L'invenzione della paura


Proviamo a dare all'emergenza italiana i volti dei due bambini morti di stenti nella traversata del
Canale di Sicilia. Non conosciamo quei volti e non li vedremo mai più. Ma è quello lo specchio
dove gli italiani debbono imparare a guardare le loro paure. Nelle categorie inventate dalla
legislazione della paura non ci sono gli esseri umani nella loro concretezza. Vi si parla di
clandestini, di saturazione. Queste parole, oltre ad essere astrazioni create per veicolare sensazioni
di pericolo e di minaccia, hanno una storia che bisognerebbe raccontare. Le stesse parole si
diffusero nella Francia della seconda metà degli anni Trenta, mentre il regime nazista procedeva alla
sistematica spoliazione ed emarginazione della minoranza ebraica che precedette la messa in opera
dello sterminio. In Francia una propaganda fondata su quelle parole diffuse e rese incontrollata la
psicosi dell'invasione di immigrati ebrei. Si ebbe allora la mobilitazione di associazioni
professionali terrorizzate dallo spettro del "troppo pieno" per la temuta concorrenza di una
minoranza intellettualmente qualificata. Ne risultò esaltato un filone di antisemitismo ben radicato
nella tradizione francese. E ci furono molte vite umane che fecero le spese di quei timori diffusi tra
gente molto per bene: uomini, donne e bambini respinti, reclusi nei campi, costretti a cercare
scampo verso gli Stati Uniti o alla frontiera dei Pirenei. Fu qui, per esempio, che si spense
l'intelligenza di Walter Benjamin costretto al suicidio. Oggi le promesse di altre vite e di altre
intelligenze si spezzano nel breve tratto di mare del Canale di Sicilia. E minaccia di smarrirsi qui
qualcosa che ha fatto parte del patrimonio storico del popolo italiano: il sentimento di fratellanza
verso gli emigranti, i poveri, i dannati della terra. Quel sentimento aveva radici nell'esperienza delle
comuni ragioni di vita che possono scoprire al di sopra delle frontiere e delle differenze di lingua e
di religione solo coloro che sono costretti a farsi strada nel mondo, in mezzo all'ostilità delle
burocrazie statali, allo sfruttamento di nuovi padroni e alla diffidenza generale.
Oggi in Italia le cose vanno in direzione opposta. C'è come una sindrome di insicurezza che sta
diventando una malattia nazionale. E c'è una politica della paura.
Una maggioranza politica
vittoriosa per aver cavalcato la sindrome della minaccia dell' "extracomunitario" – termine che
condensa in una parola il rifiuto e la condanna di chi "viene da fuori", è povero, cerca lavoro – si
sente oggi costretta a dimostrare di saper mantenere le promesse. Le cose che fa sono sconnesse,
sussultorie, frettolose. Per questo risultano spesso controproducenti se misurate sulla base
dell'efficacia nel risolvere i problemi. Ma tali non appaiono forse agli occhi di chi assiste
all'invenzione quotidiana di nuovi espedienti e immagina che l'agitazione della scena politica e le
creazioni verbali che vi si affacciano siano dei fatti capaci di risolvere i problemi e di ridarci la
sicurezza perduta. Non abbiamo ancora chiuso la fase dominata dalla guerra decretata a quel
pericolo pubblico che sono notoriamente i bambini rom e già si è aperta la nuova fase delle misure
di sicurezza che connotano l'immigrazione clandestina come un potenziale reato. Se i due bambini
morti nel Canale di Sicilia fossero arrivati vivi in Italia sarebbero vissuti fra di noi come membri di
una specie umana diversa, soggetti a norme penali speciali. Eppure la legge non può che essere
generale, valida "erga omnes" . La legge è uguale per tutti: questa frase si legge ancora nei nostri
tribunali. Oggi questo principio generale ha cessato di esistere. Leggi speciali e tribunali speciali ne
abbiamo conosciuti nella storia italiana recente: sono stati frutti avvelenati di un regime che ha
goduto certamente di largo consenso ma di cui abbiamo pagato le colpe a carissimo prezzo. Il che
non impedisce che si torni a elaborare e varare leggi speciali, col risultato di incrinare il principio
della nostra Costituzione erede in questo della affermazione che fu rivoluzionaria nel ‘700 e passò
poi in tutte le costituzioni liberali e democratiche: il riconoscimento dei diritti fondamentali di ogni
essere umano in quanto tale, senza alcuna distinzione. E non va taciuto il fatto che a quei diritti il
pontefice regnante della Chiesa cattolica, parlando davanti all'assemblea delle Nazioni Unite, ha
riconosciuto un fondamento religioso universale.
Un diritto di quei due bambini era intanto quello di vivere. Invece sono morti, in mezzo al mare,
davanti alle coste di un paese che aveva appena scoperto di essere in stato di emergenza. Un paese
che si sentiva minacciato da loro.

Adriano Prosperi        la Repubblica  27 luglio 2008