La forza senza
cultura
È auspicabile che i presidenti della Camera e del Senato siano
lesti nel cogliere gli scricchiolii della
pacifica convivenza e promuovano un osservatorio parlamentare sul razzismo che
ormai tracima
dalla greve licenza verbale in troppi episodi di violenza fisica. Lo stesso
governo della "tolleranza
zero" ha interesse a far suo un allarme che non riguarda più solo il diffondersi
dell'inciviltà, ma
anche l´ordine pubblico.
Episodi come il pestaggio del giovane Samuel Bonsu Foster a Parma o
l´umiliazione inflitta alla
signora Amina Sheikh Said all´aeroporto di Ciampino - quali che siano gli esiti
delle indagini evidenziano
un´impreparazione culturale di settori della forza pubblica nella pur necessaria
opera di
vigilanza e prevenzione anticrimine. Problemi simili esistono nelle polizie di
tutto il mondo, il cui
aggiornamento professionale deve tenere conto delle mutate condizioni
ambientali. Ma ancor più
inquieta l´ormai lunga collezione di aggressioni, squadristiche o individuali,
che si tratti di pogrom
incendiari contro gli abitanti delle baraccopoli o di sprangate sulla testa del
malcapitato di turno.
Tale esasperazione è stata spesso giustificata dagli imprenditori politici della
paura come legittima
furia popolare. Minimizzata tributando demagogicamente lo status di vittime ai
"difensori del
territorio". Fino a quando c´è scappato un morto: Abdoul Salam Guiebre. Ma nella
stessa città di
Milano la guerra tra poveri ha riproposto il bis martedì al mercato di via
Archimede. Stavolta non
per un pacco di biscotti: Ravan Ngon è stato pestato con una mazza da baseball
dal venditore di
frutta e verdura alla cui bancarella si era avvicinato troppo con la sua merce
abusiva. Lo stesso
giorno, nella borgata romana di Tor Bella Monaca, una banda di teppisti
adolescenti pestava, così, a
casaccio, Tong Hongshen, colpevole solo di aspettare l´autobus. Abdoul Salam
Guiebre, Tong
Hongshen, Ravan Ngon: nomi difficili da pronunciare, figure giuridiche
differenti (un cittadino
italiano, un immigrato con permesso di soggiorno, un altro che vive qui da
cinque anni senza essere
riuscito a regolarizzarsi), ma innanzitutto persone. Nostri simili che stentiamo
a riconoscere come
tali, di cui preferiamo ignorare le vicissitudini e i diritti.
Nelle interviste trasmesse da Sandro Ruotolo a "Annozero", abbiamo udito i
parenti dei camorristi
accusati dell'eccidio di Castel Volturno manifestare indignazione: la polizia si
muove "solo quando i
morti sono neri"! Che si trattasse di una vera e propria strage, sei omicidi,
passava in second'ordine.
Temo che quell'infame, velenoso rovesciamento delle parti tra vittime e
carnefici, rischi di diventare
in Italia senso comune, se le istituzioni non interverranno per tempo.
Di certo non aiutano i pubblici elogi di Maroni al vicesindaco di Treviso, che
sul suo stesso palco si
riprometteva di cacciare i musulmani "a pregare e pisciare nel deserto". Come se
non fossero già
centinaia di migliaia i nostri concittadini di fede islamica. Non aiutano i
giornali filogovernativi che
attribuiscono all'intero popolo zingaro una congenita propensione al furto. Non
aiuta il cortocircuito
semantico che equipara il minaccioso stigma di "clandestino" a un destino
criminale. La regressione
culturale di cui si è detto preoccupato anche il presidente dei vescovi
italiani, Angelo Bagnasco, ha
tra i suoi responsabili gli spacciatori di stereotipi colpevolizzanti che nel
frattempo promettono
l'impossibile: un paese in cui, grazie alla mano forte delle nuove autorità, i
cittadini siano esentati
dalla fatica della convivenza.
Così come si è rivelato fallace - inadeguato all'offensiva reazionaria -
l´espediente retorico di una
sicurezza che non sia "né di destra né di sinistra"; altrettanto insulso rischia
di apparire oggi il
richiamo al binomio "diritti e doveri" degli immigrati. Giusto, certo. Ma
astratto, fin tanto che non
verrà indicato loro un percorso praticabile d´integrazione e cittadinanza. O
preferiamo forse che si
organizzino separatamente per farci sentire la loro protesta, esasperando una
contrapposizione
separatista fino allo scontro con le istituzioni?
Tra i sintomi della regressione culturale c´è anche la miopia con cui le forze
democratiche del
paese, a cominciare dal Pd, finora hanno ignorato la necessità di dare
rappresentanza politica agli
immigrati. Sarà forse poco redditizio elettoralmente, ma è decisivo per il
futuro della nostra società
che si affermino leadership responsabili, organizzazioni accoglienti, punti di
riferimento alternativi
ai capiclan e ai propagandisti dell'integralismo religioso. Persone che hanno
avuto l´intraprendenza
di emigrare per sfuggire a una sorte infelice, e che spesso hanno conseguito
traguardi culturali e
professionali significativi dopo essere approdati senza un soldo sulle nostre
coste, possono
contribuire anche al rinnovamento della politica italiana, bisognosa di
ritrovare idealità e speranza.
Gad Lerner la Repubblica 4 ottobre 2008
Qui si picchiano
tutti. Ho paura per i miei figli adottivi
Caro direttore, sono un genitore adottivo, e come me molte famiglie hanno figli
con una pelle di
colore diverso dalla maggioranza dei bambini della loro classe. Per dirla con le
sottili metafore
utilizzate dal nostro popolo di santi, eroi e navigatori (che in strada o in
treno non sta troppo a
sottilizzare fra chi ha il permesso di soggiorno e chi è irregolare, chi è di
seconda generazione e chi
è adottato, chi è figlio di coppie "miste" e chi è "di seconda generazione")
sono negri. O cinesi, o
marocchini, o zingari... ormai qui si picchiano tutti senza troppe distinzioni.
E questo, da genitore,
mi fa paura. Noi stiamo crescendo i nostri figli in una famiglia italiana, pur
rispettando le loro
origini e le loro storie, e non vorrei che, una volta riusciti a ricucire il
loro dolore per l’abbandono
che hanno subito da bambini e aiutatili a integrarsi nella società che li
circonda, si trovassero a
essere fermati da qualche vigile urbano, o da qualche naziskin, che li pesta
dicendo di tornare al
loro Paese, che guarda caso è questo. Scusate la crudezza, ma non ne posso
davvero più . Non ne
posso più del fatto che notizie così si ripetano ogni giorno, non ne posso più
di chi sfoga la propria
frustrazione su quanti sono diversi da lui, non ne posso più di chi giustifica
queste aggressioni
dicendo che non si tratta di razzismo (ma non ho mai sentito di nessuno che
rincorreva un ladro di
biscotti prendendolo a sprangate e gridandogli «sporco bianco»). E sono
frustrato dal fatto che fra
noi famiglie adottive, in riunioni e forum su internet, parliamo di quanto sia
bello accogliere un
bambino, mentre in treno accanto a me un signore spiegava a un suo amico che «è
meglio che
Obama non venga eletto, se no si montano la testa anche i negri che abbiamo
qui». Abdul a Milano,
Emmanuel a Parma, i campi nomadi incendiati a Napoli, gli insulti ai Martinitt
da parte di due
liceali a Milano, ora questo cinese a Roma... tutte queste vittime hanno il
colore della pelle dei
nostri figli, potrebbero essere loro da grandi, potrebbero essere nostri figli.
Anzi, sicuramente lo
sono. Perché se abbracciamo la cultura dell’accoglienza, queste vittime sono
davvero gli ultimi
della terra. E questa volta la terra è la nostra, questo nostro Paese
vecchio nell’anima, impaurito e
astioso contro le cose che gli stanno cambiando intorno, sempre in cerca di
giustificazioni
pretestuose per auto-assolversi da comportamenti che si possono soltanto
definire indegni di una
civiltà che si vanta delle sue radici cristiane. Ma
evangelicamente un albero si riconosce dai suoi
frutti, e non dalle sue radici. E i frutti malati di questo albero sono la
dimostrazione che certe radici
sono state nutrite anche di veleno, e che forse sarebbe meglio abbattere
l’albero e bonificare il
terreno in cui sono piantate. Un modo per farlo è considerare davvero
tutte queste vittime come
nostri figli, e visto che questo è il paese che ci è toccato in sorte e che
abbiamo scelto per loro,
dobbiamo fare di tutto per difenderli. Per difendere i nostri figli e il loro
diritto a essere cittadini del
mondo, e per difendere il nostro Paese da questa deriva che nessuna politica sta
cercando
seriamente di fermare. E a questo proposito, vorrei invitare a una riflessione
l’onorevole Santanché:
durante l’ultima puntata di Annozero la signora si è giustamente risentita
perché un ospite, durante
la pausa della pubblicità, l’ha insultata con un termine irripetibile che, quasi
sicuramente, nasceva
dal semplice fatto biologico di essere una donna. E si sa che cosa diventi una
donna per gli
ignoranti, quando la vogliono insultare. Pregherei però l’onorevole di fare
un passo in più, e di
considerare quanto per altri essere umani come lei possa essere offensivo essere
insultati per il
semplice fatto biologico di avere la pelle di un colore differente. E magari
di riflettere su quella
nostra conoscente, figlia di diplomatici africani, che ancora su un treno (ma
che gente viaggia sui
treni?) si è vista allungare da un distinto signore italiano un biglietto da 50
euro. Indovinate con
quale motivazione. Saluti cordiali e multicolori, come la nostra famiglia e
quelle di tanti altri
genitori adottivi.
Massimo Salomoni
Avvenire 4 ottobre 2008