È possibile “comprendere” il razzismo?



Non dobbiamo temere di ammettere che il razzismo cova in ognuno di noi. Confesso che alcune
volte mi dà fastidio la vista di persone molto diverse da me. Il loro aspetto, il loro comportamento,
le loro voci generano in me un certo disagio. Penso che è di qui che bisogna partire.

Parafrasando l’articolo 3 della Costituzione occorre affermare con forza: «Tutti gli uomini sono uguali… È mio
compito rimuovere gli ostacoli psicologici che mi impediscono di considerarli uguali a me».
Infatti ognuno di noi ha in sé un’eredità “animale” che lo spinge a rifiutare il diverso. Poiché gli
animali sono spesso rigidamente razzisti. Come razzisti più di noi erano i nostri progenitori. Come
razzisti più di noi sono quei popoli che vivono in società simili a quella in cui vivevano i nostri
nonni e bisnonni. Ascoltiamo le parole “controcorrente” di un keniota in seguito alle stragi di sei
mesi fa: «Mi è stato detto che la mia tribù è migliore delle altre. Mi avevano insegnato a dividere il
mondo in buoni e cattivi e io appartenevo al gruppo dei buoni. Il nemico era fuori dal mio gruppo e
il male una minaccia esterna» (il foglio 349).
Purtroppo un certo perbenismo di sinistra, un certo mito del buon selvaggio, ci porta a considerare
«buona» la natura, in particolare la natura umana. Il male viene dal di fuori. Ricordo che, più di
vent’anni fa, un testo di «educazione alla pace» proponeva il seguente problema: «I miei genitori mi
proibiscono di giocare con un ragazzo zingaro. Che cosa devo fare?». Ho proposto il quesito ai miei
allievi adolescenti. Risposta unanime: «A me gli zingari fanno schifo!». E allora gli zingari erano
ancora pochi…
Ma c’è una discriminazione che risulta provocare sofferenze ancora più ingiuste e atroci.
Nell’aspetto, nel modo di fare di ciascuno di noi c’è un qualcosa, un non meglio precisato quid, che
fa sì che una parte degli umani eserciti una forte attrazione sessuale sull’altro sesso, altri un po’
meno, mentre per altre persone le capacità attrattive sono nulle o quasi. Da che cosa dipende
questo? Penso che una certa indefinita componente “razzista” sia fondamentale. La difficoltà appare
insuperabile. Ma almeno rendiamocene conto, e cerchiamo di alimentare in noi la componente
razionale e umanitaria che certo non ci manca.
Siamo dunque tutti razzisti? Solo partendo da una risposta affermativa riusciremo a combattere il
razzismo dentro e fuori di noi.

Criminalità di massa

Mi riconosco razzista, ma, come "intellettuale", mi sento diverso dalla massa, sono terrorizzato
dalla criminalità di massa, dalla criminalità di chi si dice onesto, dalla criminalità di chi diffonde la
paura della criminalità.
A Napoli ogni giorno moltissimi (bambini compresi) sono minacciati di morte dalla camorra e
pagano il pizzo. Tacciono in attesa di trovare una valvola di scarico. Non aspettavano altro che un
segnale. Una ragazzina squilibrata ha rapito un bimbo per qualche secondo. «Eh, già, gli zingari di
professione rapiscono i bambini!».
Gli zingari non sono simpatici. Da una parte sono prigionieri delle loro sacre tradizioni secolari,
dall’altra obbediscono ai nostri peggiori luoghi comuni: il lavoro è il massimo male, il denaro il
massimo bene! Abbiamo il dovere di «contrastare gli abusi sull’infanzia, la piaga della misoginia e
delle maternità precoci, i clan che boicottano l’inserimento scolastico e lavorativo, la pessima
consuetudine degli allacciamenti abusivi alla rete elettrica e idrica» (Gad Lerner, «la Repubblica»
16/5/08).
Ma la “folla italiana” è peggio, in quanto può agire impunita e osannata. Anche a Torino la folla
grida contro l’illegalità di rom e marocchini e contemporaneamente lotta con ferocia contro chi
vuole tutelare la legalità. Quella folla che la sera di sabato 3 maggio ha assalito in piazza Vittorio i
vigili che compivano il loro dovere. Quella folla che ogni giorno, ogni ora, vedo sulle strade intenta
a ferire e uccidere. Giorni fa, in dieci minuti, ho assistito ad almeno dieci tentativi di omicidio:
automobilisti e motociclisti scatenati in una furia distruttiva e autodistruttiva. Ho visto anche un
motociclista che si esibiva procedendo a gran velocità su di una sola ruota lungo il cavalcavia di
corso Dante. E centinaia di raffinati legulei, a colpi di cavillo, sono pronti ad assolvere questi
delinquenti nel caso incappassero in qualche coraggioso vigile. Qualche settimana prima ho visto
un’auto dei carabinieri fermarsi di sbieco e in divieto di sosta. Quale era il rischioso compito delle
forze dell’ordine? Fermarsi in un bar e sorbire tranquillamente un caffè.
Ma c’è di peggio. Quanti sono i bimbi che ogni anno vengono torturati e assassinati dal fumo
passivo dei loro genitori? Non se ne parla mai. Le cifre sono un segreto di stato. Non bisogna
turbare le coscienze dei cittadini onesti, degli elettori.
Ma che cosa abbiamo fatto noi, intellettuali, per parlare con la gente comune, soprattutto per ascoltarla, per capire le ragioni dei loro timori? Sono tutti timori infondati?

È vero o non è vero che scippi e borseggi stanno aumentando? È vero o non è vero che spesso gli autori dei furti sono
stranieri? Gravi sono le responsabilità dei politici e soprattutto dei giornalisti, dei programmi
televisivi che impongono una visione della società fatta di spietati delinquenti da una parte ed eroici
poliziotti dall’altra.
Ma non si può ridurre il tutto a un complotto dei berlusconiani. Il nuovo governo non fa che
mantenere le promesse fatte agli elettori spaventati. Nessuno deve avere paura di denunciare le
responsabilità della gente comune. Impariamo da don Milani che non esitava a strapazzare i poveri.
Li strapazzava per aiutarli. Cercava di capire i poveri ma non li giustificava, anzi!
Capire non significa giustificare. La gente è capace di compiere spaventosi atti criminali (vedi
nazifascismo). Ma non è né stupida né cattiva.
Occorre avere anche solo una piccola parte della fede
di Anna Frank che, costretta a vivere in un rifugio in attesa della prigionia e della morte, scriveva:
«La gente è buona».
Solo partendo da questa premessa, solo facendo leva sulla parte positiva che c’è in ognuno di noi,
solo evitando di predicare alla gente dall’alto di una nostra pretesa purezza, solo allora potremo
sperare di sconfiggere il razzismo.


Dario Oitana        in “il foglio” n 353 del giugno 2008     (mensile di alcuni cristiani torinesi)