La libertà
illiberale di Pera
Preannunciato dalla fanfara degli spot, dal Corsera al Tg2, ecco il nuovo saggio
di Marcello Pera,
ex presidente del Senato. Laico mangiapreti ieri, oggi devotissimo credente:
Perché dobbiamo dirci
cristiani (Mondadori). Il saggio si vale di una lettera introduttiva di
Benedetto XVI, che conviene su
due punti con l’autore. Ovvero: il dialogo tra religioni «non è possibile»,
visto che significherebbe
«mettere tra parentesi la propria fede». Mentre è lecito «il dialogo
interculturale»,ma solo per
esplicitare «le conseguenze culturali» delle scelte religiose. Due tesi assurde.
Che implicano
l’impossibilità del dialogo tout-court. Di ogni esercizio razionale della mente.
Salvo voler ratificare
la fissità delle opposte posizioni: l’Irratio insomma e il mutuo dogmatismo
senza ascolto. Ma
assurda e malfondata è anche la tesi generale di Pera, con la quale il Papa
entusiasticamente
consente. Vale a dire, l’obbligo di essere cristiani, se si vuol essere
liberali. E in base al falso
assunto per il quale il liberalismo scaturisce ipso facto dal cristianesimo, e
logicamente ne dipende.
Sciocchezza bella e buona! Visto che a lungo il Cristianesimo
contrastò la libertà etico-politica del
singolo, affermandone la dignità universale solo sul piano ultramondano (S.
Paolo dissuade gli
schiavi dal ribellarsi!). Perché il cattolicesimo anatemizzò fino a Pio IX il
liberalismo. Perché solo
una parte del cristianesimo riformato incoraggiò il liberalismo. E
perché il liberalismo è figlio
secolare del giusnaturalismo, che laicizza la legge naturale e ne fa legge
positiva senza dogma.
Inoltre, anche l’infinito valore della persona (cristiana) non nasce da sé. Ha,
dietro, tre secoli di
filosofia pagana: cinica, stoica ed epicurea, per tacere di Platone e
Aristotele. E davanti a sé, dopo
Cristo, secoli di lotte civili, spesso contro la Chiesa. Il liberalismo non
nasce bello e fatto dai
Vangeli: è un prodotto umano! Infine, «alzare bandiera cristiana» per
l’Europa come vuole Pera, è stolto. È un modo per immiserire il suo
universalismo a faziosità geopolitica e integrista. No grazie.
Bruno Gravagnuolo L'Unità
26 novembre 2008