L'INSOSTENIBILE
LEGGEREZZA DELL'ESSERE COME LORO
A me le grida di giubilo e gli applausi di cittadini napoletani di fronte ai roghi di accampamenti rom al quartiere Ponticelli hanno fatto una certa impressione. Una città, sommersa dai rifiuti che produce, e ostaggio di organizzazioni criminali che pilotano da sempre una politica che non è né di destra né di sinistra ma semplicemente strumento della camorra, improvvisamente si scopre il baluardo dell'offensiva nazionale in nome della dottrina della "sicurezza nazionale".
Noi non abbiamo la stessa sicurezza del ministro dell'Interno, che sembra dare per scontato, senza che nessun giudice abbia pronunciato una sentenza, che una giovane rom abbia tentato di "rubare una bambina"; noi sappiamo solamente quello che ci hanno raccontato i tg di una nazione che è al 67° posto al mondo rispetto alla libertà di informazione e, per come vanno le cose in questo Paese, abbiamo solo la sicurezza che una ragazza italiana afferma che una ragazza rom ha tentato di rapire una bambina. Non è molto. È un'ipotesi.
Ma da questa ipotesi si è scatenata la caccia (pilotata?) al rom, la giustificazione di esponenti del governo che considerano "comprensibile" la rabbia degli abitanti di Ponticelli. Noti esponenti della Lega Nord hanno affermato che gli abitanti di questo quartiere hanno fatto quello che lo Stato "non è capace di fare".
A tutti noi i rom sono antipatici. Hanno uno stile di vita che non fa parte della nostra tradizione; tra di loro ci sono delinquenti (anche tra di noi), stupratori (anche tra di noi), ladri (anche tra di noi), madri che sfruttano i figli (anche tra di noi). Puzzano, rubano, disturbano, non hanno una casa normale, sono stranieri e le loro donne si prostituiscono.
C'è solo una differenza. Loro sono rom e le immagini delle loro famiglie che abbandonano i campi, con i figli che portano i loro orsacchiotti e le buste di plastica con dentro quattro mutande e due maglioni, non ci suscitano gli stessi sentimenti di pietà che proviamo per gli altri profughi "normali". Loro sono rom. Dovranno pur andare da qualche parte. Le stesse immagini di napoletani, siciliani, veneti e bergamaschi quando sbarcavano a Long Island alla fine dell'Ottocento, in fila per lo "spidocchiamento", la quarantena, il controllo dei documenti. Molti legali, molti clandestini sdoganati dalla mafia di allora. Niente di nuovo sotto il sole.
Fior di ministri leghisti assiepano le poltrone di "Porta a Porta" a recitarci il vangelo della sicurezza: "Padroni a casa nostra"; "Tolleranza zero" (=intolleranza); "Rispetto delle regole".
Una vera emergenza, arrivata fino al punto di nominare dei "Commissari all'emergenza rom", ad invocare il pattugliamento dell'esercito a Napoli come in altre città.
Peccato che in questo Paese stremato da overdose di "bisogno di sicurezza" si dimentichi la tradizione di un popolo che si è formato proprio sulla mescolanza delle razze.
Mi sembrano persino ridicoli gli appelli del presidente dei vescovi italiani che, in un tale clima di "pogrom" anti-rom, anti-extra-comunitari invoca, pacatamente e serenamente, il dovere dell'accoglienza per gli extra-comunitari "che rispettano le regole" mentre ci sarebbe bisogno, serenamente e pacatamente, di ricordare ai cristiani della nostra povera Italia che le parole del Vangelo "ero straniero e mi avete accolto" non prevedevano, nell'originale, il permesso di soggiorno, né i documenti di identità, né le virtù morali dello straniero (che non sono dissimili dalle virtù dei connazionali, napoletani o padani che siano).
Mi sembra anche una leggera presa in giro, se non fosse una papale esortazione, la menzione pontificia sulle "difficoltà delle famiglie italiane" (perché le difficoltà sono italiane o straniere? In Italia tutte le famiglie sono in difficoltà!).
Il diritto al "ricongiungimento familiare", ora messo in discussione dal governo, è o non è un diritto di ogni uomo? Vivere con la propria moglie, con i propri figli, è o non è un diritto (non negoziabile)? Che convenienza c'è per la nostra società negare questo diritto a chi è lontano dalla propria famiglia? Praticamente, un uomo con la sua famiglia accanto delinque di più o di meno?
E nel mentre tutti i media sono occupati a ricordarci del terribile pericolo degli zingari nelle nostre città, i nostri adolescenti si stuprano, si ammazzano, pestano a morte i "diversi" (e i nostri tg continuano a dire che la causa è una sigaretta negata!).
Il sindaco di Verona, Lega Nord (condannato per istigazione alla violenza razziale), ha persino sminuito la gravità del fatto affermando che "il fatto che gli aggressori siano italiani è un caso su un milione", mentre il presidente della Camera ha affermato che "bruciare le bandiere di Israele a Torino è più grave" che ammazzare a calci un giovane a Verona. Potere dell'ideologia!
Ora, io credo che i cattivi maestri che istillano la cultura della violenza nei nostri ragazzi, che troneggiano con le loro televisioni insegnando ai nostri figli che la lealtà, l'amicizia, l'amore, i sentimenti di tolleranza, la sensibilità nei confronti della debolezza non sono "valori vincenti", vadano stigmatizzati e chiamati con il loro nome: cattivi maestri.
Credo che i rappresentanti delle istituzioni che considerano "sbagliate ma giustificabili" le violenze di giovani padani che pestano a morte un giovane con abbigliamento non omologato o i "terroni" napoletani che prima incendiano i campi rom e poi vanno a depredarli di improbabili tesori, vadano chiamati con il loro nome, come hanno fatto alcuni magistrati e come dovrebbero fare i mezzi di comunicazione: istigatori alla violenza (razziale o no).
Siamo stufi di assistere ai funerali di giovani uccisi da giovani che hanno imparato dai cattivi maestri di una violenza ideologica pensata e pianificata come programma politico da abili manipolatori delle coscienze. E i cattivi maestri sono sia quelli che lavorano da decenni per la devastazione dei "valori" di relazione attraverso demenziali programmi televisivi che incitano all'"esclusione" ("Amici", "Il Grande Fratello" ecc.), sia quelli che raccolgono i frutti politici di questa devastazione e che propongono come unica soluzione al disagio sociale della nostra società l'indicazione di un "nemico" da colpire: l'ideologia della "sicurezza nazionale". Che non avvenga, come ricorda Paolini, ciò che è successo alla Treviso dello "sceriffo" Gentilini. La città aveva scavato nel medioevo un fossato a difesa dei nemici per scoprire, dopo secoli, che il "nemico" era dentro.
Gianfranco Formenton Adista notizie n.42 2008
parroco di S. Angelo in Mercole (Spoleto)