Il relativismo non è contro la verità


Dopo più di tre anni di pontificato si può dire che ormai il pensiero di Benedetto XVI sia chiaro.
Almeno nelle sue linee fondamentali, anche confrontate con il pensiero di Ratzinger prima
dell'elezione. Ci si può permettere un tentativo di sintesi: i suoi discorsi e i documenti si
moltiplicano di giorno in giorno, ma i temi di fondo rimangono. Li hanno confermati anche gli
interventi durante la recente visita negli Usa. Fra i testi più importanti, rimane quello pubblicato,
anche se non pronunciato, all'università di Roma. Di grande rilievo anche le encicliche. La sintesi si
può tentare in termini sia negativi —quello che il papa condanna e combatte — sia positivi, quello
che il papa difende e propone. I due aspetti si integrano e si chiariscono a vicenda. Sembra più facile,
comunque, iniziare dagli aspetti negativi.
Qui spicca una condanna che appare assolutamente centrale e determinante, quella del relativismo.
Il papa torna spesso su questa condanna, in termini più o meno espliciti. Relativismo significa —
sembra che significhi — negazione di ogni certezza in campo morale: vittoria assoluta, quindi, degli
istinti, contraddizioni, impossibilità di una legge morale condivisa. Impossibilità di fermare il caos e
la generale corruzione.
Un testo fra i molti che si potrebbero citare: «Il relativismo è diventato una sorta di dogma: in una
simile società viene a mancare la luce della verità, anzi si considera pericoloso parlare di verità...»
(in un convegno della diocesi di Roma, 11 giugno 2007). Il giudizio sul mondo attuale è
decisamente negativo: il dominio del relativismo, nelle sue varie forme, sta portando ad un disastro
etico generale.
A questo punto si inserisce il discorso positivo: è necessaria una legge morale condivisa da tutti: è
quella che la Chiesa romana è in grado di proporre, certamente non di imporre.

Una legge morale universale presuppone un Legislatore: qui la maiuscola è d'obbligo. È questo il grande e necessario
contributo al bene comune che Roma può fornire a tutti, a prescindere dalla loro fede religiosa. A
questo scopo il papa sostiene un grande e profondo accordo fra i dati della ragione e quelli della
fede (cristiana). La fede conferma quei dati e li sancisce. Ma la fede non li sostituisce, li
presuppone. A questo punto il discorso pontificio si inserisce in una grande linea di pensiero che era
già stata santificata dalla scolastica e da tutta una tradizione culturale. La ragione è come il primo
piano di un edificio che la fede completa e incorona.
Dal discorso alla Sapienza: «È compito del papa mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare
sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e su questo cammino
sollecitarla a scorgere le luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo
come la Luce che illumina la storia e aiuta a trovare la via verso il futuro».
Dei vari aspetti di questo discorso, sia in negativo che in positivo, si possono indicare alcuni nodi
principali con i loro vantaggi e le loro difficoltà. Il primo vantaggio: parlare a tutti, di tutte le fedi e
di tutti i continenti. Una pretesa di universalità che ha il suo indubbio fascino, in un mondo che
tende, invece, alle divisioni e alle guerre. Ma si tratta di una pretesa ancora valida? Se ne può — e
deve — dubitare. Il mondo non è più quello che precedeva le scoperte geografiche: ormai tutto è
diversificato, anche l'etica. Basti pensare alle questioni sul sesso e il matrimonio. Non si riesce più a
parlare in termini universali. La legge morale non appare più — se mai è apparsa — come unica, e
neppure unico appare il legislatore. Roma pronuncia un discorso positivo molto datato e oggi discutibile.
Lo hanno messo in dubbio le scoperte geografiche, poi l'illuminismo e poi la diffusione
della democrazia. Il relativismo non è la negazione della verità. La verità, invece, più che una
cattedra richiede proprio la ricerca e il confronto, richiede un cammino da compiere e da non
interrompere.
Proprio questo cammino fa parte della via cristiana verso la verità. Una via che accetta la laicità,
proprio quell'aspetto che nelle posizioni dell'attuale pontefice sembra mancare.
Il confronto e la
ricerca sono di casa più nella cultura protestante che in quella cattolica, sempre molto preoccupata
di una verità che non potrebbe esistere se non in termini assoluti.

Filippo Gentiloni      in  Confronti   n 7/8 del luglio-agosto 2008