Dal Welfare alla
carità
Questo è davvero un governo rivoluzionario, proprio come aveva promesso il suo
leader in
campagna elettorale. Ma di quale rivoluzione si tratta? A partire da quella
francese di fine
Settecento, le rivoluzioni hanno dimostrato di poter avere sia lo sguardo
rivolto al futuro sia lo
sguardo rivolto al passato; le prime per cercare di realizzare l´utopia della
società giusta, le seconde,
che in genere seguono al fallimento delle prime, per ripristinare o istituire
ordine e gerarchia. Quella
che stiamo subendo in Italia oggi è del secondo tipo. Per questo sarebbe
opportuno chiamarla con il
suo vero nome: non rivoluzione ma contro-rivoluzione o meglio ancora
restaurazione, visto che
questo governo ha dato alla sua politica l´aura della normalità, anzi
premunendosi di tradurre la
politica dell´eccezione in uno stato di normalità.
La questione non riguarda soltanto l´uso dell´esercito per funzioni di ordine
pubblico, o la
violazione dei diritti fondamentali per i non cittadini; essa riguarda anche la
politica economica. La
manovra approvata in soli 9 minuti dal consiglio dei Ministri ha lanciato un
messaggio eloquente e
forte: non esiste più uno stato sociale; d´ora in poi esisteranno solo politiche
di soccorso per i
bisognosi. Il che puó così essere tradotto: non ci sono più cittadini uguali o
che hanno un egual
diritto ad accedere ai servizi con i quali soddisfare quei bisogni che la
Costituzione definisce come
primari; ci sono invece cittadini che possono fare da sé e cittadini che non
potendo far da sé sono
aiutati dallo Stato.
Per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale ci saranno italiani
con la tessera di
povertà. Per la prima volta nella storia della democrazia italiana ci saranno
cittadini dichiarati per
legge poveri che lo Stato tratta diversamente dai non bisognosi o dagli
abbienti. Per la prima volta
dall´entrata in vigore della Costituzione, l´eguaglianza democratica – che gli
articoli 2 e 3
sanciscono impegnando istituzioni e cittadini a rispettare – è stravolta e
gravemente compromessa
proprio nel suo fondamento, ovvero nel riconoscimento del principio di eguale
dignità di tutti i
membri del corpo sovrano.
Con questo stravolgimento gravissimo l´idea che ha accompagnato la rinascita
politica del
dopoguerra – la cittadinanza come grappolo di diritti civili, politici e sociali
– viene a cadere. La
restaurazione è a tutto tondo quindi, un´organica politica che scientemente mira
a cambiare
fondamenti e principi della democrazia italiana, decretando che non tutti i
cittadini saranno d´ora in
poi eguali nelle opportunità sociali.
A voler essere corretti, l´attacco alla cittadinanza sociale era già cominciato,
con l´aiuto degli stessi
governi di centro-sinistra. Per esempio, il diritto all´educazione è da diversi
anni ormai sotto
sistematico e diretto attacco nel nome della libertà dell´offerta educativa, ma
in realtà con l´intento
nemmeno troppo velato di dirottare soldi pubblici alle scuole private e
religiose. E che dire del
diritto costituzionale alla salute? Non è forse stato manomesso gravemente con
le politiche
federalistiche e poi con quelle delle convenzioni con le cliniche private (altro
stratagemma per
sovvenzionare il privato) e della monetarizzazione delle prestazioni mediche?
Ora, il governo si appresta a mettere la classica ciliegina sulla torta:
istituisce le tessere di povertà,
premunendosi di raccomandare che verrà garantito l´anonimato dei possessori,
quindi ammettendo
che la conoscenza della condizione di povertà puó generare discriminazioni e
ulteriori ingiustizie
(proprio per evitare questo rischio i costituenti avevano istituito i diritti
sociali). L´Italia ha da oggi
cittadini di serie A e cittadini di serie B; e sopra tutti, un´oligarchia che
prospera a spese dell´intera
società, facendo leggi funzionali ai propri interessi e bisogni, e quindi
estendendo esponenzialmente
i propri privilegi mediante l´uso strumentale non solo delle procedure ma anche
dei poteri dello
stato, in primo luogo quello giudiziario (ammoniva Montesquieu, che lo
stravolgimento di questo
potere è il primo grave segno di degenerazione illiberale di un governo). La
tessera di povertà
rientra per tanto in un´organica politica di diseguaglianza che coinvolge tutti
i livelli della vita
sociale e civile.
Pensare che questa discriminazione riguardi solo una minoranza e che quindi non
debba destare
eccessiva preoccupazione è ovviamente quanto di più improvvido si possa
immaginare, visto che a
tutti puó toccare la sfortuna di scivolare giù nella scala sociale – un´immagine,
quella dell
´eguaglianza nel rischio di caduta, invece che nell´opportunità di vivere con
dignità, che sempre di
più verrà a far parte del nostro immaginario individuale e collettivo.
Del resto, come il ministro Tremonti ci ricorda, la sfortuna è una condizione
dalla quale nessun
essere umano puó tutelarsi completamente, dovendo tutti noi pagare per il
peccato originale. E la
tessera di povertà è lì a dirci che lo Stato ha definitivamente abbandonato
l´illusione che, se non
proprio sconfitta, la sfortuna potrebbe almeno essere neutralizzata. Ma era la
democrazia sociale,
quella a suo modo rivoluzionaria che il grande T. H. Marshall aveva teorizzato
nel 1950, a coltivare
quell´ispirazione, a voler costruire un futuro nel quale tutti i cittadini
potevano godere
concretamente di eguale dignità e libertà. Oggi, l´ideologia egemone della
compassione per i poveri
e del privilegio per i potenti ci annuncia (e decreta) che quell´utopia è
sepolta. Come altre volte in
passato, la restaurazione detta la sua legge: i ranghi si riorganizzano, le
diseguaglianze rinascono.
Nadia Urbinati la Repubblica
20 giugno 2008