio è che la mania modernista dei "diritti" faccia il suo subdolo
corso e arrivi a fare pressione sugli Stati omofobi affinché accettino i nostri costumi relativisti, e
sfascia-famiglie. Un volo pindarico del genere, che trasforma la discussione su un abominio in un
predellino dal quale spiccare il volo per preservare dalla depravazione occidentale i rudi ma
rispettabili costumi delle società patriarcali e omicide (omocide), è davvero impressionante. Il nesso
tra la salvezza degli omosessuali dalla forca o dalla lapidazione o dalla galera, e il "matrimonio tra
persone dello stesso sesso", è ovviamente inesistente. Oppure, può venire in mente solo a chi
anteponga brutalmente una propria ossessione dogmatica alle urgenze umane, al sangue e al dolore
delle persone perseguitate. E dunque sia disposto a confondere il più elementare diritto alla vita e
alla libertà con un grimaldello buono per scassinare i costumi timorati, e le tradizioni solide.
Spiace dirlo, ma non è un ragionamento, è un obbrobrio
. Così inspiegabilmente goffo da mettere
malinconia prima ancora che indurre a indignazione: quel genere di malinconia che coglie le
persone di buona volontà, non importa se credenti oppure no, di fronte alla singolare pervicacia con
la quale molte voci ufficiali della Chiesa romana sembrano voler dare voce più a una sorta di panico
ideologico, tanto più aggressivo quanto più spaventato, che a una comprensibile confutazione di
quegli aspetti della vita sociale che confliggono con i regolamenti - specie quelli sessuali, vera
ossessione clericale di questo scorcio d'epoca - del Vaticano.
Fare di una così ragionevole e civilissima causa (appunto la depenalizzazione dei comportamenti
omosessuali) un'occasione di incomprensibile e non richiesto zelo nei confronti di quelle società
ancora impenetrabili ai diritti individuali, è qualcosa di più di un incidente di percorso. E' un'incauta
e controproducente confessione di refrattarietà alla migliore e più condivisibile delle culture
umanitariste, quella che fa della persona la sede inviolabile dei diritti.
Viene da pensare che la
persona, secondo la visione del rappresentante della Santa Sede, venga comunque dopo la Morale e
dopo la Famiglia. Come se Morale e Famiglia non fossero al servizio della persona, ma fosse questa
a doversi accontentare dello spazio concesso da quelle. Se poi lo spazio, in novantuno paesi della
Terra, è così angusto da soffocare - su sentenza di un giudice - la persona omosessuale, si suggerisce
di non dirlo troppo ad alta voce: per non irritare il giudice? Per non fargli paventare l'imminente
matrimonio gay, magari con canti e ghirlande, del condannato scampato alla morte oppure
scarcerato a causa dell'intrusione francese?
Speriamo di avere frainteso le parole di monsignor Migliore. E speriamo che le abbia fraintese
anche lui.

Michele Serra    la Repubblica  2 dicembre 2008