L'odio da stadio
Nei libri di storia mondiale del Novecento l'unico italiano
sempre citato è Benito Mussolini.
Godiamo la poco invidiabile fama di inventori del totalitarismo fascista.
E' un facile cortocircuito
mediatico, dunque, quello architettato con sapienza dal movimento di estrema
destra Forza nuova,
tramite la sigla "Ultras Italia"
Rilanciare sul palcoscenico internazionale, attraverso le bandiere con la croce
celtica e gli inni al
Duce, la caricatura di un passato che non passa.
Basta un esiguo manipolo di violenti per propagare un messaggio di
semplificazione brutale
dell'identità. Lo spettacolo del professionismo sportivo, reso dai suoi campioni
ormai
definitivamente meticcio, come la finanza globale, si presta così a paradossali
manipolazioni
ideologiche. Nel football cosmopolita possono essere straniere le proprietà
miliardarie, e lo sono
quasi sempre i beniamini del pubblico. Ma non per questo le tifoserie rinunciano
al campanilismo
esasperato, e già da qualche anno l'estrema destra si cimenta nel tentativo di
alimentare intorno alla
Nazionale campione del mondo un patriottismo di stampo xenofobo. Nel 2005, a
Palermo, toccò ai
tifosi sloveni di essere aggrediti da "Ultras Italia" al grido demenziale di
«Tito boia».
Sbaglieremmo a liquidarlo come un fenomeno nostalgico, e non solo per la
modernità dei veicoli di
cui si avvale. Chi abusa del tricolore e accompagna col saluto romano il canto
dell'inno nazionale,
ha intuito il varco offertogli da una vera e propria campagna culturale
scatenata per sminuire i valori
costituzionali della Repubblica nata dalla Resistenza. Nessuno degnerebbe
d'attenzione le
folcloristiche dichiarazioni filofasciste del portiere del Milan, Filippo
Abbiati, se l'equazione
fascismo-patriottismo non trovasse ben più autorevoli propugnatori.
Ieri il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, è stato il primo a condannare
la scorribanda nera di
Sofia. Ma l'8 settembre scorso fu lui a esaltare l'eroismo dei repubblichini che
combattevano le
truppe anglo-americane nel 1943. Mentre il sindaco di Roma, Gianni Alemanno,
s'impigliava in un
giudizio benevolo del regime mussoliniano fino al 1938, e solo ieri lo ha
rettificato.
Sia ben chiaro, l'Italia del 2008 non corre il pericolo di un ritorno al
fascismo, e il nuovo capo della
nazione non somiglia al vecchio neppure quando arringa la folla con la camicia
nera. Ma sarebbe
ingenuo spiegare il revisionismo storico propugnato da molti esponenti della
destra come mera
autoassoluzione della loro militanza giovanile.
Sono navigatori con il vento in poppa. E' l'istinto politico che li
sospinge a mettersi in sintonia con
delle pulsioni largamente diffuse nel loro elettorato: l'esaltazione del
patriottismo come necessità
prevalente sull'osservanza delle regole democratiche; la difesa dell'italianità
dal pericolo di
contaminazione identitaria; il bisogno d'autorità.
Il neofascismo da stadio è una traduzione artificiale, simbolicamente
trasgressiva, di questa rinascita
del pensiero reazionario. Politicamente mette in imbarazzo il
governo di destra, proprio come lo
imbarazzano certe intemperanze razziste dei vari Borghezio e Gentilini. Eppure
vengono tollerati
perché si tratta di messaggi funzionali a rappresentare sentimenti comunitari,
il mito di un Popolo
che si riscopre unito "contro" le insidie esterne. Anche allo stadio, intorno ai
suoi campioni
nazionali, così come sul territorio "invaso" dagli stranieri, e oggi magari
contro i plutocrati
dell'economia globale.
Quanto sia pericoloso legittimare l'ostilità contro il meticcio che inquina la
purezza della nazione, lo
ha scoperto negli Usa il candidato repubblicano John McCain che ha scelto
coraggiosamente di
sfidare l'impopolarità pur di condannare le intemperanze verbali scagliate dai
suoi sostenitori
all'indirizzo di Barack Obama. Nulla di simile in Italia. Con la lodevole
eccezione di Gianfranco
Fini, la destra sembra preoccupata solo di minimizzare i segnali crescenti
d'intolleranza.
Col bel risultato di rappresentare sulla scena internazionale un'Italia
infastidita dalle critiche
europee e vaticane per la sua politica anti-immigrati. Che liquida come
obsoleta, catto-comunista, la
sua Costituzione, in virtù del successo elettorale conseguito dalle componenti
nazionaliste e
xenofobe della destra. In questo clima culturale, l'esaltazione del fascismo
tollerata da anni negli
stadi di calcio pare quasi una ciliegina sulla torta. Brutto scherzo, ma c'era
da aspettarselo.
Gad Lerner la Repubblica
13 ottobre 2008