L'antifascista, questo sconosciuto

Il fascismo è derubricato. Così scriveva su la Stampa il 28 marzo di quest'anno Giovanni De Luna, docente di storia contemporanea all'Università di Torino.
Per questo concetto ineccepibile lo storico prendeva a pretesto il decreto del governo Prodi (un governo di centro-sinistra, badate) risalente al 29 febbraio che toglieva all'Aned, l'associane degli ex deportati, proprietaria del blocco 21 del lager di Auschwitz, il diritto consolidato di allestire il padiglione italiano nel museo che trasmette al mondo le atrocità del nazismo, socio in affari, in politica e in criminalità col fascismo. Secondo De Luna, e non vedo chi possa dargli torto, «se da un lato per decenni la memoria della Resistenza, dell'antifascismo e della deportazione era così straripante da annettersi anche quella della Shoah, oggi la situazione si è capovolta proprio nel segno della Shoah. E a rischiare di sparire dal discorso pubblico e dalla nostra memoria collettiva è proprio l'antifascismo». Che è scomparso, finito, non esiste più. Le cause sono tante, partiamo da quella famosa invettiva di Giancarlo Pajetta rivolta agli eredi di Salò, «con voi abbiamo chiuso il 25 aprile», che ebbe come conseguenza persino il rifiuto di Rinascita, casa editrice di proprietà del Pci, di pubblicare il libro di Alessandro Natta, futuro segretario del partito, L'altra resistenza in cui si denunciavano senza veli fascismo e nazismo. Evitare le provocazioni è un conto, giustamente per non riaprire vecchie polemiche, altra cosa è cancellare al storia e la memoria.
Un'altra formidabile spinta nel senso indicato da De Luna, l'hanno data e la danno gli ebrei, vittime certamente della più grande tragedia della storia, ma accentratori e globalizzanti di quella loro memoria che deve restare esclusiva e non ammette altro. Sintomatico che proprio loro, prime vittime del fascismo, abbiano contribuito a far scomparire l'antifascismo. Ricordo una vicenda che mi vide in un certo senso protagonista. Si avvicinava un giorno della memoria, un 27 gennaio, non ricordo bene se del 2003 o dell'anno successivo. In quello stesso periodo infuriava la battaglia (politica, ovviamente) per arrivare a sapere chi, come, quando e perché aveva deciso di seppellire nell'armadio della vergogna i fascicoli che narravano dei massacri di decine e decine di migliaia di nostri concittadini a opera dei nazifascisti. Pensavo e penso, pur con il massimo rispetto verso la Shoah, che anche gli altri caduti trucidati in nome e per conto delle dittature, dovessero avere spazio, voce, memoria. Brigai, insistei, ruppi le scatole, come al mio solito, sinché, pur con l'Anpi di Roma riluttante, don Abbondio Veltroni, allora sindaco di Roma, per una volta tanto prese una decisione dandomi ragione. La manifestazione si fece, e nel luogo più simbolico della città, l'aula Giulio Cesare del comune. Feci in modo che partecipasse anche Furio Colombo, non in quanto direttore de l'Unità, ma come proponente della legge sulla memoria, che riguardava tutti, come lui stesso confermò, non solo gli ebrei. E ci fu a dire la sua, l'ex presidente della Corte costituzionale, Giuliano Vassalli, e Massimo Rendina, presidente dell'Anpi romano, nonché lo stesso sindaco. E io, fanalino di coda, che avevo preparato, e esposi, i crimini feroci, ancor più feroci delle SS, dei repubblichini di Salò, come a Fivizzano, in Veneto, in Toscana, i Emilia... Ebbene il giorno dopo cercai sui giornali, cercai e non trovai niente tranne la Shoah. E che a nessuno salti in mente di pensare o dire che fu per disattenzione, disinformazione, trascuratezza dei giornalisti. Ci sarà anche un po' di questi elementi, ma i miei colleghi, si può dire tutti o quasi, in cui quel quasi va cercato con il lanternino, di destra o di sinistra, annusano l'odore del potere da qualsiasi distanza e si adeguano immediatamente. Mettersi contro la lobby ebraica? Scherziamo. Alludere agli eredi di Salò che sedevano in Parlamento e che avevano fatto e avrebbero fatto ancora, come oggi, parte del governo? Rischerziamo?
Alberto Asor Rosa su queste stesse pagine ha parlato di un ritorno del fascismo (e ne aveva già scritto nel 2000), trovando un'eco non trascurabile sino a Famiglia Cristiana, di cui tutto si può dire tranne che sia comunista o cattocomunista.
Non si pensi a un revival di camicie nere o di teschi con la scritta dux, ormai appannaggio di infime minoranze, però accolte sempre a braccia aperte dalla destra. No, c'è stata la mitizzata svolta di Fiuggi nella quale un Fini, cui non si può negare intelligenza e lungimiranza, annusando l'aria del berlusconismo in arrivo, ha liquidato certe esteriorità. Esteriorità, ripeto, perché l'anima rimane sempre quella: impronte digitali, militari in prima linea, dagli addosso al diverso... L'ultima è venuta dal neo sindaco che vuole una piazza, una strada, un parco, un qualcosa, insomma, in ricordo di Giorgio Almirante. La patria della resistenza che generò la Costituzione che vieta e condanna ancora il regime fascista, vuole onorare il repubblichino Giorgio Almirante, persecutore dei partigiani. Ma no, non esageriamo, hanno ribattuto in tanti, non esageriamo nel senso che poi Almirante non è quel mostro di cui si parla. E al coro, come tocco finale, si è aggiunto anche quel Luciano Violante che per arrivare alla Corte costituzionale, pensa che Parigi non vale solo una messa, bensì mille. Fu lui a farmi dire dal suo portavoce, Claudio Ligas, che le vicende dell'armadio della vergogna non meritavano alcun approfondimento perché «si tratta di vicende di oltre cinquant'anni fa». E di vicende che si cerca ancor oggi di coprire con ogni velo possibile. Lo ha fatto proprio in questi giorni, in occasione della ricorrenza della strage di Stazzema, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, autore della svolta di Fiuggi, che io definisco solo di facciata, quando ha parlato di un massacro «nazista». Il «fascista» è scomparso, mentre la commissione parlamentare d'inchiesta che lui stesso alla fine votò, in cambio forse di qualcosa con il centro-sinistra, probabilmente il consenso alla giornata del ricordo per istriani e dalmati l'11 febbraio, fu esplicitamente instaurata per far luce sulle stragi «nazifasciste».
Siamo di fronte a una serie di voltafaccia, di commedia degli equivoci, di inganni palesi e altri meno, senza precedenti. Altrimenti non ci si può spiegare come un ministro di An, Mirko Tremaglia, venne portato al governo e giurò sulla Costituzione che condanna il fascismo, che lui ex repubblichino, esalta. Né ci si può spiegare come il futuro intoccabile presidente del Consiglio, che aveva già presieduto nel passato, abbia osato pubblicamente e televisivamente, alla vigilia delle elezioni, porre sullo stesso piano fascismo e comunismo, anzi con alcuni punti a vantaggio del primo. E i giornalisti, a sentire a bocca aperta, come se avessero davanti il creatore del nuovo Vangelo. Ehh, che volete farci, si ricade sempre sul nodo vero, quello dell'informazione serva e deficiente.

 

Franco Giustolisi      Il manifesto 28/08/08