Roma e la povertà


Si torna a parlare di teologia della liberazione, anche se in maniera occasionale e non molto
convincente. Due le occasioni. La prima è la persona di uno dei protagonisti, Miguel D’Escoto,
nicaraguense, ex prete cattolico, divenuto presidente dell’assemblea generale dell’Onu. D’Escoto
dichiara, fra l’altro, al Corriere della sera: «La verità più importante, da cui dipende la nostra stessa
sopravvivenza è che siamo tutti fratelli e sorelle». Naturalmente tifa per Obama e dice di non avere
«tempo per litigare con il Vaticano».
La seconda occasione è un’interessante disputa all’interno della stessa teologia della liberazione (la
riporta estesamente il Regno, 2008, 17). Da una parte alcuni teologi, sempre latinoamericani (fra cui
il più noto, Clodovis Boff), timorosi che l’attenzione della teologia per i poveri possa eclissare
quella - necessaria e prima - per Gesù Cristo; dall’altra altri teologi (fra cui il fondatore Gustavo
Gutierrez) difendono la teologia della liberazione sostenendo che l’attenzione ai poveri non
distoglie da quella per Gesù. Una discussione di grande interesse, ma che non basta a dissipare
l’impressione di una certa crisi. Negli ultimi anni nella stessa America latina la teologia della
liberazione procede con una certa difficoltà. I motivi evidenti: Roma e la situazione internazionale.
A Roma è stata largamente dominante la paura del comunismo ateo e della sua possibile diffusione
anche in America latina. Perciò una certa freddezza anche nei confronti di una teologia che metteva
i poveri in primo piano. Una freddezza che si univa, anche se accidentalmente, con una situazione
politica largamente dominata dalla Casa bianca. La teologia della liberazione ha dovuto resistere a
questo duplice attacco convergente.
Una resistenza spesso eroica anche se non sempre vincente. Ci
vorrà tempo per valutare i risultati di uno scontro che ha reso più difficile il rapporto di Roma con i
poveri non soltanto dell’America latina ma di tutto il mondo, specialmente dell’Africa. Vedremo se
le vicende dei prossimi anni - specialmente le elezioni negli Stati uniti - potranno modificare il
rapporto del cristianesimo con i poveri, riportando in primo piano le posizioni della teologia della
liberazione.
Se ne avvantaggerebbero non soltanto i poveri del mondo ma la stessa autenticità del
messaggio cristiano. Il papa non rischierebbe più di apparire, come è stato detto, cappellano della
Casa bianca.

Filippo Gentiloni      il manifesto 26 ottobre 2008