L’incubatrice del razzismo
Colonia, 20 settembre: divieto di una manifestazione razzista. Venezia, 15
settembre, esempi di oratoria all´annuale raduno della Lega: «Macché moschee,
gli immigrati vadano a pregare e pisciare nel deserto» (Giancarlo Gentilini, che
rivendica la primogenitura come "sindaco-sceriffo" d´Italia); «Non ci rompete
più i coglioni con gli immigrati, vecchie facce di merda» (Mario Borghezio,
parlamentare). Le storie parallele possono essere ingannevoli, e vanno
maneggiate con cautela. Ma questo accostamento mostra il diverso senso di
responsabilità di chi governa, dietro il quale vi è una diversa sensibilità
delle opinioni pubbliche. Le parole dette a Venezia sono il segno d´un degrado
pericoloso, e non del parlar schietto di cui i leghisti si vantano. Nella
loro brutalità, dovrebbero aiutare a comprendere meglio che cosa sta diventando
questo Paese. Il linguaggio anticipa, accompagna, spiega.
Invece, viene ormai ignorato (silenzio di quasi tutto il sistema
dell´informazione sulla qualità dell´oratoria veneziana), mentre offre una
traccia preziosa, seguendo la quale si chiariscono fenomeni che vanno ben al di
là del mondo leghista.
1) La Lega e il territorio. I risultati delle ultime elezioni politiche ci hanno
consegnato la Lega come vera vincitrice. E si è improvvisamente scoperto che la
ragione forse più importante del suo successo sta nel rapporto che i leghisti e
i loro amministratori hanno saputo stabilire con il "territorio". Da qui molte
considerazioni: non è vero che servono soltanto partiti "leggeri"; non è vero
che tutto può essere affidato alle pure strategie comunicative; non è vero che i
cittadini possono essere considerati solo come carne da sondaggio; non è vero
che l´amministrazione oculata non paga. Indicazioni in sé importanti, se non
altro perché mostrano come non esista solo il modello berlusconiano di raccolta
del consenso, e dunque la vanità e l´insensatezza della corsa verso una
indistinta postmodernità che consegnerebbe i partiti "popolari" soltanto
all´archeologia politica (altra cosa, evidentemente, sono le tecniche nuove di
costruzione d´un partito popolare nel terzo millennio). Ma l´esperienza e il
successo leghista sono fatti anche di altre cose, esattamente quelle che danno
radici locali agli spiriti che i leader affidano, e non è la prima volta, alle
alate parole citate all´inizio. Non siamo solo di fronte ad una esasperazione
dell´intolleranza. Si sta costruendo anche un territorio in senso "etologico",
rispondendo appunto a quell´"imperativo territoriale" di cui parlava Robert
Andrey, che spinge molte specie a marcare confini, invalicabili anche se
fisicamente invisibili, all´interno dei quali nessuno può penetrare e, se lo fa,
scatta istintivamente una reazione anche violenta. Andate altrove, ripetono
ossessivamente i leghisti all´"altro" - immigrato, rom, omosessuale -
riprendendo (inconsapevoli?) i paradigmi terribili del razzismo. Su questo
s´innesta una identità esasperata che, in molte situazioni, diviene il più forte
collante sociale. Di questo fenomeno profondo, di quest´idea premoderna
impastata di terra e sangue, regressiva, lontanissima dal modo in cui i partiti
popolari storici avevano costruito il rapporto con il territorio, vogliamo
riconoscere l´esistenza, discuterne seriamente e mettere a punto strategie
politiche per contrastarlo?
2) Un
Paese mitridatizzato. Se questo non avviene, è perché si è creata nel tempo
un´abitudine, un´assuefazione, in definitiva una rassegnazione. Uno storicismo
da quattro soldi induce a pensare e ad agire registrando un successo della Lega
di cui non resterebbe che prendere atto realisticamente. Di fronte a questo dato
dovrebbe tacere la lotta politica, quella vera, che va alle radici culturali e
sociali dei fenomeni. Ecco, allora, le debolezze delle varie sinistre, che si
sono mosse senza essere capaci di sciogliere l´intreccio tra la nuova dimensione
del localismo, ben individuata dalla Lega, e una serie di manifestazioni che non
possono essere derubricate come folklore. A questo si è aggiunta la narrazione
berlusconiana, che va avanti da anni e che, quali che siano le "intemperanze" di
Bossi e dei suoi, blandisce, rassicura, ammicca, dice che in fondo sono
ragazzate che avranno un epilogo rassicurante nelle bicchierate del lunedì ad
Arcore. Si coglie qui una furberia politica ed un messaggio rassicurante. Vi
garantisco che la Lega può essere addomesticata, che i leghisti non impugneranno
mai i fucili di cui parlano. Si legittima così la politica della Lega in tutte
le sue manifestazioni che, proprio perché appaiono paganti, finiscono per
divenire un modello per alleati e concorrenti. Inoltre, fino a quando la Lega
continua ad esibire anche questa faccia, finisce in qualche modo con il
dipendere dalla mediazione, politica o personale, di qualcun altro. Ma, in
questo modo, nulla si fa per arrestare il degrado civile, l´involgarirsi
generale del linguaggio che rivela l´abbandono di criteri fondativi della
democrazia, l´eguaglianza e il rispetto della dignità delle persone in primo
luogo. E non è soltanto la Lega a portare la responsabilità della situazione che
si è determinata.
3) Europa.
Altri Paesi hanno conosciuto fenomeni simili ma, per intelligenza politica e
consapevolezza culturale, hanno fatto in modo che potessero essere circoscritti.
Questo spiega l´attenzione preoccupata dell´Unione europea per una serie di
vicende italiane: assistiamo all´accelerarsi di dinamiche politiche e sociali
che rendono evidenti non il rischio, ma la realtà di pratiche discriminatorie e
di vere e proprie aggressioni razziste. La risonanza europea di quel che sta
accadendo non può essere attenuata esibendo qualche modifica di norme
inizialmente più aggressive. È il contesto che, giustamente, inquieta. Vi è una
preoccupazione delle istituzioni europee per il modo in cui le norme vengono
concretamente applicate, e permangono i giudizi negativi sull´aggravante
prevista per i reati commessi dagli immigrati. Una delegazione della Commissione
per le libertà pubbliche del Parlamento europeo ha appena concluso una sua
visita in Italia proprio per acquisire direttamente elementi per valutare la
situazione dei rom. L´Agenzia europea per i diritti fondamentali ha pubblicato
un rapporto sull´assalto al campo rom di Ponticelli. Da qui vengono le
contestazioni a rappresentanti del Governo italiano nel corso di una conferenza
a Bruxelles: e i nostri diplomatici, invece di levare inutili proteste,
dovrebbero aiutare il Governo a comprendere le reazioni europee, il clima che
ormai avvolge le politiche italiane in materia di immigrazione, e non solo.
4)
Immigrati buoni e cattivi. Questa distinzione ricorre continuamente nelle
discussioni, per mettere in evidenza che le politiche ispirate alla sicurezza
pubblica non devono essere temute da chi è venuto nel nostro paese con buone
intenzioni, e qui lavora e si comporta correttamente. Ma chiunque conosca la
realtà di molte prefetture e questure, delle modalità dei controlli di polizia,
sa che troppo spesso le cose vanno in modo diverso. Mi riferisco ai casi in cui
è certo che ci si trova di fronte ad immigrati regolari, a situazioni in cui non
esiste alcun pericolo. Molte volte, parlando con immigrati regolari alle prese
con le estenuanti e inutili trafile per i continui rinnovi del permesso di
soggiorno, ho sentito questa frase: «ci trattano come animali». Vorrei che il
ministro Maroni impartisse disposizioni severe perché ogni persona venga
rispettata, soprattutto quando si trova nella condizione di non poter nemmeno
protestare, non dico abbozzare una reazione. No, allora, alle urla, agli
atteggiamenti intimidatori, all´uso del tu come se ci si rivolgesse ad esseri
inferiori, agli apprezzamenti sui tratti del viso o sulle donne,
all´insofferenza verso qualsiasi richiesta di spiegazioni. Lì, in quei luoghi,
l´immigrato incontra lo Stato. Solo se lo vedrà accogliente riuscirà a
rispettarlo.
5) Razzismo? La parola spaventa, ma dev´essere pronunciata. Di fronte a vicende drammatiche, e spaventosamente eloquenti, ecco subito l´esorcismo: Milano non è razzista, Roma non è razzista e via elencando paesi e città. Che cosa vuol dire? Vi è una specie di immunizzazione territoriale per cui qualsiasi cosa accada in certi luoghi il contagio razzista è impossibile? Sappiamo che non è così. I razzisti sono tra noi, non in Italia soltanto, ma noi dobbiamo chiederci se stiamo facendo abbastanza non solo per combatterli, ma per evitare che si sentano i veri rappresentanti del tempo.
Stefano Rodotà Repubblica 23.9.08
"Mica sono io il razzista è lui che è un negro"
«Minga sün mi che sün rasista, lè lü che lè negher!». Deve essere questo vecchio
detto meneghino il principio giurisprudenziale di diritto lombardo-veneto che ha
ispirato poche ore dopo il delitto il pubblico ministero Roberta Brera nello
stabilire che non c´entra nulla il razzismo nell´uccisione a sprangate al grido
di «sporco negro di merda!» di un ragazzo di colore, Abdoul Guiebrè, colpevole
di non aver pagato un pacchetto di biscotti Ringo. Dopo di che, sia il premier
Berlusconi che il sindaco di Milano, hanno proclamato che nel «deprecato
episodio non c´entra il colore della pelle». Un copione che assomiglia alla
trama di quei film americani che descrivevano qualche linciaggio in Alabama dove
poliziotti, giudici e testimoni bianchi depistavano le indagini e giuravano che
non era il caso di parlare di razzismo, tanto è vero che quando i negri si
comportavano bene, non davano retta agli agitatori e stavano al loro posto,
nessun bianco si sognava di torcer loro un capello.
Anche se tutti i giornali hanno scritto sulla vicenda, accaduta non in una
degradata periferia ma nei pressi della Stazione Centrale di Milano, al bar
Shining (un nome significativo, per chi ricorda la pellicola di Kubrick), mi
permetterò egualmente di aggiungere qualche nota sulle riflessioni che alcuni
intellettuali hanno rilasciato. Ne scelgo due come esempio di una tematica che
ha preso largamente piede e tende a derubricare non la gravità dei delitti ma la
loro natura: si tratterebbe di violenza urbana, generata dalla paura, e non di
razzismo che sarebbe sbagliato evocare in questo e in altri casi, come le
aggressioni contro i gay a Roma, gli incendi dei campi rom, i fermi di ragazze
extracomunitarie scambiate per prostitute e quant´altro. Il professor Stefano
Zecchi, docente di Estetica alla Statale di Milano, in una dichiarazione al
"Corriere" si dice convinto che «anche sul piano culturale e sociale parlare di
razzismo è fuorviante. Si tratta di disagio economico e sociale, di gente in
difficoltà che reagisce e si difende in modo esagerato... L´importante è che le
persone oneste non si sentano fragili e indifese... Gli episodi come quello
accaduto a Milano sono comprensibili. Tutto sommato le violenze da stadio sono
peggiori».
Più sofisticato e meno indulgente l´articolo sul "Riformista" di Benedetto
Ippolito, docente di Filosofia medievale alla Pontificia Università della Santa
Croce a Roma, giovane e valente studioso cattolico. Anche per lui «le indagini
hanno scongiurato la motivazione razziale... mentre, d´altra parte,
l´appellativo intollerante "sporco negro", urlato dagli aggressori
ripetutamente, potrebbe esser stata soltanto una esclamazione di rabbia e non il
motivo ultimo dell´omicidio». Dopo una puntuale disamina della emarginazione
urbana e dell´ultima ricerca del Censis sulla «paura percepita», che a Roma
colpirebbe addirittura la metà dei cittadini, Benedetto Ippolito conclude: «È
sacrosanto pretendere che non si denominino razzisti atti che non lo sono, anche
se non è da responsabili sentirsi rassicurati dal fatto che ci sono nostri
concittadini pronti a uccidere unicamente per quel "futile motivo" che si chiama
paura inconsapevole dello sconosciuto e del diverso». I distinguo della
Scolastica tomistica possono a volte produrre travisamenti gravi, al contrario
del buon senso parrocchiale e solidale di "Famiglia cristiana" o dei militanti
di Sant´Egidio che sul razzismo non hanno incertezze e sanno bene che alla sua
base c´è proprio, come elemento insito fondamentale, la paura dell´altro. Che si
è sempre inverata nei casi più ricorrenti nella paura dell´ebreo, del negro,
dello zingaro, del diverso sessuale, attraverso secoli di persecuzioni, stragi e
genocidi. Lo stesso teorico del revisionismo tedesco, Nolte, sostiene che «nella
misura in cui Hitler e Himmler addossavano agli ebrei la responsabilità di un
processo che li aveva gettati nel panico (il trionfo del bolscevismo, ndr),
portarono l´originario orientamento di annientamento dei bolscevichi entro una
nuova dimensione (l´annientamento degli ebrei)».
Il «panico» di Hitler si rifletteva nella «paura percepita» da milioni di
singoli cittadini tedeschi. In Italia oggi non siamo a questo ma la «paura
percepita» di cui parlano i succitati professori non è solo il risvolto
dell´ondata migratoria ma della predicazione di disprezzo, odio e diffidenza che
ha accompagnato l´azione della Destra e che porta non solo i più scalmanati ma
tanti uomini d´ordine e, talvolta, chi dovrebbe tutelarlo, a tollerare
l´inevitabilità della «giustizia fai da te». Dopo di che nascondono la violenza
razzista dietro la maschera dei «futili motivi».
Mario Pirani Repubblica 22.9.08