L'eterno ritorno del Papa Re


«Roma è cristiana», e va bene. «Roma è sacra» si leggeva, già più impegnativamente, sugli
striscioni del Centro Lepanto sceso in processione riparatoria contro il Gay Pride. «Roma Caput
Mundi» campeggia sugli stendardi di un'organizzazione, sempre dell'estrema cattolica, che
all'Esquilino si batte contro l'«invasione» cinese. «Roma non perit», cioè non muore, come
scolpisce in latino agostiniano il gruppo tradizionalista Trifoglio, già noto per una serie di dieci
manifesti, uno per ogni comandamento, coloratissima rassegna di ripristinato fondamentalismo sui
muri della capitale.
E tutto questo si potrebbe liquidare come folklore o anacronistico fanatismo - magari sbagliando
pure, perché in questo tempo è proprio l'eccesso che tende ad affermarsi catturando l'attenzione. Ma
poi: quando il sindaco Alemanno, per nulla pentito dell'incidente di Porta Pia, come unico suo
commento butta lì che «il Vaticano è il cuore di Roma, e guardando la storia tutto - (tutto?!) - ruota
attorno a questa presenza», beh, un po' viene anche da chiedersi se la commemorazione dei caduti
dell'esercito pontificio il 20 settembre non sia stata il primo esperimento tecnico di Restaurazione
capitolina.
E se pure non lo è stato, già bastano la gaffe, la pecionata o il malinteso ad aggiornare la
visione di quell'antica, singolare e rinomata entità (individui, gruppi, credenze e rappresentazioni)
che mai come oggi, dopo parecchi decenni, si è legittimati a designare «Roma nera»: nella sua
doppia accezione di trono e di altare, di Roma clericale, anti-risorgimentale e post-fascista.
Ora, è vero che storicamente, come ha sintetizzato lo studioso Alberto Melloni, «quasi tutte le destre
a corto di idee indossano i paramenti». E in effetti, oltre che nelle riabilitazioni degli zuavi (per i
quali il gruppo di Militia Christi ha richiesto l'immancabile lapide), la nuova temperie post-papalina
pare cogliersi in un dispiego di sfarzo mediatico che all'insegna della liturgia e del suo evocatissimo
mistero, esibisce sacri ornamenti, addobbi lussuosi, canti gregoriani, come pure stemmi di battaglia
e nobiliari, simboli, aquile, spade.

Rialzano il capo gli ordini cavallereschi, con i loro mantelli e costumi da cerimonia. Rinasce la
messa esclusiva, preannunciata con elegante cartoncino d'invito. Entra nel lessico giornalistico la
categoria «catto-chic». L'impressione è che piano piano, colto il vento, tutto un mondo finora un po'
cupo, residuale e museale, intraveda di colpo la possibilità di scrollarsi di dosso polvere e muffa. E
dunque: non più solo funzioni in suffragio dei caduti con la bandiera pontificia bucata dalle
pallottole dei bersaglieri di Lamarmora sotto l'altare di San Lorenzo in Lucina. Il Concilio è ormai
lontano e così, insieme alla recita del rosario e delle devozioni in latino, paiono riemergere dalle
catacombe più o meno confessabili tentazioni teocratiche e indistinti indizi di neo-temporalismo.
Liberalizzato con il motu proprio l'antico rito romano, gli ex seguaci di Lefebvre si insediano
stabilmente nella chiesa della Trinità dei Pellegrini. Da oltre un anno il Centro Lepanto ha rapporti
oltreoceano, negli Usa; il suo fondatore e ideologo, il professor Roberto de Mattei, già sfortunato
consigliere di un Fini sull'orlo del laicismo, è assiduo collaboratore dell'Osservatore Romano. Il
gruppo di Alleanza cattolica, da cui proviene il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano (An),
scopre la funzione del marketing reclamizzandosi sul Tempo «l'impegno per il pensiero forte».
Sono ambienti non di rado contigui a quello di Alemanno. Altri lo sono di meno, in ogni caso
brulica di micro-iniziative l'underground reazionario-confessionale, nelle sue varie gradazioni.
Veglie, esercizi spirituali, corsi per predicatori. Nella basilica di San Camillo organizzano «guardie
d'onore» al Sacro Cuore, ogni turno eseguito da una «falange»; mentre nella chiesa di San
Benedetto in Piscinula, a Trastevere, gli «Araldi del Vangelo» indossano uniformi che ricordano
quelle dei crociati, stivaloni compresi.


A cinquant'anni dalla morte di Pio XII, per favorirne la canonizzazione, si è formato il «Comitato
Papa Pacelli»; tra i primi sostenitori, in ordine alfabetico, compaiono Giano Accame, Rosa
Alberoni, Magdi Cristiano Allam, Giulio Andreotti. C'è anche il sito su Internet. A questo proposito,
come documentato a suo tempo da Nicla Buonasorte nel suo prezioso Tra Roma e Lefebvre. Il
tradizionalismo cattolico italiano e il Concilio Vaticano II (Studium, 2003), è sintomatico e insieme
paradossale l'ardore con cui i più accaniti nemici della modernità si sono adeguati alla tecnologia.
Ecco dunque litanie, salmodie e novene on line. Ecco l'mp3 dell'inno pontificio di Gounod: «Roma
immortale, di martiri e di santi,/Roma immortale, accogli i nostri canti». O il revival
dell'intransigentismo canzonettistico fine Ottocento: «Odiam la lurida pornografia/e la satanica
filosofia/che fa gli uomini pari ai maiali/Siam clericali, siam clericali!» (www. centrostudifederici.
org).
Lascia interdetti l'hard discount del cristianismo. Vecchie stampe di uniformi papaline; gallerie
fotografiche di «corpi incorrotti» di santi (www. tradizione.biz); animazioni musicate tipo
videogame del celebre dipinto del Veronese sulla battaglia di Lepanto
(www.lepantofoundation.org); presentazione di video terrificanti contro occulte massonerie, perfidi
giudaismi, poteri forti, preti modernizzanti che fanno il karaoke con i fedeli e altre diavolerie
progressiste prodotti assemblando alla buona spezzoni di film in costume al suono dei Carmina
Burana (www.salpan.org). Un immaginario infiammato di diavolacci, segreti, catastrofi - dall'Aids
al tifone di New Orleans passando per il crollo della basilica di Assisi - offerto in chiave di castigo
di Dio.
Che tutto questo sia ultraminoritario, oltre che scontatamente apocalittico, drasticamente maschile,
rigidamente sessuofobico e non di rado pericolosamente xenofobo e razzista, è un fatto che non
stupisce perché in fondo quel filone è sempre stato così. Una consolazione, semmai, è che oltre che
minuscoli, i gruppetti dell'universo ultraconservatore sono a tal punto rissosi che di continuo si
scambiano accuse di eresia, gnosticismo, nichilismo o intelligenza con il nemico.
E tuttavia la novità è che la rappresentazione di Roma nera oltrepassa oggi i confini dell'eccentricità
per estendersi e riconoscersi in un'estetica, in un gusto, in una serie di occasioni assai più accettabili
degli incubi sanfedisti. E allora pare di coglierla, questa Roma, nelle messe celebrate negli studi del
Tg5; o ai cocktail per le presentazioni delle sacre fiction della Lux Vide bernabeiana; nelle aste di
beneficenza con i vip; nei convegni sulla famiglia aperti dalla recita del Pater Noster e animati dai
personaggi della tv. Fino alla moda di donare agli ecclesiastici capi d'abbigliamento, crocifissi d'oro
o tempestati di gemme, così come di sfoggiare quelle sontuosissime crocette che l'obiettivo di
Umberto Pizzi, nei «Cafonal» su Dagospia, immortala - «balconata mistica» - nelle scollature delle
signore dell'aristocrazia «teo-glamour».
Perché poi Roma resta Roma: e tutto tritura, tutti sbeffeggia, tutto e tutti riesce a dissacrare, anche i
nobili della Città Eterna prima ancora che chiudessero i loro palazzi in segno di lutto all'indomani
dell'invasione piemontese nel 1870. I nobili: a tale «illustrissima canaja», «spedalone de bastardi»,
«cavajer del cazzo», «cani da macello» al servizio del pontefice, Giuseppe Gioachino Belli ha
dedicato sonetti spaventosi. Lo stesso Pasolini, qualche secolo dopo, li sistemò con un fulminante
epigramma: «Non siete mai esistiti, vecchi pecoroni papalini:/ ora un po' esistete perché un po'
esiste Pasolini».

Acqua passata, sotto i ponti del Tevere. È pur vero che la figura più rimarchevole di quel mondo,
Elvina Pallavicini, imperiosa e imprevedibile sulla sua sedia a rotelle, se n'è andata ormai da tempo.
I nobili che restano, il principe Ruspoli Zapata, che si presenta invano a tutte le elezioni, o la
principessa Borghese, che per l'amicizia con il giro stretto della Santa Sede Roberto D'Agostino ha
ribattezzato «l'Intima di Carinzia e di Baviera», ma poi si è lasciata conquistare dall'Udc di
Pierfurby Casini, funzionano appena nei talk-show. E pur con tutto il rispetto e la simpatia, a fatica,
insieme con gli altri epigoni dei Colonna, Massimo, Orsini, Torlonia, Chigi, Boncompagni,
potrebbero rientrare negli schemi entro cui un autentico maestro del pensiero controrivoluzionario
come Plinio Correa de Oliveira li comprese nel saggio Nobiltà ed elites tradizionali analoghe nelle
allocuzioni di Pio XII al patriziato ed alla nobiltà romana (Marzorati, 1992).
Così è altrove che occorre guardare per cogliere il senso di una possibile restaurazione del potere e
dell'assolutismo temporale alla luce del nuovo secolo e del pontificato di Benedetto XVI. Per il
momento il Papa Re rimane nel titolo di un film di Gigi Magni, o nelle insegne di un ristorantino
sulla Lungaretta. Però, a farci caso, aumenta di giorno in giorno il numero di quelli che come ha
fatto notare su MicroMega un'osservatrice di altra spiritualità come Mariella Gramaglia, comunque
appaiono ben disposti ad «attaccarsi alla mantella bianca».
Vedi il futuro ministro Bondi all'Angelus
di piazza San Pietro, con un'immaginetta in mano; vedi il senatore Ciarrapico che rievoca i decreti
del Sant'Uffizio; o l'onorevole Renato Farina che dopo le elezioni sostiene l'esistenza di un «fattore
P», come Papa: «Chi ha provato a morderlo si è perduto nella nebbia del Niente».
Un'umanità composita e apparentemente inconciliabile che da Gianni Letta, baciato dalla nomina a
Gentiluomo di Sua Santità, arriva a Borghezio, presente fra i neonazisti di Colonia con quella che
lui stesso ha definito «l'ala ratzingeriana della Lega». Tutto, insomma, e il contrario di tutto, come
capita sempre più spesso nella Città Eterna in questo tempo di ritorni in avanti e di futuro remoto.

Filippo Ceccarelli        la Repubblica  28 settembre 2008