L’8 per mille,
bizzarria italiana: chi non firma premia la Chiesa
L’8 per mille, così com’è, c’è solo da noi. In Inghilterra, per
dire: la Chiesa anglicana è religione di
Stato, ma non riceve finanziamento pubblico. Niente risorse per il culto anche
in Francia,
nonostante Sarkozy da ministro dell’Interno, due anni fa, si fosse espresso a
favore di una modifica
legislativa in questo senso. E in Germania? C’è la Kirchensteuer, ovvero la
«tassa sul culto», da cui
sono però esonerati i non credenti. Quanto alla Spagna, la dotación
presupuestaria del Concordato
franchista del ‘53 - per molti versi simile al nostro 8 per mille - è stata
sostituita l’anno scorso con
la asignación tributaria: garantisce alla Chiesa un tetto minimo, ma prevede
anche che le quote dei
contribuenti che non scelgono a chi donare il previsto 7 per mille rimangano
nelle casse dello Stato.
Ed eccoci all’Italia, dove l’8 per mille è tornato ad occupare le pagine dei
quotidiani perché per la
prima volta dopo una decina di anni di costante incremento, la percentuale delle
firme per la
destinazione di questa quota dell’Irpef alla Chiesa cattolica è diminuita
dall’89,82% all’86%, il che
porterà nel 2009 nelle casse dell’episcopato italiano circa 35 milioni di euro
in meno.
Il Vaticano smentisce che questi dati abbiano fatto scattare un allarme, ma sta
di fatto che lunedì si
riunirà il Consiglio episcopale permanente, cioè il vertice della Cei, e tra i
temi di cui si occuperà
c’è anche della questione del «sostentamento del clero». Già l’anno scorso, in
seguito a una
campagna di stampa dedicata alla questione, il presidente della Cei Angelo
Bagnasco aveva detto
che «i casi di mala-informazione» non avrebbero distolto i fedeli «dal
contribuire alla vita della loro
Chiesa». Ora si scopre che già nel 2006, hanno evitato di lasciare in bianco le
caselle per
l’assegnazione dell’8 per mille 800 mila persone in più dell’anno precedente, e
che di queste
soltanto 38 mila in più hanno firmato per la Chiesa cattolica mentre la
stragrande maggioranza si è
espressa a favore dello Stato. Un caso? Sta di fatto che è proprio
l’assegnazione delle quote non
espresse il punto della legge maggiormente contestato da diverse forze politiche
e associazioni
varie.
Contrariamente a quanto avviene nel resto d’Europa, in Italia non solo una parte
del finanziamento
pubblico viene destinato alle chiese (oltre che a quella cattolica, è possibile
destinare la quota ai
valdesi, alle comunità ebraiche, ai luterani, agli avventisti del settimo
giorno, alle assemblee di Dio
in Italia), ma vige un perverso sistema per cui le quote non espresse vengono
ripartite in misura
proporzionale alle preferenze dichiarate dagli altri contribuenti. Sistema
contestato da più parti
perché con una quota di scelta che si aggira attorno al 37%, la Chiesa cattolica
ottiene finanziamenti
pari a quasi il 90% del totale.
Sostituendo alle percentuali le cifre in euro, si scopre che nel 2007 (lo Stato
impiega di norma tre
anni per effettuare l’esatto conteggio delle risorse da destinare e versare i
contributi) la Chiesa
cattolica avrebbe dovuto ricevere circa 362 mila euro, e che soltanto grazie
alle “non firme” ha
incassato altri 525 mila euro, per un totale di circa 887 mila euro (ai quali
sono stati aggiunti 105
mila euro come conguaglio per il 2004).
Tra l’altro, si tratta di un meccanismo unico nel suo genere non solo se
raffrontato alle legislazioni
in vigore nel resto d’Europa, ma anche se esaminato limitatamente al resto della
disciplina vigente
in Italia: se infatti un contribuente lascia in bianco la casella del 5 per
mille, questa quota di Irpef
non viene ripartita proporzionalmente tra le associazioni, le onlus e tutti gli
altri enti che possono
essere beneficiati, ma rimane nelle casse dello Stato.
Simone Collini
l'Unità 18 settembre 2008