La sfida della laicità tra gli scogli di laicismo e clericalismo



La questione della laicità è tornata con insistenza alla ribalta in questi ultimi anni nel nostro Paese,
in concomitanza con l'emergere delle questioni "eticamente sensibili" che hanno determinato il
riaffiorare della contrapposizione tra laici e cattolici. La singolarità della situazione italiana, dove i
rapporti Stato-Chiesa sono particolarmente delicati per la presenza del Papato e dove soprattutto
sussiste un retaggio storico conflittuale – si pensi soltanto alla "questione romana" la cui soluzione
ha aperto ferite non ancora del tutto rimarginate – rende particolarmente difficile la ricerca di un
equilibrio fondato sul rispetto dell'autonomia reciproca e sulla cooperazione vicendevole in vista
dell'interesse generale. Clericalismo e laicismo (una forma di clericalismo rovesciato) sembrano
bloccare in partenza qualsiasi tentativo di confronto sereno, esasperando i rispettivi punti di vista e
alimentando le spinte emotive a scapito delle argomentazioni razionali.

Eppure, nonostante queste battute di arresto, la laicità è una conquista da non mettere in
discussione, in quanto rappresenta un punto di non ritorno nel cammino di costruzione di una
società democratica.
Grazie a essa è infatti possibile fare spazio alle molteplici visioni della vita e
alle diverse concezioni del bene presenti nella società, creando le condizioni per un confronto
dialettico tra di esse. Ma soprattutto grazie a essa è possibile impegnarsi nella costruzione di una
«ragione pubblica» che – come ci ha ricordato J. Rawls in uno degli ultimi suoi scritti (Liberalismo
politico, Comunità, Milano 1994) – può essere identificata solo attraverso un «consenso per
intersezione», definendo cioè i principi fondamentali di un ordine politico giusto a partire dalla
concezione del mondo propria di ciascun soggetto individuale e sociale.
Il ricupero di una laicità improntata a un confronto rispettoso tra cattolici e laici è tuttavia legato
all'abbandono da parte della Chiesa della pretesa di imporre alla società in modo autoritativo la
propria concezione dell'ethos pubblico
– il frequente richiamo al «diritto naturale» con la
conseguente rivendicazione di un approccio razionale alle tematiche etiche (approccio che si ritiene
debba essere condiviso) e l'affermazione che si danno valori «non negoziabili» non favoriscono la
creazione di un clima disteso; e al contemporaneo superamento, da parte del mondo laico, di un
atteggiamento radicalmente dimissionano nei confronti della possibilità (anzi della necessità) di
rintracciare un ethos comune – è questo ciò che emerge dall'appello a regole puramente formali
elaborate mediante la sola via "procedurale", nonché all'impegno comune volto a individuare con
onestà e spirito di dialogo possibili convergenze attorno a un denominatore valoriale condiviso.
D'altra parte, a ben guardare, la laicità, lungi dal dover essere considerata come l'effetto negativo
della secolarizzazione, è intrinseca alla proposta evangelica e costituisce un'importante occasione
per conferirle maggiore efficacia.
Essa non è infatti riducibile soltanto – come vuole la nota formula
di J. Maritain – alla distinzione tra sfera religiosa e sfera politica, ma va concepita, nel suo
significato più alto, come testimonianza di un modo nuovo di stare nel mondo rispetto a quello
proprio del «regime di cristianità» medioevale che alcuni vorrebbero risuscitare: un modo
caratterizzato dal rifiuto di ogni preoccupazione di potere e dalla piena assunzione della logica della
povertà e della croce.

Si tratta perciò di una preziosa opportunità per restituire alla fede la sua forza originaria di lievito
della storia, di «sale» che dà sapore e di «luce» che illumina l'umanità attuale, spesso alla deriva; di
energia vitale che agisce in profondità e senza strepito alla costruzione di un nuovo umanesimo
collaborando con tutti coloro che lottano per la liberazione umana. Ma soprattutto si tratta di
un'occasione propizia perché la Chiesa, liberandosi dalla tentazione di chiedere garanzie e privilegi
per sé, ricuperi la radicalità evangelica come ragione della propria esistenza e del proprio impegno.
Diventi, in altre parole una Chiesa che – come ci ricorda in un recente saggio Giuseppe Ruggieri
(La verità crocifissa. Il pensiero cristiano di fronte all'alterità, Carocci) – assumendo l'amore per
l'altro come fine della propria missione, renda quotidianamente testimonianza al suo Signore, che è
venuto per servire e non per essere servito, per accompagnare e sostenere la storia degli uomini,
anche negli aspetti di fragilità e di peccato che la contrassegnano, dischiudendole la speranza nella
venuta del regno.

Giannino Piana        in “Jesus” n. 11 del novembre 2008