Ardigò, l'avventura di un cattolico


«Prego ogni mattina...», confessò Achille Ardigò al cronista, un caldo pomeriggio di luglio, nel
tinello disordinato del suo modesto appartamento estivo a Cervia, con vista sul parcheggio. Niente
di strano: anche un sociologo prega, se è cattolico, anzi il padre della sociologia cattolica italiana.
Ma la frase continuò: «...prego lo Spirito Santo affinché induca papa Ratzinger a non perseverare
nella sua teologia razionalista».
Frase che il cronista si fece ripetere un paio di volte, a scanso di
equivoci. Accondiscese, gustandosi l´effetto.
Scomparso ieri pomeriggio a 87 anni per i postumi di un infarto, negli ultimi tempi Ardigò, in
sottile polemica contro una Chiesa che accantona la trascendenza in nome di un´«etica naturalista»,
amava ripetere: «noi mistici». Intendeva la sua generazione, la sua cerchia di amici intellettuali
cattolici tutt´altro che anacoreti, da Giuseppe Alberigo a Pietro Scoppola, scomparsi anche loro da
poco, tutti dediti a un uso intensivo della ragione, ma con quel richiamo interiore, mai spento, che li
stringeva sotto il saio di don Giuseppe Dossetti, il comune maestro, l´ex «onorevole di Dio» che
aveva saputo essere assieme un eremita e un politico. Erano i «cattolici del dissenso», i «cattolici
del No» al referendum sul divorzio, che avevano progressivamente abbandonato la Dc dopo le
speranze dell'era Zaccagnini, la stagione degli intellettuali «esterni» su cui Giulio Andreotti sparse
sarcasmo: «Più che esterni, a me sembrano oriundi».
Era un «professorino» nato «per caso» a San Daniele del Friuli ma adottato da Bologna, con la
palandrana sempre troppo lunga per la piccola statura, eredità di una malattia infantile, si occupava
di riforma agraria e di curiose utopie urbanistiche quando Dossetti, incontrato nel ´47 alle
assemblee della Fuci, lo volle accanto a sé per uno dei pochi duelli epici della nostra storia polizia:
la sfida del ‘56 al sindaco comunista Giuseppe Dozza. Fu Ardigò a scrivere il «libro bianco» che è
tuttora una Bibbia del decentramento amministrativo, e che la «nouvelle vague» del Pci vincitore
finì per fare suo: fu la «sconfitta vittoriosa» che sembrò aprire a Bologna una curiosa stagione della
collaborazione al di sopra delle ideologie: concordia discorde, la battezzò proprio Ardigò. Che
però, dopo quell´avventura elettorale, preferì seguire la via dello studio. Con Alberigo, Andreatta e
Freddi fondò a Bologna la facoltà di Scienze Politiche, dove insegnò per decenni, dove la scuola
dossettiana si confrontò da vicino e da lontano con quell´altro serbatoio bolognese di cervelli che
era Il Mulino. Ma la sociologia di Ardigò era diversa da quella di ispirazione americana dei suoi
amici: il suo riferimento erano il filosofo francese Emmanuel Mounier e il suo personalismo
cristiano. Sempre anti-individualista, persuaso della necessità di una sintesi fra le dinamiche sociali
e la vita del singolo, Ardigò è stato un esploratore di molti territori di confine tra Stato e cittadino:
la famiglia, l´assistenza, il welfare per la persona, il volontariato. Rigoroso ma avventuroso: i suoi
studi pionieri sull´e-care, l´informatica umanizzata e applicata alla sanità, sono dei primi anni
Ottanta. Ottimista negli abbracci, severo nelle delusioni: l´Ulivo, la candidatura di Cofferati a
sindaco della sua città hanno avuto sia il suo generoso appoggio che le sue severe critiche.
Nemico dei «poteri forti», privo di qualsiasi soggezione. Anche nei confronti della Chiesa. Che
«non esercita la sua missione evangelica solo per opera dei suoi pastori. Anche il laicato cattolico
ha un mandato dall'alto: si ricordi di esercitarlo». Personalmente l´ha sempre fatto. Vibrante ancora,
dopo decenni, la sua emozione per il Concilio, che visse di fianco a Raniero La Valle, all´Avvenire,
e al telefono con Dossetti dal Vaticano. Forte la sua amarezza per chi, all´«immenso patrimonio»
delle intelligenze credenti, non riconosce più legittimità ecclesiale. Del presidente della Cei Ruini
disse: «Se c´è una cosa che mi addolora è la sensazione che non abbia più stima nei laici credenti,
come se ci ritenesse tutti incapaci di ricavare opinioni politiche positive dai princìpi indicati dalla
Chiesa»
. Vedeva troppe lusinghe agli «atei devoti» in un episcopato-partito terrorizzato
dall'isolamento culturale al punto da «accantonare la grande mistica» a favore dell´«accordo
convenzione con l´ipocrisia del facciamo come se», dell´etsi Deus daretur. «Pronto a pagare di
persona», lo ricorda e rimpiange il suo erede scientifico Sebastiano Porcu. «Sono anni che non
vengo più invitato ai convegni cattolici», s'era ormai rassegnato all'ostracismo per le sue scelte
controcorrente, dall'invito a non disertare il referendum sulla procreazione assistita alle sue
rinnovate (e deluse) attese per la nascita del Pd. «Passato il millennio senza accorgermene», del
tutto privo della «sazietà della vita», pensava ultimamente a un libro sulla «devastazione della
famiglia italiana». Pronto ad aperture normative, diffidente per lo zapaterismo oltranzista. In cerca
fino all'ultimo di una sempre più difficile concordia discorsi.

Michele Smargiassi           la Repubblica  11 settembre 2008