La Chiesa che dà fastidio


Famiglia Cristiana non è il solo giornale ad inquietare le gerarchie della Chiesa. È già successo;
risuccederà. Con l'assenso silenzioso del Vaticano il fascismo aveva scremato ogni testata
considerata inopportuna. Fogli diocesani «non patriottici» nel mettere in dubbio le opere del regime.
Anche la democrazia non è stata da meno. Lontano dai veleni del dopoguerra, negli anni Ottanta
Padre Alex Zanotelli è stato rimosso dalla direzione di Nigrizia per aver pubblicato l'elenco delle
industrie italiane che fabbricavano armi proibite: mine antiuomo, per esempio. E Alex si è rifugiato
fra i disperati di una baraccopoli di Nairobi. Dieci anni fa un nunzio apostolico smentiva con
durezza l'Osservatore Romano rimpicciolendolo in «uno dei tanti giornali cattolici, ma non voce
ufficiale del Vaticano». Insomma, dire qualcosa che contraddica la visione di un alto prelato può
diventare un azzardo con incognite pericolose per un giornale della galassia cattolica.

Come tutti sanno nella sala stampa di Roma padre Lombardi ha preso le distanze dalla rivista dei
Paolini, mentre tempo fa, a Città del Messico, il nunzio apostolico Girolamo Prigione, rispondeva ai
giornalisti che chiedevano conto del suo strano silenzio su un monsignore perseguitato dalle milizie
private dei grandi proprietari del Chiapas. Il nunzio lo aveva abbandonato, perché? «Perché è un
problema interno messicano. La Chiesa di Roma non c’entra». Storie lontane con retroscena che
non si somigliano eppure legate dallo stesso dubbio: su quale giornale o quale Tv i cattolici possono
liberamente affrontare i problemi della loro quotidianità di credenti?
Mettere in discussione Famiglia Cristiana era lo sport che appassionava il cardinale Ruini anni
novanta. Non importa se il cardinale Ratzinger, Enzo Bianchi, monsignor Ravasi, don Antonio
Mazzi, e laici non solo devoti come Mario Rigoni Stern e Susanna Tamaro, non importa se
continuavano a collaborare ad un giornale dai contenuti che il vertice della conferenza dei vescovi
considerava «estremamente spregiudicati su temi morali e religiosi». Nodo occasionale della
discordia l’educazione sessuale.

Nel 1997 la casa editrice finisce sotto tiro. La diffusione di Famiglia Cristiana inquietava ed
inquieta il centralismo della burocrazia vaticana. Mezzo milione di copie in più del Panorama
berlusconiano minacciavano di inquinare gli spot politici del politico editore. Il giornale si
avvicinava pericolosamente al malcontento che agita gli elettori cattolici i quali non si accontentano
delle spiegazioni di Emilio Fede o dell’onorevole Giovanardi: volevano e vogliono affrontare la
realtà con occhi aperti affidando alla rivista nella quale si riconoscono l’approfondimento dei
problemi che devono affrontare. Insomma, stampa lontana dalle strategie vaticane sommessamente
diplomatiche verso il potere, ma non solo. E non solo in Italia.
Anni fa, appunto, l’anatema che ha colpito Famiglia Cristiana era stato rovesciato sull’Osservatore
Romano. Il vescovo Samuel Ruiz era un pastore minacciato di morte. La cattedrale di San Cristobal
de las Casas era assediata dai pistoleros dei proprietari del Chiapas. Rimproveravano Ruiz di essere
dalla parte dei contadini senza diritti, scacciati dagli orti e dalle capanne per allargare latifondi già
sconfinati. In altre occasioni il nunzio Prigione aveva fatto sapere di considerare dissobbediente
ogni pastore che applicava i princìpi disegnati dal Concilio Vaticano II. Lontano da Opus Dei e
Legionari di Cristo, borghesia della fede ripiegata nell’integralismo, Ruiz si rivolgeva ai senza
nome suscitando l’ostilità di padroni illusi di trovare nel vescovo un alleato favorevole ai loro
appetiti. Inutilmente il nunzio Prigione si agita per estirpare Ruiz dalla diocesi di San Cristobal.
L’amicizia col segretario di stato Sodano non gli basta e il Ruiz sgradito resta al suo posto e la
delusione dei potenti scoppia nelle minacce armate. Spari, falò che bruciano il sagrato giorno e
notte. Polizia e forze armate messicane guardano senza alzare un dito. E l’Osservatore Romano si
commuove schierandosi al fianco di Ruiz: «coraggiosamente sfida il martirio come il vescovo
Romero ucciso in Salvador».

Forse la citazione di Romero sconvolge Prigione nel ricordo di quand’era nunzio in Salvador.
Proprio Prigione aveva suggerito Romero quale vescovo ausiliare e poi primate. Lo considerava
topo di biblioteca, studioso conservatore, testa fra le nuvole. Presenza che rassicurava le grandi
famiglie. Un tipo così non avrebbe mai messo naso nei poteri politici e sociali che stremavano
milioni di persone. 1970, la piramide sociale restava blindata.
Purtroppo Romero non sopportava violenza e massacri e chiude i libri per affrontare il dramma fino
a quando due colpi di fucile lo fermano sull’altare. Non era solo il passato a turbare il nunzio che
abbandona Ruiz. Il suo ricamo diplomatico aveva lo scopo di creare il legame di un concordato tra
il Vaticano e il governo messicano.
Dal 1917, da quando cominciano le persecuzioni delle guerre cristologiche, il Messico considerava
la Chiesa ente privato: nessuna autorità come nella Cuba di Castro. Per garantirsi l’appoggio delle
nomenclature politiche, Prigione aveva ripulito le gerarchie messicane dalla presenze di vescovi che
si mescolavano alla speranza della teologia della liberazione suscitando il risentimento dei governi.
Circonda la nunziatura di pastori che sdegnano il «populismo» dei preti impegnati fra i senza niente.
Monsignor Posadas di Tijuana e monsignor Reyoso di Monterrey scalano rapidamente le gerarchie,
guardiani prediletti del gruppo che i preti senza censo chiamano «club di Roma».
Posadas assume la diocesi chiave di Guadalajara ed è subito cardinale. A Reynoso si affida
Curnevaca, alle porte della capitale: coltiva l’amicizia delle grandi imprese impegnandosi a
resuscitare l’obbedienza elaborata dal Concilio di Trento nel 1563. Prende forma la Chiesa verticale
dei neocristiani, con Ruiz pecora nera che si preoccupa della gente. Prigione raccomanda a Roma di
accettare senza indugi le dimissioni dovute al compimento dei 75 anni e ne anticipa la fine
mettendogli alle spalle un giovane coaudiatore dall’aria ambiziosa: monsignor Raul Vera.
La delusione diventa atroce come con Romero. Raul Vera accompagna con entusiasmo le pastorali
di Ruiz e ne prende il posto continuandone l’ opera. Per poco. Viene trasferito dall’altra parte del
paese, lungo i confini col Texas. Finalmente il Chiapas è normalizzato e il concordato firmato:
monsignor Prigione torna a Roma col berretto di arcivescovo. Nei giorni del Ruiz assediato il
nunzio giustifica il silenzio rispondendo che il problema non lo riguarda e quando appare la difesa
dell’Osservatore Romano la stizza trascende in un giudizio che non ne ha complicato la carriera.
Per caso la tirata d’orecchie a Nigrizia, Famiglia Cristiana, all’Osservatore, elenco lungo e non
banale, ha l’aria di una difesa di poteri consolidati.

Il dibattito tra il cardinale Ruini e Famiglia Cristiana risale alle cronache di dieci anni fa.
L’Oltretevere non accetta divagazioni sulle scelte del governo di turno. Parlare di leggi ad
personam, della riforma scolastica della signora Moratti, mettere in guardia sulla Bossi-Fini, essere
sfavorevoli all’invio dei militari in Iraq ribadendo le preoccupazioni del Dossetti, padre della
Costituzione; insomma, discutere le voci di lettori che non gradivano e non gradiscono la politica
spettacolo, diventa un imbarazzo difficile da assolvere. L’11 febbraio 1997, il cardinale Ruini
ottiene da Giovanni Paolo II il decreto che annuncia maggiore vigilanza sulla Società San Paolo,
editrice di Famiglia Cristiana. Il Papa nomina monsignor Antonio Boncristiani delegato presso i
Paolini con l’incarico di «esercitare tutte le funzioni spettanti normalmente al superiore generale e
al superiore provinciale». Il decreto aggiunge che l’autorità del delegato vaticano si estende ai
periodici «Famiglia Cristiana», «Jesus», «Vite Pastorali». Nell’aprile ’98 viene rimosso il direttore
don Leonardo Zega, allontanato definitivamente il 12 ottobre ’98. Redazione in rivolta ma a poco a
poco i Paolini tornano e Famiglia Cristiana riapre il dialogo che i lettori pretendono. Non fa sconti
al governo Prodi a proposito delle politiche familiari. Sostiene il Family Day, invita a disertare il
referendum sulla procreazione assistita: Ruini, Berlusconi e Fini ne sono sollevati anche se alla
vigilia delle elezioni 2006 il Cavaliere rifiuta l’intervista a Famiglia Cristiana lasciando intendere di
non fidarsi di un giornale non affidabile. E Famiglia pubblica le domande senza le risposte, una
delle gocce che fa traboccare il vaso. Adesso le ombre del fascismo e la reazione di Gasparri e dei
fogli di casa Berlusconi fanno capire come nell’Italia distratta e laica, tenere a bada i cattolici viene
considerato impegno importante per il perbenismo della destra che non si sente perbene. Se un
mattino i cattolici diventano opinione pubblica e s’incuriosiscono sulla morale che anima gli
interessi del governo, chissà cosa succede. Ecco perché vanno tenuti sotto chiave e la voce limpida
di Famiglia Cristiana diventa il pericolo «cattocomunismo»
( parole rubate a Bettino Craxi dai
teologi degli interessi senza conflitto).


Maurizio Chierici      l'Unità  18 agosto 2008