Un conoscente della mia famiglia, collega d'ufficio di mio padre, aveva la
mania dei raffreddori; stava attento ai giri d'aria e prendeva tutte le
precauzioni contro infreddature e bronchiti, convinto che le malattie potessero
colpirlo solo da quella parte. Morì di un cancro all'intestino ovvero, come si
diceva allora, di un «brutto male». Quel signore faceva benissimo a non
trascurare le eventuali minacce alla faringe o ai bronchi, spesso fastidiose e
talora perniciose, ma sbagliava a sottovalutare pericoli più gravi. Anche il
corpo sociale ha le sue malattie, scatenate o in agguato. La sua salute dipende
da come fronteggia, previene, combatte i morbi che lo insidiano; dalla sua
capacità di reprimere — tramite le autorità preposte a tale funzione — i reati
nella misura stabilita dalla legge, senza indulgenze buoniste o pseudo-
umanitarie e senza isterie demagogiche né pregiudizi verso alcuna categoria di
persone. In uno Stato liberale e democratico non si sospettano a priori e
tantomeno si vessano né i kulaki ossia i contadini proprietari, come un tempo
nell'Unione Sovietica, né gli ebrei, i neri, gli immigrati, come tante volte in
tanti Stati del mondo.
Oggi sono gli zingari ad occupare i titoli cubitali dei giornali, con i reati
compiuti da alcuni di loro e altri loro attribuiti, e con i violenti soprusi
patiti da alcuni di essi. In entrambi i casi, lo Stato — e solo lo Stato, che ha
il monopolio dell'uso della forza — ha da individuare e perseguire gli autori di
atti delittuosi, il delinquente che ruba e molesta come il delinquente che getta
bombe Molotov, contro la polizia negli anni Settanta o contro i rom oggi. Il
nostro codice o meglio la nostra civiltà consentono di punire soltanto individui
— rei di delitti accertati, la cui responsabilità è sempre personale — e mai
gruppi o comunità, poco importa se etniche, sociali, politiche o religiose.
Attentare a questo principio — prendersela con gli zingari, gli ebrei o i padani
anziché con un concreto colpevole colto con le mani nel sacco, sia egli nato a
Timbuctù o ad Abbiategrasso — mina alla radice l'universalità umana e in
particolare la nostra civiltà, l'Occidente. Chi nega questo fondamento
dell'umanità e del diritto è il vero barbaro e non ci interessa donde arrivi,
dall'orto dietro casa nostra o da lontani deserti.
Zingari, norvegesi, triestini o senegalesi sorpresi a delinquere vanno puniti
senza riguardo alla loro diversità o povertà. Tifosi bestiali che in nome di una
squadra di calcio commettono violenze contro persone o cose — provocando spesso
rovinosi danni a onesti esercenti, di cui sfasciano i negozi in una ebbrezza di
subumana e delittuosa ebetudine — vanno puniti con tutta la durezza consentita
dalla legge e costretti a pagare sino all'ultimo spicciolo i danni arrecati,
senza riguardo a chissà quali disagi esistenziali sottostanti alle loro
brutalità.
Improvvisati e autonominatisi giustizieri che si dedicano a spedizioni criminose
vanno puniti con esemplare severità, perché rappresentano un virus socialmente e
moralmente ancor più nocivo dei ladruncoli veri o presunti che si vogliono
castigare: il Ku-Klux-Klan, nato si dice alla fine della guerra di Secessione
per proteggere i bianchi del Sud americano dalle violenze cui si abbandonavano
alcune bande di schiavi appena liberati, è divenuto ben presto la più orrida
criminalità. Uno stupratore romeno va punito per il suo ributtante reato, ma non
può gettare il discredito indiscriminato sui suoi connazionali, così come i
recenti assassini di Verona non possono autorizzare squadracce sguinzagliate
alla caccia dei veronesi. L'attuale ministro dell'Interno, che promette pugno
duro, sa bene che i pugni distribuiti con disinvoltura talvolta arrivano in
testa pure ai galantuomini, perché anni fa, quando non era più e non era ancora
di nuovo ministro dell'Interno, alcuni sbrigativi poliziotti gliene hanno dati
pure a lui.
La cosiddetta piccola criminalità non è un raffreddore, bensì una piaga sociale;
gli scippatori di anziani che hanno appena ritirato la pensione mettono intere
famiglie in difficoltà di arrivare alla fine del mese. La sicurezza è un bene
primario; la sua necessaria e ferma tutela non è certo espressione di biechi
sentimenti filistei o di astiosi pregiudizi nei confronti di immigrati ed
emarginati, come troppe volte si è detto con sufficienza.
Ogni problema umano e sociale non risolto comporta un tasso di devianza e di
illegalità, già solo per il fatto che le leggi esistenti non riescono a
risolverlo. È la globalizzazione che produce spostamenti crescenti di masse di
diseredati nei Paesi più ricchi, con tutte le conseguenze che ne derivano. La
globalizzazione nasce dal crollo del comunismo e dalle nuove forme assunte dal
capitalismo; non sembra augurabile né possibile restaurare il primo e bloccare
lo sviluppo del secondo e d'altronde non si può avere botte piena e moglie
ubriaca, come dice il proverbio. L'universalità e le difficoltà di questo
fenomeno planetario ci aiutano, ci costringono a toccar con mano
l'interdipendenza di tutti gli uomini, l'essenziale unità del genere umano,
diversificato ma organicamente unitario come un grande albero con le sue radici,
rami e foglie; ci fa sentire fisicamente che ognuno di noi, come dice la Bibbia
degli ebrei, è stato straniero in terra d'Egitto e può ancora diventarlo, nel
domani sempre più incerto e sempre più globale, e dunque che gli stranieri sono
i compagni del nostro destino.
Giustamente si ricorda l'emigrazione italiana, la dura e ammirevole odissea dei
nostri emigranti, stranieri spesso osteggiati nei Paesi allora più ricchi ed
ostili. Ma appunto perciò occorre sapere quanto sia difficile, per tutti, essere
stranieri. La retorica della diversità elude sentimentalmente il problema. Tutti
— persone, culture — siamo diversi e proprio perciò è vacuo ripetere come
pappagalli questa parola. Inoltre la diversità, la particolarità non è ancora di
per sé un valore; è un dato, un'identità (nazionale, politica, culturale,
religiosa, sessuale) sulla cui base si possono costruire dei valori, che
tuttavia sempre la trascendono, perché essere italiani, africani, buddhisti,
omosessuali non è un merito né un demerito, non è cosa di cui avere orgoglio né
vergogna; è un dato di fatto che va rispettato e tutelato contro chi non lo
rispetta. Certamente ogni diversità arricchisce, perché si cresce uscendo da se
stessi e incontrando gli altri; ogni endogamia è asfittica e regressiva, non
solo quella sessuale. Ma la diversità diventa una retorica truffaldina quando
viene invocata per eludere la consapevolezza dei conflitti reali che talora
possono sorgere dal contatto fra culture diverse — ad esempio tra una fondata
sull'uguaglianza dei diritti tra uomo e donna e una che la nega. Pure tali
possibili conflitti vanno affrontati con equilibrio responsabile — e non già
esacerbati col pathos spettacolare dello scontro di civiltà, che seduce con la
sua visione della Storia al technicolor — ma non vanno elusi né sottovalutati.
La teppa scatenata contro i campi nomadi e il clamore mediatico che le fa da
grancassa rimuovono la consapevolezza di problemi ben più ardui dell'emergenza
rom. Le dimensioni numeriche dell'immigrazione potrebbero in futuro aumentare
sino a renderla materialmente impossibile, perché, per fare un esempio oggi
assurdo, non è fisicamente possibile accogliere milioni di poveri. Si potrebbero
creare, con la necessità e l'impossibilità di accoglienza, situazioni
oggettivamente tragiche, in cui — come appunto nella tragedia — è comunque
impossibile agire senza colpa. Anche per questo il problema non può essere
affrontato con criteri diversi nei singoli Stati, ma può essere gestito solo
globalmente dall'Europa, perché non è un problema italiano o spagnolo bensì
europeo, se non occidentale in generale. È difficile dire se il nuovo
capitalismo, che ha innescato questo meccanismo con la globalizzazione, saprà
governarlo o ne sarà travolto come un apprendista stregone. È un problema ben
presente nel libro di Giulio Tremonti
Paura e speranza.
I rom e altri immigrati sembrano oggi la minaccia maggiore alla nostra
sicurezza. «Cieca bugia, distrazione di massa dalla realtà complessiva », ha
scritto Mariapia Bonanate sul Nostro Tempo.
Credo che i commercianti e gli industriali taglieggiati dalla camorra o dalla
mafia scambierebbero volentieri il danno, l'intimidazione — non di rado la morte
— che sono costretti a subire con i fastidi di chi abita non lontano da un campo
di nomadi. Come ha scritto Riccardo Chiaberge su Il Sole 24 Ore,
non si sono viste squadre di cittadini indignati scagliarsi contro quartieri
della camorra e non ho sentito parlare di ronde pronte a proteggere gli
esercenti dai malavitosi che vengono a riscuotere il pizzo. Certo, è più
rischioso affrontare i guappi che i vu cumprà e qualcuno ci rimetterebbe la
pelle, ma ciò non dovrebbe scoraggiare chi vanta i propri attributi virili e
trecentomila fucili.
La mafia e oggi ancor più la camorra — grazie al possente libro di Roberto
Saviano — sono certo intensamente presenti all'opinione pubblica: libri, film,
articoli, servizi televisivi, dibattiti. Ma non scuotono veramente l'opinione
pubblica; non destano — diversamente dagli extracomunitari — alcun furore,
alcuna paura nei cittadini. Sono quasi letteratura, una tragedia esorcizzata
dalla sua rappresentazione, dopo la quale si va tranquillamente a casa — tranne
chi è minacciato o colpito dalla morte.
Come quel mio conoscente, siamo più vigili dinanzi a una tosse fastidiosa che ad
un cancro. Il cancro si avverte meno, forse perché ha già occupato gran parte
del corpo, si è infiltrato negli organi e nei sensi che sta distruggendo,
sicché, almeno sino ad un certo momento del suo lavorìo, è difficile percepirlo,
così come non si vede il proprio sguardo. Un impero del crimine i cui profitti
sono quelli di una potenza economica mondiale e le cui vittime sono numerose
come quelle di una guerra è un cancro infiltrante, che si immedesima con una
parte sempre più grande della realtà. È giusto, è doveroso curare severamente
scippi, furti, aggressioni, molestie, ogni illegalità anche piccola, ma sapendo
quale sia la nostra vera malattia mortale.
Claudio Magris Corriere della Sera 26-05-2008