Papa Leone XII (Annibale Sermattei Della Genga) regnò solo sei anni. Bastarono a dare l' idea di un pontefice terrorizzato dai tempi, ferocemente restauratore. Fu lui, durante l' Anno santo del 1825, a far impiccare in piazza del Popolo due patrioti, i carbonari Targhini e Montanari, con un gesto crudele segnalato oggi nella stessa piazza da una piccola targa dimenticata. Anche a Giordano Bruno era toccato il curioso destino di essere martirizzato per "inaugurare" un altro anno santo, nel 1600. Nel caso del filosofo s' era trattato di una questione con riflessi anche teologici e dottrinali. I due patrioti vennero uccisi per pure ragioni politiche. Quando Leone XII venne a morte, nel 1829, un' anonima pasquinata ne accolse la dipartita con le parole: «Ora riposa Della Genga per la sua pace - e per la nostra». L' ultima esecuzione pubblica avvenne nello stesso anno ai danni di un certo Giuseppe Farina che aveva assassinato un prete. Tra le varie modalità per dare la morte si contavano ghigliottina ed impiccagione. Il Farina venne invece «mazzolato» come era già accaduto, secoli prima, al fratello di Beatrice Cenci. In pratica ucciso a bastonate. Gli atti di ribellione, o di partecipazione, politica furono rari durante la dominazione pontificia. La popolazione, la famosa plebe genialmente raccontata da G. G. Belli, assisteva alla vita pubblica cittadina con passività, immersa nella miseria, in un' ignoranza senza rimedio, cinica, sazia di vino, di sesso, nutrita d' un cibo sapido e greve, avendo come divertimento e passatempo processioni, messe e cerimonie, non escluse quelle funebri. In almeno due occasioni venne vistosamente alla luce la sostanziale estraneità di quella plebe ignava ad un qualsiasi ideale politico.
La prima fu in occasione della breve e gloriosa avventura della Repubblica romana del 1849 guidata dai triumviri Mazzini, Armellini e Saffi, con Garibaldi capo militare. Sulle Mura gianicolensi, all' altezza di largo Berchet ci sono, murate una accanto all' altra, due lapidi significative. Quella di sinistra, in italiano, è del 1871 e ricorda il sacrificio dei patrioti che difesero la Repubblica romana; quella di destra, in latino, è del 1850 e celebra il rapido restauro delle mura per cancellare ogni traccia della breve avventura nonché il contributo alla vittoria delle truppe francesi. Due iscrizioni eloquenti per chi sa leggerle. Dargli un' occhiata gioverebbe certamente al sindaco di Roma. La partecipazione del popolo romano a quell' impresa fu minima se non inesistente. I ranghi repubblicani erano per lo più formati da studenti, intellettuali, giovani infiammati di ideali accorsi da tutta Italia, numerosi i lombardi, i veneti, i toscani, i piemontesi. Le strade che salgono verso il Gianicolo citano alcuni dei loro nomi, i busti marmorei della passeggiata sull' alto del colle li ricordano. A fianco della chiesa di san Pietro in Montorio un ossario sormontato dalla scritta «O Roma o morte» ne raccoglie i resti. All' interno si trovano, tra le altre, le ceneri di Goffredo Mameli. Era stato colpito alla villa Il Vascello e sulle prime sembrava solo una brutta ferita alla gamba, invece sopraggiunse la cancrena e nemmeno l' amputazione dell' arto riuscì a salvargli la vita. Quando i suoi compagni s' incolonnarono per lasciare Roma, passando sotto l' ospedale dei Pellegrini dove il poeta era in agonia, intonarono l' inno da lui scritto e musicato dal maestro Novaro: «Fratelli d' Italia~». Aveva 22 anni. Quell' effimera Repubblica s' era data una delle Costituzioni più avanzate d' Europa. Così avanzata che la stessa Costituzione del 1948, un secolo dopo, largamente vi si ispirò. Abbattuta la Repubblica ad opera delle truppe francesi di Luigi Napoleone (che cercava in Francia il voto dei cattolici) papa Pio IX poté tornare, accolto dal giubilo popolare. Uno dei primi provvedimenti fu di rinchiudere nuovamente nel ghetto gli ebrei che la Repubblica aveva liberato. è in certo senso un residuo di quegli eventi il fatto che in una piazzola sotto la balconata del Gianicolo un cannone ottocentesco ogni giorno, allo scoccare del mezzodì, ricevuto un segnale ottico dalla torre del Campidoglio, esploda (dal 1904) un colpo molto sonoro coronato da un allegro pennacchio di fumo. Un altro episodio, tra i tanti, dimostra la sostanziale estraneità del popolo romano ad ogni idea di progresso e di partecipazione politica. Nell' ottobre 1867 una compagnia di settanta garibaldini con alla testa i fratelli Enrico e Giovanni Cairoli approdarono ai piedi della collina di villa Glori. I valorosi erano arrivati in barca da Terni scendendo il fiume. Portavano armi per rifornire i patrioti romani che, a quanto era stato detto, stavano preparando una sommossa contro il regime pontificio. In realtà l' insurrezione popolare non c' era, la massa rimase ancora una volta inerte con l' eccezione di alcuni sparuti focolai; c' erano invece le truppe pontificie appostate nella boscaglia. Nel delicato momento dello sbarco sotto la collina, accolsero i valorosi con un nutrito fuoco di fucileria provocando una strage. Enrico Cairoli rimase ucciso, Giovanni morirà dopo qualche mese a seguito delle ferite. Benedetto Cairoli, fratello dei due caduti, esponente di spicco della sinistra storica, sarà per tre volte presidente del Consiglio fra il 1878 e il 1882. Il bel giardino di villa Glori ornato da un vasto uliveto si chiama inutilmente «Parco della Rimembranza». Tra le tante cose che le amministrazioni capitoline non "rimembrano" (o più probabilmente ignorano) ci sono i sacrifici e l' eroismo di quei ragazzi che dettero la vita per dare a noi la possibilità di vivere liberi. -
CORRADO AUGIAS La Repubblica 28/09/ 2008