Il «nuovo ordine»:
razzisti, che c’è di male?
La banalità del razzismo. Benedetto XVI domenica ha lanciato il monito e
Avvenire ieri ha messo in
guardia. Il Papa all’Angelus ha parlato dei segnali preoccupanti di un «nuovo
razzismo», mentre il
quotidiano dei Vescovi italiani in un editoriale ha apertamente fatto
riferimento al rischio di un
«nuovo ordine» in cui il razzismo non venga più percepito come un atteggiamento
«censurabile»,
ma come la risposta normale e banale a «comportamenti devianti e minacce reali o
presunte». Una
denuncia forte quella di Giulio Albanese, firmatario dell’articolo di Avvenire e
direttore di Misna.
Tanto più forte se si considera che solo poche ora prima era giunta notizia
dell’aggressione razzista
di un giovane studente angolano a Genova. E che a questa violenza non fosse
seguita pressoché
nessuna reazione, men che meno istituzionale. Ecco allora che il rischio di cui
parla Albanese, che
«nell'immaginario nostrano, saltando i meccanismi di interdizione contro ogni
forma di
discriminazione sociale, il razzismo diventi una pratica non più censurabile»,
appare qualcosa più di
un rischio. Già una realtà in un clima in cui paura, immigrazione e criminalità
sono gettati in un
unico calderone dal governo. Con il rincorrersi continuo di emergenze evocate e
misure concrete
contro i diversi.
«La mia impressione è che il razzismo non sia più un tabù da anni», dice
Alessandro Dal Lago,
sociologo. Ma attenzione, il fenomeno ha cambiato sembianza. Non si tratta più,
dice Dal Lago, «di
un razzismo biologico» classico. Di questo ne è rimasta traccia in alcuni
fenomeni minoritari, «in
Forza Nuova e simili». «Ora siamo ad razzismo culturale» ampiamente
generalizzato e legittimato.
In prima istanza da alcune forze politiche come «la Lega», che dopo essersela
presa con «i terroni»,
ora è passata «ai negri, ai musulmani, agli immigrati in generale». E il
discorso del Carroccio è
esattamente quello del governo, «perché non si può scindere il discorso
istituzionale da quello nella
società». Se infatti si lasciano da parte le norme che hanno gli immigrati come
oggetto esplicito,
dalle impronte ai rom all’aggravante di clandestinità, si scopre ad esempio che
anche le ordinanze
creative di quest’estate hanno sempre loro come obiettivo.
«Le cose sono molto cambiate negli ultimi dieci anni» dice Laura Boldrini
dell’Alto commissariato
Onu per i rifugiati. Ma quello odierno è un clima che viene da lontano.
«Dell’immigrazione si è
sempre data un’immagine negativa, legata alla devianza», dice Boldrini. E c’è
un legame tra la
paura e il nuovo razzismo. Perché questo clima «è come se legittimasse e
autorizzasse le reazioni
più viscerali». O le forze politiche «tengono alta la bandiera dei diritti o il
nuovo ordine» razzista
sarà una realtà.
Anche la sociologa Chiara Saraceno è convinta che il razzismo che oggi è sotto
gli occhi di tutti
venga da lontano. E sia dovuto «all’impreparazione delle forze politiche a
valutare e gestire un
fenomeno come l’immigrazione». Per anni, dice Saraceno, «si è fatto finta che il
problema non
esistesse, che gli italiani non erano razzisti». E oggi che l’immigrazione è
esplosa «si è passati ad un
atteggiamento contrario, di criminalizzazione generale dell’immigrazione».
Ma il contesto è più ampio, avverte Paolo Beni, presidente dell’Arci. Quello
nuovo «è un razzismo
ancora più temibile perchè è un razzismo popolare» che va compreso nella crisi
della nostra società
«che ha perso la bussola». L’individualismo, la crisi economica che sta
investendo fette sempre più
larghe della popolazione, lo smarrimento del tessuto comunitario, generano paure
che si scaricano
sui soggetti più deboli. «Immigrati, rom. Ma attenzione, perché questo
processo d’imbarbarimento
dei legami umani poi colpirà i poveri, gli ultimi». La destra specula su queste
paure, ma anche la
sinistra, dice Beni, è rimasta culturalmente subalterna. La politica, invece,
«ha il compito di offrire
chiavi di lettura e orizzonti di senso alla società, non seguirne la deriva».
Luca Sebastiani L'Unità
20 agosto 2008