La società e la
Chiesa scomoda
Sono bastate alcune prese di posizione riflessive sui temi oggi caldi
dell’agenda politica (come le
questioni dei rom, degli immigrati clandestini, della moschea di Milano) per
dare l’allarme che la
Chiesa milanese si è ormai spostata a sinistra, sia l’avanguardia di un mondo
cattolico ostile ad un
governo che sta realizzando il programma per cui ha avuto un largo consenso alle
ultime elezioni
politiche.
Anche questo giornale ne ha parlato alcuni giorni fa, ma più per registrare
un’opinione che si sta
diffondendo in alcuni ambienti che per convinzione che questo sia il corso delle
cose. Così
ritornano fantasmi del passato, schemi vetusti di lettura della realtà, che poco
hanno a che fare col
nuovo che avanza. La Milano cattolica sarebbe il nuovo baricentro del
cattocomunismo, dei reduci
cioè di un’epoca ormai lontana che mal digeriscono la svolta di destra in atto
nel Paese. La sinistra
cattolica soffrirebbe lo stesso distacco dalla realtà che in questi anni ha
messo fuori gioco le forze
politiche più di sinistra; entrambe sarebbero affette dal radicalismo, l’una di
tipo solidaristico,
l’altra politico.
Gli spunti recenti per queste interpretazioni spinte sono noti. In varie
occasioni il cardinal
Tettamanzi ha di questi tempi parlato di una situazione che si sta aggravando,
in un mondo globale
che dovrebbe favorire una fraternità universale. Invece, ha rilevato il pastore,
nelle nostre città crescono i sentimenti di diffidenza e di sospetto, di
insicurezza e di paura.
È poi di una settimana fa la ferma posizione del responsabile del dialogo
ecumenico della diocesi di Milano contro la
chiusura (ipotizzata da ministri e autorità locali) della più frequentata
moschea della città, con
l’invito a trovare soluzioni rispettose non solo dell’ordine pubblico ma anche
della libertà religiosa
di tutti. Infine, anche Famiglia cristiana (altra grande realtà cattolica
«milanese») sarebbe al centro
del ciclone, per una serie di articoli non teneri col governo in carica, che
hanno riguardato le
impronte ai bimbi rom, le accuse alla Lega di alimentare le paure degli
italiani, l’infinita querelle tra
governi Berlusconi e magistratura.
Sono sufficienti queste singolari convergenze per lanciare l’allarme di una
Chiesa che scende in
campo politico? Orientata a compiere una scelta di parte che sconfessa le
indicazioni al non
coinvolgimento in questo campo ribadite a più riprese sia da papa Wojtyla che da
papa Ratzinger?
Che addirittura si propone di rianimare un particolare versante politico?
Certamente anche gli uomini di Chiesa e dei gruppi religiosi hanno le loro
preferenze politiche. Ma
leggere i loro atti o le loro prese di posizione perlopiù in termini politici
significa sminuire il senso
della loro presenza nella società, non cogliere prospettive più ampie,
considerare la politica come
l’unica cifra di analisi della realtà.
Il cardinale Tettamanzi è indubbiamente un vescovo aperto, soprattutto allo
spirito del Concilio e al
suo richiamo a leggere i segni dei tempi, a coltivare le ragioni della speranza,
a farsi carico dei più
deboli. Si tratta di una sensibilità che l’ha sovente portato a ricordare a
tutti l’importanza di una fede
che si testimonia con la vita. Uno dei suoi slogan più celebri è che «è meglio
essere cristiano senza
dirlo che proclamarlo senza esserlo»; come a dire che «quelli che professano
Cristo si
riconosceranno dalle loro opere». Di qui la sua azione costante a dar risalto
all’impegno solidale e
caritativo, a valorizzare il cattolicesimo sociale, anche nell’ultima stagione
in cui la Chiesa italiana è stata molto assorbita dai temi della vita, della
famiglia e della bioetica.
È dunque su questi presupposti che la Chiesa ambrosiana si sta
impegnando sulle questioni sociali emergenti (in quella
Regione lombarda fatta di animi forti), più per fedeltà ad un orientamento di
fondo che per un calcolo di opportunità politica.
Un discorso analogo può riguardare anche Famiglia cristiana, che bacchetta
certamente il governo
su alcuni provvedimenti che giudica controversi per i principi che la ispirano,
ma che non ha
mancato di esercitare lo stesso stile sia verso chi era al potere nel passato,
sia verso chi oggi è
all’opposizione. Alcuni suoi editoriali recenti sono al riguardo eloquenti, come
quando ha scritto del
«pasticcio veltroniano in salsa pannelliana», o quando ha invitato il Parlamento
(col governo di
centrosinistra) a «sgretolare il mito della legge 194».
Sui temi sociali emergenti la Chiesa non ha il monopolio della verità, ma la sua
attenzione al bene
comune, anche se talvolta scomoda e controcorrente, contribuisce di certo alla
crescita della
comunità.
Franco Garelli La
Stampa 17 luglio 2008