L’interesse del conflitto
La notizia è giunta tardi e mi induce a dirvela prima di ciò che sto per
scrivere perché dubito che la troverete su molti altri giornali. Venerdì al
Senato americano, i democratici hanno tentato di abbattere la privatizzazione
delle cure mediche per gli anziani e di tornare all’estremismo di Kennedy,
Johnson, Carter e Clinton: le cure mediche sono un diritto dei cittadini. La
proposta repubblicana era: abbandonare i vecchi al buon cuore delle compagnie di
assicurazione.
Ha scritto l’economista di Princeton Paul Krugman (New York Times 12 luglio):
«Sembrava un film. Ai democratici mancava un voto per vincere. All’improvviso si
è presentato in aula il settantasettenne Senatore Kennedy, appena operato di
tumore alla testa. Kennedy ha portato il voto risolutivo. Bush e il dominio
delle assicurazioni private sono stati sconfitti».
È una storia che dice molto della testarda ossessione di un vecchio, grande
politico americano di stare ogni momento, e fino alla fine, dalla parte dei
cittadini. Per noi è solo un simbolo, ma perché non dichiarare subito che solo
così, qualunque sia il suo stato anagrafico, un leader politico può definirsi
«coraggioso»?
Ma ora riprendo il mio percorso fra le tristi notizie italiane.
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Mi era
venuto in mente, pensate, di dire in questo articolo, che il conflitto di
interessi paga, che alla fine di qualunque storia che non sia una fiaba vince il
più forte, non il migliore (persino se la forza è rubata attraverso l’abuso sia
del potere privato che di quello pubblico), che non c’è niente di male nel
sentirsi migliore di chi attacca o minaccia o ricatta tutti i poteri dello Stato
e scardina, piega o abolisce con le sue leggi tutte le regole.
Mi era venuto in mente di dire che, per forza, molti perdono la testa, il filo e
il sentiero della ragione dopo quindici anni di realtà berlusconiana raccontata
a rovescio, deformata, amputata, pur di isolare, più o meno intatta, l’immagine
di una sola persona - Berlusconi l’immune - costringendo tutti gli altri
protagonisti presenti in scena a una forma di sottomissione, a un continuo
addossarsi di colpe, o ad essere confinati dal consenso comune (dei buoni e dei
cattivi commentatori) nell’isola degli estremisti, dove persino ciò che rimane
di Rifondazione (Sansonetti, Liberazione, 10 luglio) ti ingiunge di chiedere
scusa, e si unisce agli scandalizzati non dello scandalo, ma di chi lo denuncia,
visto come un guastafeste, ovviamente estraneo alla sinistra, sia quando usa i
toni sbagliati, sia quando usa quelli giusti.
Avrei voluto scrivere che non ci sono toni giusti perché, alla fine, come puoi
presumere di essere un giudice, nel mondo in cui tutti ormai accettiamo di dire
o lasciar dire che i giudici sono comunque manovrati da una forza politica, nel
mondo in cui tutti, tutti più o meno, diciamo: «Basta con l’uso politico della
giustizia» (alcuni usano l’assurda parola “giustizialismo”, dicono: «occorre far
finire questa anomalia»; e precisano che l’anomalia sono i giudici che indagano,
non coloro che - avendo grandi responsabilità politiche - ne approfittano e
commettono reati).
Non dirò che sono stato dissuaso dalla enormità dei fatti, che sono questi: sono
stati resi immuni da ogni azione giudiziaria le quattro più alte cariche dello
Stato. Ma una, il presidente della Repubblica, è già difeso dalla Costituzione.
Due, se malauguratamente inquisiste, non danno luogo ad alcuna impossibilità di
governare perché sono cariche elettive interne al Parlamento e in caso di
necessità si possono rieleggere o alternare senza coinvolgere o negare il
consenso dei cittadini. Rimane la quarta, ma la quarta è il plurimputato Silvio
Berlusconi. Dunque tutto è avvenuto per una sola persona anomala. E una immensa
barricata, che coinvolge persone estranee a ogni imputazione, è stata eretta,
per quella sola persona deformando lo Stato, creando per la Repubblica un danno
senza ritorno, una ferita sul volto dell’Italia che ci renderà unici e
riconoscibili anche in futuro.
Potrei continuare raccontando il modo un po’ mussoliniano con cui stata
strangolata, in questi giorni, la Camera dei Deputati, soffocandone il dibattito
fino al ridicolo per una grande istituzione democratica, forzando ognuno di noi,
in quel quasi silenzio, ad apparire complici del progetto in cui il
presidente-imputato esige la sua legge liberatoria, e la vuole sùbito, impone
tempi ridicolamente stretti al presidente della Camera e il presidente della
Camera si presta, obbedisce, esegue: «Volete un solo giorno di finto dibattito
(finto perché la disciplina della maggioranza era toccante; finto per l’eroismo
dell’Udc di Casini, che ha scelto l’astensionismo per non ipotecare il futuro;
finto per il numero di minuti dedicati al dissenso). Come no? Agli ordini». Lo
sanno tutti che un Parlamento (potere democratico dello Stato) è agli ordini
dell’esecutivo e dunque si impegnerà nella missione di mettere a tacere l’altro
potere democratico, quello giudiziario.
Potrei raccontare i veri e propri momenti di urla e rivolta fisica della
maggioranza ad ogni tentativo di Pd e Italia dei Valori di porre almeno un
argine alla prepotente imposizione di discussione strangolata. Pensate, persino
la sinistra sembra provar piacere a condannare "l’opposizione urlata"; ma in
Parlamento le sole urla che si sentono, alte e selvagge, sono quelle della
maggioranza che si getta con furore su ogni spiraglio di resistenza, per quanto
mite.
***
Invece mi
fermo qui, per dire: questo è il mio millesimo editoriale, uguale agli altri. È
una rappresentazione fedele di ciò che accade. Ma ciò che accade ripete un gioco
di potere che in fondo non si è interrotto mai, neppure nei pochi giorni di
Prodi. Perché anche in quei giorni sono rimasti intatti tutti i centri di
controllo di ciò che sappiamo ogni giorno del Paese. Infatti Prodi è apparso un
grave e fastidioso pericolo mentre governava, veniva additato all’Italia come un
incapace ed esoso esattore di tasse e come la rovina della nostra economia, che
adesso è totalmente paralizzata e in stato di abbandono. E intanto i costi e le
tasse salgono ma il nuovo Parlamento italiano è impegnato a fermare i giudici.
Mi fermo anche per il modo efficace con cui il notista della Stampa Ugo Magri
racconta un momento della non esemplare giornata alla Camera che abbiamo appena
vissuto. Cito: «Perfino Furio Colombo viene snobbato dai colleghi Pd, i quali si
vede che ne hanno le tasche piene, nel momento in cui invoca “solidarietà per i
magistrati che Berlusconi considera un cancro”».
Mi resta da dire che ho pronunciato questa frase in modo deliberatamente formale
e non stentoreo sapendo - come è accaduto - che sarei stato subito coperto da
urla. Strana cosa le urla di una larga maggioranza di potere che non
rischierebbe nulla perfino ostentando una flemma tipo Anthony Eden o Lord
Sandwich. Ma quelle urla ci dicono come è, come sarà l’epoca di potere che
comincia adesso. Che nessuno pensi impunemente di sgarrare. Dalla gabbia
mediatica non si sfugge. Provvede la gabbia mediatica, con la partecipazione
straordinaria e volontaria di tanti di noi, a dire, proprio mentre urla fino al
parossismo l’intero Popolo delle libertà, che l’opposizione “urlata” ed
“estremista” è proprio insopportabile.
Dirò che mi fermo, in attesa di nuovi eventi che saranno, tra poco, così
clamorosi, inauditi e - ripeteremo noi, pedanti - estranei alla democrazia, da
prendere di sorpresa persino chi ha sempre dichiarato piena sfiducia in questo
governo e nella sua maggioranza. Azzardo una previsione, e la proporrò. Sarà la
descrizione di un paesaggio grave e tragico. Anche se vorranno costringerci alla
percezione prevista dal copione. Ci diranno che è il “ritorno al Paese normale”.
***
E’ il
momento in cui si scopre che il conflitto di interessi ha un suo modo pernicioso
di spandersi, anno dopo anno, in Italia. È l’interesse del conflitto, nei due
sensi letterali: perché l’interesse è un continuo dividendo che il Paese deve
pagare al titolare del conflitto, concedendogli ogni volta di più, visto che
controlla così tanto.
Ma è anche l’interesse a mantenere vivo il conflitto perché i nemici, bene in
vista e tenuti alla gogna, sono indispensabili per un governare montato come una
campagna elettorale che non finisce mai. Nonostante l’effetto illusorio di una
pace sempre possibile e sempre vicina, ogni accostamento viene impedito alzando
bruscamente il prezzo, in modo che sia impossibile. Ma sempre per colpa
dell’altro e a meno di un di un cedimento che ne cancella l’identità e lo
esibisce come preda.
Dunque l’interesse remunera due volte il conflitto. C’è - s’intende - la
condizione del rigoroso rovesciamento mediatico. Esempio: se gli aggrediti da
questo potere commettono l’errore di rispondere con un insulto a un insulto,
solo l’ insulto degli aggrediti sarà ricordato, ripetuto, inchiodato nella
memoria collettiva. Avverrà a cura dei media, in modo che l’autore potente del
primo insulto appaia sempre il mite protagonista vilmente insultato. Un esempio:
Berlusconi definisce “cancro” e “metastasi” i giudici senza altra ragione che i
temuti processi contro di lui. I media registrano e dimenticano all’istante.
Fanno in modo che non se ne parli mai più, fino allo sbadiglio di Ugo Magri
sulla Stampa per la mia frase. Ma se dite “magnaccia” (parola forse un po’
esagerata) al primo ministro sorpreso a sistemare le sue giovani amiche nella Tv
di Stato, state tranquilli: se ne parlerà per sempre.
Temo invece, dati i tempi e dati i media, che non si parlerà per sempre della
odiosa intenzione, inclusa nel “pacchetto sicurezza” del ministro dell’interno
italiano Maroni, di obbligare all’umiliazione delle impronte digitali i bambini
Rom, sia quelli italiani sia quelli ospiti del Paese Italia, che sta rapidamente
diventando il più barbaro d’Europa. Giovedì 10 aprile il Parlamento europeo ha
condannato a larga maggioranza l’Italia per l’incivile progetto. Il ministro
degli Esteri Frattini e il ministro per gli Affari europei dell’attuale governo
italiano Rochi, hanno subito indossato la faccia dell’«ora fatale del destino
che batte nel cielo della nostra patria» (le prime parole del discorso di
Mussolini, 10 giugno 1940) per ribattere a muso duro al Parlamento europeo che
le nostre impronte digitali ai bambini non sono affari loro. Ronchi ha detto
giustamente: «E’ il momento peggiore del nostro rapporto con l’Europa».
Vero, ma suona ridicola una frase così solenne se detta dal colpevole colto sul
fatto. Il fatto triste è che Frattini e Ronchi intendevano proprio dire: «Se noi
abbiamo deciso di svergognare l’Italia e affiancarla, quanto a diritti civili,
allo Zimbabwe, sono affari nostri. E nessuno ci deve impedire di infangare come
vogliamo la nostra immagine».
I due ministri, nel loro impegno a puntare sul peggio, sono apparsi così decisi,
così sicuri che si possa buttare all’aria ogni decente e rispettoso rapporto con
l’Europa, e così irrilevante essere considerati da Paesi civili come un Paese
incivile, da rendere un po’ meno cupa l’immagine del ministro Maroni. Il
ministro, in nome delle superstizioni della sottocultura leghista, priva di ogni
soccorso, anche modesto, della cultura comune, ha dichiarato diverse guerre,
tutte ai poveri e ai deboli inventati come nemici.
Pensate alla sua guerra ai Rom, che sono 150mila, metà italiani, metà donne,
metà bambini. Il loro coordinatore, Xavian Santino Spinelli, ha parlato in
Piazza Navona a nome dei molti Rom presenti (è la prima volta nella storia
politica del nostro Paese) e a nome di tutti i Rom italiani.
Forse dispiacerà alla sottocultura leghista che il Rom Spinelli oltre a essere
musicista (troppo facile, diranno) sia anche docente di Antropologia
all’Università di Trieste. Il fatto è che il peggio di Maroni ha fatto nascere
un meglio senza precedenti nelle vita italiana: un legame con il popolo Rom.
Giovedì 8 luglio, per fare un altro esempio senza precedenti, la sala conferenze
della Fondazione Basso era affollata di di Rom e di intellettuali della
Fondazione per discutere il che fare insieme. Il lunedì precedente l’Arci ha
organizzato in Piazza Esquilino una raccolta di impronte digitali di adulti e
bambini italiani, evento affollato e filmato da una decina di televisioni
europee e americane.
Ma proviamo a confrontare l’indefesso lavoro del ministro Maroni contro i
piccoli, i deboli, gli scampati alla traversata del mare e alle guerre e
persecuzioni nei loro Paesi, con ciò che pensa (del pensiero padano, del
ministro Maroni e, ovviamente dell’illustre governo di Frattini e Ronchi) il
Cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi. Cito da pag. 13 de Il Giornale, 8
luglio: «Asili per gli immigrati: le materne comunali dovrebbero essere aperte
anche ai figli degli immigrati clandestini. Lo sgombero dei Rom: l’impressione è
che nello sgombero si sia scesi sotto la soglia di tutela dei fondamentali
diritti umani. L’esercito nelle città: I soldati servono ad aumentare la paura.
La sicurezza non passa per decreto legge. La moschea di Viale Jenner: Maroni
sposta la moschea? Solo un regime fascista e populista usa tali metodi
dittatoriali».
Lo stesso giorno il ministro della Difesa La Russa aveva detto, con la sua
famosa mancanza totale di humour: «Per il momento sembra chiaro che ai militari,
a Milano, sarà affidata la sorveglianza del Duomo e delle chiese più
importanti». Il Cardinale, che celebra ogni giorno la messa in Duomo, ha visto
sùbito immagini che a uomini intelligenti e sensibili evocano Pinochet.
Come si è visto, l’interesse del conflitto è grande e sfacciato abbastanza da
indurre l’editore del governo (che è anche il governo dell’editore) a pubblicare
la più squallida e violenta copertina che mai settimanale politico europeo abbia
pensato di pubblicare. Panorama, 10 luglio: la fotografia è quella di un bambino
che i lettori sono chiamati a identificare come zingaro. Il titolo è “Nati per
rubare”. Segue questo testo: «Appena vengono al mondo li addestrano ai furti,
agli scippi, all’accattonaggio. E se non ubbidiscono sono botte e violenze. Ecco
la vita di strada dei piccoli Rom che il ministro Maroni vuole censire, anche
con le impronte digitali».
So di averne già parlato, ma ripeto le citazioni e l’immagine per due ragioni.
Una è l’ offesa per una pubblicazione che esalta, secondo i canoni di Goebbels,
l’indegnità genetica dei bambini di un popolo. L’altra è la solidarietà ai
colleghi di Panorama, molti dei quali conosco e stimo personalmente, per
l’umiliazione imposta loro da un proprietario che, dovendosi salvare dai suoi
processi, ha bisogno dei voti leghisti e dunque deve pagare (e far pagare)
pesanti tributi alla sottocultura leghista così risolutamente respinta dal
Vescovo di Milano, in piena solitudine.
L’interesse del conflitto è una infezione che continua ad estendersi. Ma siamo
appena all’inizio delle sue conseguenze peggiori. Purtroppo, a fra poco.
furiocolombo@unita.it
Furio Colombo l’Unità 13.7.08