Il principe senza legge
È un´amara estate per chi contempla il panorama costituzionale, sconvolto da
iniziative, mosse, parole che ne stanno alterando la fisionomia. La riforma del
sistema politico, con il risultato delle elezioni, è stata compiuta senza atti
formali, senza bisogno di cambiamenti della legge elettorale. E mentre si
discute di un dialogo bipartisan come condizione indispensabile della riforma
costituzionale, questa viene implacabilmente realizzata da un quotidiano e
unilaterale esercizio del potere.
La forza delle cose si impone, gli equilibri democratici vacillano. Stanno
cambiando gli assetti al vertice dello Stato, con una lotta tra poteri
costituzionali che non ha precedenti nella storia della Repubblica. Vengono
travolti principi fondativi come quelli dell´eguaglianza e della solidarietà.
Cambia così l´assetto della società, non più fatta di liberi ed eguali,
rispettati nella loro autonomia e nella loro dignità, ma di nuovo ordinata
gerarchicamente, con gli ultimi, con i dannati della terra posti in fondo alla
scala sociale-immigrati, rom, poveri.
Non è un fulmine a ciel sereno. Da anni, molte forze lavoravano per questo
risultato, molti apprendisti stregoni davano il loro contributo. Si pubblicavano
libelli contro la solidarietà; si ridimensionava, fin quasi ad azzerarla, la
portata del principio di eguaglianza; si accettava senza batter ciglio che la
Costituzione fosse definita "ferrovecchio" o "minestra riscaldata"; la difesa
dei princìpi si faceva sempre più tiepida; si diffondeva in ambienti altrimenti
insospettabili la convinzione che la logica del mercato imponesse la riscrittura
dell´articolo 41 della Costituzione, apparendo evidentemente eccessivo che la
libertà dell´iniziativa economica avesse un limite invalicabile addirittura nel
rispetto della sicurezza (e le morti sul lavoro?), della libertà, della dignità
umana.; si accettava che le commissioni bicamerali mettessero allegramente le
mani sulla delicatissima materia della giustizia. Gli anticorpi democratici si
indebolivano e i difensori della logica complessiva della Costituzione venivano
definiti "nobilmente conservatori", con una formula apparentemente rispettosa,
ma in realtà liquidatoria. È una storia che comincia ai tempi della "Grande
riforma" craxiana, e che oggi sembra giungere a compimento.
È come se si fosse aperta una voragine nella quale precipitano masse di detriti
accumulate negli anni. Tutta la Costituzione è sotto scacco, a cominciare
proprio dalla sua prima parte, quella dei princìpi e dei diritti, che pure, a
parole, si dichiara intoccabile. Tutto è rimesso in discussione. La dignità
sociale e l´eguaglianza tra le persone, a cominciare da ogni forma di
discriminazione fondata sulla razza e sulla condizione personale. La libertà
d´informazione, considerata non solo sul versante dei giornalisti, ma in primo
luogo dalla parte dei cittadini, titolari del fondamentale diritto di
controllare in modo capillare e diffuso tutti i detentori di poteri: "la luce
del sole è il miglior disinfettante", diceva un grande giudice della Corte
Suprema degli Stati Uniti, Louis Brandeis, riferendosi non solo alla corruzione,
ma a tutti gli usi distorti del potere pubblico e privato. La libertà personale
e quella di circolazione, sulle quali incidono fortemente le diverse tecniche di
sorveglianza. La libertà di comunicazione, colpita non solo e non tanto dalle
intercettazioni, per la cui diffusione lo scandalo è massimo, ma dalla
implacabile, continua raccolta e conservazione per anni dei dati riguardanti
telefonate, sms, accessi a internet, che davvero configurano una società del
controllo e di cui nessuno sembra preoccuparsi.
Può una democrazia sopravvivere bordeggiando sempre più ai margini estremi della
legalità costituzionale, sempre alla ricerca di qualche aggiustamento che non la
maltratti troppo, e così perdendo progressivamente il senso stesso di quella
legalità che dovrebbe da tutti essere vissuta come limite invalicabile? Chi si
prende cura di questa democrazia che, di giorno in giorno, si presenta con i
tratti delle sue pericolose degenerazioni, che la fanno definire come
autoritaria o plebiscitaria, che conosce quegli intrecci perversi tra politica e
uso delle tecnologie della comunicazione che sono la versione più aggiornata del
populismo?
Se facciamo un piccolo, e confortante, esercizio di memoria e riandiamo a due
anni fa, al giugno del 2006, ci imbattiamo nel referendum con il quale i
cittadini italiani respinsero una riforma costituzionale che andava proprio in
quella direzione. Rilegittimata dal voto popolare, la Costituzione del 1948
sembrava avviata al più ragionevole destino di una sua buona "manutenzione". Ma,
da allora, sembra passato un secolo. La Costituzione è stata messa in un angolo,
le file dei suoi difensori si assottigliano e sono in difficoltà. La legalità,
costituzionale e ordinaria, non è più un valore in sé. Viene ormai presentata
come una variabile dipendente dal voto. Le elezioni non sono più un esercizio di
democrazia. Diventano un lavacro, l´unto dal voto popolare deve essere
considerato intoccabile. Torna tra noi il principe sciolto dall´osservanza delle
leggi, e quindi legittimato a liberarsi di quelle che contraddicono questa sua
ritrovata natura. È qui il vero senso del cambiamento: non nel fastidio per
questo o quel tipo di controllo, ma nel radicale rifiuto di correre i rischi
della democrazia.
Delle telefonate del Presidente del consiglio mi inquietano molte cose, ma
soprattutto il fatto di essersi posto al centro di un sistema di feudalità dal
quale nasce, quasi come una conseguenza inevitabile, la pretesa dell´immunità.
Un corteo lo accompagna nel tradurre in fatti questa sua pretesa. Scompare il
governo, integralmente sostituito dagli scatti d´umore del suo Presidente, che
ne muta le deliberazioni a suo piacimento, che lo vede come puro luogo di
registrazione. La tanto pubblicizzata approvazione in soli 9 minuti dell´intera
manovra economico-finanziaria del prossimo triennio è stata presentata come un
miracolo di efficienza, mentre era la prova della scomparsa della collegialità
della decisione, della discussione come sale della democrazia: non un segno di
vitalità, ma di morte, come i 21 grammi che si perdono appunto nel morire,
raccontati nel film di Alejandro Gonzalez Inarritu. Il Parlamento ha
clamorosamente rinunciato ad esercitare la sua funzione di controllo e di
filtro, sembra ignorare il fatto che il procedimento legislativo non è cosa di
cui il Presidente del consiglio possa disporre secondo la sua volontà.
I controlli scompaiono. Vecchia aspirazione d´ogni potere. La magistratura non
deve essere liberata dai suoi problemi, responsabilizzata nel modo giusto. Deve
essere presentata come il vero demone che attenta alla democrazia, aggressiva e
inefficiente, quasi che i suoi molti limiti non dipendessero da una lunghissima
disattenzione del potere politico che l´ha fatta marcire nelle sue obiettive
difficoltà, che ha progressivamente azzerato la propria responsabilità appunto
politica e ha preteso di sciogliersi dal controllo di legalità in quanto tale.
Gli anni di Mani pulite sono rappresentati come un golpe, azzerando la memoria
degli abissi di illegalità che furono disvelati. E la totale normalizzazione
della magistratura diventa la via attraverso la quale passa, con la minacciata
disciplina autoritaria della diffusione delle intercettazioni, anche la
normalizzazione del sistema della comunicazione. Poco e male informati, i
cittadini sono pronti ad essere usati come docile "carne da sondaggio", per
applaudire le decisioni del principe secondo la più classica delle tecniche
plebiscitarie.
A custodire Costituzione e legalità rimangono il presidente della Repubblica e
la Corte costituzionale. Ma questo non è un residuo segno di buona salute, è
anch´esso il sintomo d´una patologia. La democrazia non può ritirarsi dal
sistema in generale, rifugiandosi in alcuni luoghi soltanto. Ma da qui si può e
si deve comunque ripartire, soprattutto se la voce dei cittadini e
dell´opposizione riuscirà a trovare i toni forti e giusti di cui abbiamo
bisogno.
Stefano Rodotà Repubblica 3.7.08