L’inutile massacro
avvelenò l´inizio del ‘900
Novant’anni fa si concludeva la Grande Guerra un conflitto che cambiò
l’assetto del mondo
Secondo Freud mai un evento storico era stato così dannoso per l´umanità
Sulle responsabilità politici e storici hanno alimentato un dibattito veramente
infinito
A esprimere ciò che ha rappresentato la prima guerra mondiale, la quale ha
insanguinato l´Europa come mai avvenuto in precedenza, sono stati anzitutto
quanti l´hanno vissuta: militari, politici, intellettuali, uomini e donne di
ogni ceto. Divisi tra loro nella valutazione del suo significato e nelle
posizioni assunte a favore o contro gli obiettivi dei rispettivi paesi, li ha
però accomunati un unico responso: che essa determinò il crollo di un mondo. Lo
percepì fin dal 1915, con un senso di orrore e spavento, Sigmund Freud, il quale
scriveva: «Ci pare che mai un evento storico abbia distrutto in tal misura il
così prezioso patrimonio comune dell´umanità, (...) inabissato così
profondamente tutto quanto vi è di elevato». Ma di chi la responsabilità?
La pubblicistica politica e la storiografia hanno alimentato in proposito un
dibattito infinito. Merita in particolare di essere ricordato, per la statura
degli studiosi, lo scontro avvenuto negli anni ‘60 tra Fritz Fischer,
sostenitore del ruolo primario avuto dalla Germania nello scatenamento e nel
proseguimento della guerra, e Gerhard Ritter, il quale tale tesi ha
vigorosamente contestato. Su questa questione, pare a chi scrive che parole
quanto mai persuasive abbia scritto il grande storico russo Evegheni V. Tarle,
pochi anni dopo la conclusione del conflitto, quando osservò che «entrambi gli
schieramenti delle potenze ostili avevano piani di conquista, entrambi erano
capaci di far divampare l´incendio al momento che fosse parso loro vantaggioso,
aggrappandosi al pretesto che apparisse il più idoneo», ma che nell´estate del
1914 la decisione fu presa da Germania e Austria le quali si erano convinte che
fosse allora venuta l´occasione per esse più favorevole.
La «grande guerra», iniziata tra le fanfare e tripudi di folle osannanti
nell´illusione di un conflitto di pochi mesi e durata invece dall´agosto 1914 al
novembre 1918, fu così detta perché mai nel passato ve ne era stata una eguale.
Fu una guerra mondiale perché, scatenata allorché il vecchio continente credeva
di poter addirittura accrescere la propria posizione di «centralità», ebbe come
oggetto quale blocco di potenze europee dovesse tenere il maggior dominio nel
globo; e perché le sue conseguenze coinvolsero l´intera carta geopolitica del
mondo. Fu al tempo stesso una guerra europea, in quanto tutto venne giocato nei
campi di battaglia europei, anche dopo l´intervento americano nell´aprile del
1917, e quasi tutte le immani devastazioni materiali e la grandissima
maggioranza dei morti e feriti riguardarono l´Europa.
Fu una guerra che mobilitò come mai prima sotto il controllo crescente dello
Stato le risorse economiche - e anzitutto quelle industriali - preposte a
fornire, in quantità gigantesche, agli eserciti di terra fucili, mitragliatrici,
artiglierie, mezzi di trasporto a motore, alle flotte navi moderne e
sottomarini, armi nuove come gli aerei e i carri armati, equipaggiamenti di ogni
genere; e le risorse umane tese allo spasimo, segnando l´ingresso nella
produzione di fabbrica su una scala senza precedenti della mano d´opera
femminile. E la vittoria andò al campo in grado di fornire tali risorse nel
maggior grado.
Fu una guerra che provocò un immenso massacro. Le cifre dei caduti furono di
1.800.000 tedeschi, tra i 1.700.000 e i 2.500.000 sudditi dell´impero zarista,
1.350.000 francesi, 1.300.000 appartenenti all´impero austro-ungarico, 750.000
britannici e 190.000 appartenenti ai dominions, 600.000 italiani, 300-350.000
romeni, 300-350.000 turchi, 300-350.000 serbi, 100.000 bulgari, 100.000
americani, 50.000 belgi.
Fu una guerra che maciullò i corpi e avvelenò gli spiriti degli europei. I corpi
dei soldati furono martoriati nelle grandi battaglie e negli scontri crudeli tra
le opposte trincee e intossicati dai gas usati per la prima volta, come fu
narrato in maniera indimenticabile da scrittori come Eric Maria Remarque in
All´Ovest niente di nuovo e da Emilio Lussu in Un anno sull´altipiano e in
chiave cinematografica da registi come Lewis Milestone nel film tratto dal libro
di Remarque e da Stanley Kubrick in Orizzonti di gloria, e documentato dalle
cineprese dei corrispondenti di guerra. Gli spiriti vennero avvelenati sia da
schiere di propagandisti e giornalisti al servizio dei governi e degli Stati
Maggiori sia da intellettuali anche grandissimi i quali, con poche eccezioni tra
cui Romain Rolland che ne denunciò l´asservimento al potere e l´accecamento,
esaltarono chi la Kultur dei popoli germanici e chi la Civilisation dei popoli
liberali occidentali. Vi furono poi i più aspri conflitti tra i
militaristi-imperialisti e i pacifisti di impronta umanistica e religiosa, tra i
socialisti rivoluzionari intesi a sovvertire l´intero ordine costituito e i loro
vari oppositori e nemici. Vi furono le chiese benedicenti gli eserciti, prima e
dopo che Benedetto XV parlasse nel 1917 dell´«inutile strage», e contadini,
operai e soldati di tutti i fronti maledicenti. I tribunali militari lavorarono
a pieno ritmo; soldati ribelli o troppo stanchi vennero decimati, fucilati,
imprigionati, mentre i futuristi italiani parlavano di «estetica della guerra» e
si compiacevano della «bella guerra virile e tecnologica». Le classi dirigenti
operarono per «nazionalizzare le masse», per porle al totale servizio di una
guerra in cui «la morte di massa» - ha scritto Mosse - «fu innalzata nel regno
del sacro».
Fu una guerra civile ideologica tra le potenze occidentali che - poco curanti di
essere alleate con l´impero russo autocratico e carcere di popoli - sventolavano
la bandiera della democrazia e delle libere nazionalità e gli imperi centrali,
alleati della Turchia, che alzavano quella di un vero ordine fondato su
gerarchie solidali e affidato alla guida di monarchi, alti burocrati e militari.
Fu una guerra che lasciò un´eredità spaventosa. Il valore della vita umana
risultò annullato, si diffusero uno spirito di violenza e una disponibilità a
ricorrere ad essa che avrebbero fatto sentire i loro effetti virulenti in futuro
e che toccarono i punti estremi nelle pratiche del bolscevismo, dei fascismi e
del militarismo nipponico.
Fu una guerra che tradì la promessa tanto agitata di essere l´ultima, quella che
avrebbe assicurato pace, democrazia, benessere. Provocò il crollo dell´impero
germanico, dell´impero asburgico e dell´impero zarista; creò le condizioni per
la conquista del potere da parte dei bolscevichi in Russia e lo scatenamento di
un´ondata di convulsioni politiche e sociali destinate a durare un´intera epoca
storica e a sconvolgere la società europea; fece nascere molti nuovi fragili
Stati; portò all´emergere della potenza di un´America che presto voltò le spalle
alla «pazza» Europa e si richiuse nell´isolazionismo. Per l´Italia la guerra fu
la «quarta guerra di indipendenza», ma essa mise in ginocchio il paese e vi
attivò conflitti distruttivi.
Come vide fin dal 1919 John Maynard Keynes, celebre autore de Le conseguenze
economiche della pace, le potenze vincitrici dettarono ai vinti una pace
cartaginese «senza nobiltà, senza moralità, senza intelletto», la quale seminò
nuovo disordine, nuovi conflitti e nuove guerre. In riferimento all´animo con
cui agirono in particolare i governanti francesi e inglesi, che si imposero su
un Wilson forte nella retorica ma debole in concreto, Keynes osservava: «La vita
futura dell´Europa non li riguardava», la loro mente era tutta rivolta alle
frontiere, agli equilibri di forza, agli ingrandimenti imperialistici, «al
futuro indebolimento di un nemico forte e pericoloso, alla vendetta e a
riversare dalle spalle dei vincitori su quelle dei vinti gli insostenibili pesi
finanziari». Così avvenne che si coltivassero i germi patogeni di un secondo e
ancora più catastrofico 1914: il 1939.
Massimo L.Salvadori Repubblica 4.11.08