LA LAICITÀ VA DIFESA.
«LA LAICITÀ
VA DIFESA. È una responsabilità che ci è stata riaffidata dalla Chiesa e
dal Concilio Vaticano II. Anche se lo volessimo non possiamo delegarla
neanche ai nostri vescovi». Così spiega le ragioni dell’«appello di
Bari», Nicola Occhiofino, assessore alla solidarietà sociale alla
provincia di Bari ed anche vicepresidente del coordinamento Enti locali
per la pace, che dell’appello è uno dei primi firmatari. Una risposta
alle invasioni di campo della presidenza della Cei. Occhiofino è eletto
come indipendente nelle liste di Rifondazione comunista, ma l’appello
non ha motivazioni “politiche”. «La dimensione che ci accomuna - spiega
- è quella ecclesiale».
Tra le prime firme non vi sono religiosi. È una scelta?
«L’abbiamo voluto noi laici proprio in nome della laicità. Riteniamo che
queste cose ci appartengano. E come dice la Lumen Gentium siano noi a
portare avanti certe testimonianze nella dimensione temporale».
Con il vostro appello avete rotto un silenzio. Perché?
«In questa fase scienza e sapienza tornano ad interrogare tutte le
persone, soprattutto quelle di buona volontà. Abbiamo di fronte inedite
sfide cui bisogna dare risposte. Attengono alla vita delle persone...».
La preoccupano le prese di posizione del presidente della Cei, cardinale
Ruini?
«La politica è un terreno peculiare del laico e non possiamo accettare
invasioni. Vogliamo però porre in positivo il tema della laicità».
In che modo?
«La Chiesa oggi si trova di fronte ad una sfida di fede. Dobbiamo
aprirci e non agitarci per vedere chi è più forte, come è accaduto
recentemente. Abbiamo bisogno che emerga il volto della Chiesa della
fede, della speranza e della carità che non sia scheggiata neppure
minimamente da alcuna venatura di integrismo o di potere. Oggi, invece,
sembra esseree questa quella prevalente».
Può fare degli esempi concreti?
«Pensi al Mezzogiorno e al crinale guerra e pace con la militarizzazione
della nostra regione che da “arco di guerra” - come diceva don Tonino
Bello - dovrebbe invece diventare “arca di pace”. Nel passato i vescovi
avevano preso posizione, oggi, invece, c’è silenzio. Un silenzio che va
rotto. Poi vi è la disoccupazione. Vi sono i giovani disperati per il
lungo elenco dei diritti loro negati. Se non poniamo al centro il tema
del lavoro è difficile liberare il futuro. È su questioni come queste
che la Chiesa è chiamata alla profezia, all’annuncio della Parola».
Cosa chiedete ai vescovi italiani?
«Che ci sia dialogo. Questa è una triste stagione... È arrivato il tempo
di aprirne un’altra e sono chiamati a costruirla insieme tutti gli
innamorati e le innamorate dei diritti umani, in primo luogo i cristiani
e le cristiane che devono portare in sé le motivazioni che danno
speranza».
Quindi valori affermati attraverso la testimonianza piuttosto che con la
forza delle leggi?
«È questa la forza del messaggio evangelico. In Italia siamo chiamati a
dare questi segni. “Il Concilio sia la pratica quotidiana” questo
chiederei al cardinale Ruini. Il Vangelo chiama i cristiani ad essere
dalla parte degli ultimi e non con il potere. E se questo è il volto
della Chiesa non c’è spazio per alleanze con teocon o atei devoti». |