L’Immigrazione non è Reato


Chi è l’immigrato clandestino? Domanda cruciale alla quale è bene rispondere con rigoroso spirito
di verità visto che, stando a quanto affermato l’altra sera dal ministro Maroni durante la
trasmissione «Porta a Porta», sarà deliberato dal governo il reato di immigrazione clandestina. Ci
sono persone che entrano clandestinamente nel nostro Paese commettendo atti di violazione delleregole, altri che delinquono. È giusto e doveroso essere inflessibili. Applicando le stesse sanzioni
che vengono applicate nei confronti degli italiani. Magari prevedendo possibili aggravanti per reati
particolarmente gravi.
La stragrande maggioranza di quelli che noi chiamiamo clandestini sono persone che lasciano la
loro terra per cercare lavoro ed un futuro migliore. Sono persone inermi che portano con se stesse la
propria capacità, la disponibilità ad accettare qualunque condizione di lavoro pur di costruirsi un
futuro e di stare meglio. Tante volte sono persone che fuggono dalla guerra e dalla violenza. Sono
uomini. Sono anche tante donne. Spesso con i loro figli. Hanno il torto di affidarsi alle carrette del
mare, a scafisti scriteriati per i quali mai nessuna pena sarà fino in fondo adeguata a risarcire l’onta
della disumanità di cui sono capaci. Questi clandestini hanno il torto di non essere riusciti a
conoscere le regole con cui si emigra e di non essersi adoperati per ottenere un regolare visto di
ingresso o permesso di soggiorno.
Ora questi clandestini che vengono dal mare e che poi generalmente vengono rispediti nei loro
Paesi si vedono di meno. I clandestini che allargano le file del lavoro irregolare sono sempre più
invisibili. Entrano con normale visto turistico per ricercare lavoro; sanno che un lavoro lo
troveranno più facilmente se sarà irregolare perché così conviene a tante aziende e a tanti italiani.
Le cifre parlano chiaro. Nel 2008 sono state presentate 724.000 domande di lavoro regolare ed il
decreto flussi del governo Prodi ha previsto 170.000 mila ingressi. Le altre persone che stanno
lavorando e che vogliono mettersi in regola dobbiamo chiamarli e considerarli clandestini?
Nel 2002 con il governo Berlusconi furono fatte 646.000 regolarizzazioni a fronte di 705.000
domande. Prima erano clandestini? E se sì, perché sono stati regolarizzati? Come spiegare il dato
contenuto nel Primo Rapporto sull’Immigrazione del ministero dell’Interno che dice che c’è più
lavoro irregolare là dove sono molte le persone con regolare contratto e permesso di soggiorno?
Brescia, Mantova, Verona, Reggio Emilia; Lombardia, Veneto, Emilia: sono le situazioni in cui più
alta è la presenza sia di regolari che di irregolari. Perché più forte è la domanda di lavoro e
l’attrazione di forza lavoro.
Guardiamo l’andamento degli ingressi per lavoro nel corso degli ultimi anni. Nel 2003 (ministro del
Lavoro il ministro Maroni) la quota di ingresso per lavoro fu di 11.000 ingressi a tempo
indeterminato. Nel triennio 2003-2005 erano state fissate in media delle quote massime annue di

30.000 ingressi non stagionali all’anno, contro una domanda di difficile misurazione ma
sicuramente almeno 4 o 5 volte superiore.
C’è un dato interessante che vorrei ricordare al ministro Maroni. Riguarda il 2004, l’anno
dell’allargamento della Ue a otto Paesi . L’Italia decise un’apertura verso l’immigrazione europea
con il convincimento che essa avrebbe contenuto quella del resto del mondo ed era più compatibile
con la nostra società e cultura. Furono pertanto decise per i nuovi comunitari quote massime
separate ed aggiuntive rispetto alla programmazione dei flussi dei lavoratori extra comunitari,
fissandoli ad un livello molto superiore rispetto alla domanda di ingresso in Italia.
Gli ingressi regolari per lavoro passarono così da 11.000 del 2003 a 54.000 nel 2005 a 120.000 nel
2006. Nel marzo 2006 sono state depositate 520.000 domande di regolarizzazione. Come definire
quelle persone: clandestine? Ho voluto richiamare questi dati relativi agli anni del governo di centro
destra perché essi ci dicono due cose importanti. Che la clandestinità è in grande parte generata dai
meccanismi inefficaci di ingresso per lavoro e dalla permanenza di un dato ideologico che fa velo
sulla realtà e che occulta il bisogno che l’economia italiana ha degli immigrati. Occulta la forte
presenza di una economia sommersa che genera irregolarità ed illegalità. Questa realtà fu così forte
da obbligare l’allora ministro del Lavoro a correggere la sua politica delle quote passando da 11.000
ingressi nel 2003 a 120.000 nel 2005.
Che cosa significa allora il reato di immigrazione clandestina quando la clandestinità in larga parte
coincide con la irregolarità e quando la irregolarità è determinata da una forte presenza di economia
sommersa e da una inadeguata ed inefficace regolazione degli ingressi regolari per lavoro?
Bisogna promuovere una immigrazione regolata e bisogna superare ogni forma di relativismo
legale: tutti devono imparare a rispettare le regole. Tutti, in ogni parte remota del mondo ed in ogni
angolo della terra, devono imparare che per entrare in un altro Paese non basta dire “parto, vado”.
Bisogna conoscere, riconoscere ed accettare le regole di quel Paese. Se c’è un diritto universale alla
emigrazione non c’è un diritto di ingresso. Bisogna trovare un equilibrio tra diritto ad emigrare e le
possibilità dell’ingresso. Tra il diritto ad emigrare e la capacità di accoglienza di un paese. Ma
perché questo avvenga bisogna che tale messaggio arrivi in ogni parte del mondo, in ogni angolo
della terra. Quel messaggio sarà credibile quando le persone per emigrare non troveranno solo le
carrette dello scafista, ma un ufficio del Consolato che funzioni in modo efficiente e paesi che
regolano l’ingresso e l’apertura in modo realistico e non solo egoista.
Nel frattempo bisogna sapere fare delle distinzioni: tra chi è entrato in modo regolare e poi è
diventato irregolare; chi è entrato senza documenti ma porta con se solo la sua dignità e la sua
mitezza ed è animato da lealtà verso il paese dove spera di trovare lavoro; chi invece dimostra
concretamente di non avere rispetto per quel paese e addirittura delinque.
Il reato di immigrazione clandestina considera reato penale il semplice ingresso senza documenti. È
una misura sproporzionata che umilia il principio della dignità umana perché presuppone uno Stato
che esercita il massimo di coercizione nei confronti di una condizione di illiceità ma non di offesa
verso il proprio territorio. E non vede la obiettiva debolezza umana e sociale che sottende quella
slealtà. Il reato di immigrazione clandestina è un messaggio culturale di rancore, di arroccamento,
di rinuncia. Oltre che di egoismo. Sulla inefficacia di tale misura hanno scritto in molti in questi
giorni. Vorrei ricordare che esiste già il reato di permanenza clandestina introdotto dalla Bossi-Fini.
Che il 20% degli immigrati reclusi in Italia sono stranieri e sono reclusi per violazione delle norme
sull’immigrazione. In grande parte arrestati perché non si sono allontanati spontaneamente dal
territorio nazionale dopo la permanenza nel Cpt. La realtà, le stesse leggi volute dal centro destra
dicono che lo strumento penale è inefficace per regolare l’immigrazione.

Livia Turco       l'Unità 21 maggio 2008