L’ora della religione

La chiesa in campo su Pacs, gay, aborto, e persino su Bankitalia. Le indicazioni di voto. I nuovi privilegi. Come cambia il rapporto tra Chiesa e politica . E in che Stato ci lascerà

 

 

L’onorevole Dario Rivolta, Forza Italia, sospira sconsolato: «E dire che sui patti civili stavamo per concordare un testo unificato… Adesso tutto è congelato». Eh sì, perché sui Pacs si stava realizzando in parlamento un accordo trasversale tra deputati di centro-destra e di centro-sinistra. Nove disegni di legge, non solo quello dell’ulivista Franco Grillini, erano in via di esame per diventare una bozza unica con cui risolvere dignitosamente la questione delle coppie di fatto e dei partner gay. Invece è calata la mannaia del cardinale Camillo Ruini.

Decisamente il 2005 è l’anno dell’onnipotenza di “Camillone” come lo chiamano sottovoce gli ecclesiastici che gli sono amici o un po’ meno. Così forte è il presidente della Cei da bloccare un disegno di legge in parlamento com’è successo con i Pacs (ed è storia di oggi) o da ordinare addirittura, com’è successo all’inizio dell’anno, lo stop alla riforma della legge sulla fecondazione assistita con un duplice diktat: «No a modifiche in parlamento, no a modifiche referendarie». Gran parte della classe politica segue, la stragrande maggioranza del mondo cattolico si allinea.

E’ il successo del lobbismo organizzato, il trionfo della politica dei due forni che nel centro-destra sono Berlusconi, l’Udc e i colonnelli di An pro-ecclesiastici ad oltranza e nel centro-sinistra l’Udeur e una buona parte della Margherita. I risultati della pressione esercitata con costanza negli anni della Seconda Repubblica sono notevoli: inserimento delle scuole cattoliche nel sistema scolastico pubblico, statalizzazione degli insegnanti di religione, finanziamento degli oratori, restrizioni alla legge sulla procreazione assistita, cancellazione della proposta del divorzio breve e ora – a portata di mano – l’esenzione dall’Ici anche per gli enti cattolici, che gestiscono attività commerciali, con una norma fatta apposta per aggirare una sentenza della Cassazione e che verrà riproposta nella Finanziaria.

C’è stato un solo scivolone in questa marcia determinata. Fu quando nel febbraio 2004 il vescovo Cesare Nosiglia, presidente dell’organismo Cei che coordina le scuole confessionali, lanciò la proposta di una lettera al presidente Ciampi per chiedere in uno slancio populistico di «superare ogni distinzione economica tra gli alunni delle scuole statali e paritarie». In parole povere, finanziamento diretto dello stato agli istituti cattolici. Ciò che la Costituzione esplicitamente esclude. Dinanzi all’irritata sopresa del Quirinale finì all’italiana: il giornalista cattolico del Sir, il bollettino della Cei che aveva riportato la notizia, dovette dichiarare di avere capito male.

Parte della forza di cui gode la gerarchia ecclesiastica nasce certamente dal sistema bipolare, in cui conta anche il più piccolo spostamento dell’elettorato. E la Cei, a seconda delle regioni, può spostare un due, cinque, forse sette per cento di opzioni. Ma è indubbio che nell’ultimo trentennio si sono verificati profondi mutamenti nel mondo cattolico. Ed è altrettanto indiscutibile che l’istituzione ecclesiastica ha oggi un rapporto con la società più forte di quello che aveva all’epoca dei referendum sul divorzio e sull’aborto. “Retinopera», il coordinamento dell’associazionismo cattolico che (incoraggiato dalla Cei) riunisce il pianeta bianco – dalle Acli a Cl, dall’Azione cattolica a Sant’Egidio, alla Cisl – ha messo in campo un’agenda di interventi su temi che vanno dall’immigrazione, all’occupazione, al fisco, alle adozioni, alla ricerca sulle staminali adulte, alla cooperazione.

Agli intimi, ma anche in pubblico, il cardinal Ruini ripete da qualche tempo: «Sono convinto che rispetto alla scristianizzazione è in atto un’inversione di tendenza. Non solo un revival generico del sacro, ma una riscoperta della fede e dell’identità cattolica».

Franco Garelli, sociologo della relgione, e autore di importanti ricerche sulla religiosità in Italia proprio per conto della stessa Cei, è più prudente: «Non è che sia aumentato il numero degli osservanti – dice – non è cresciuta di intensità la religiosità vera e propria, ma è aumentato il senso di appartenenza etnico-culturale». Ci si sente e ci si dice cattolici per avere una radice a fronte di una società multiculturale e disgregata. La Chiesa si mostra capace di intercettare questa esigenza. «In una società disgregante – continua il sociologo – la Chiesa si mostra propositiva sui valori e su grandi temi come la vita, la famiglia, l’identità nazionale, la solidarietà». Stupisce semmai che vi sia l’assenza più totale di stimoli e proposte dal mondo laico: «Sono sparite del tutto subculture come quella del Pci, dei repubblicani e dei liberali storici che proponevano valori diversi su cui confrontarsi. Cancellate!». E poi, conclude sorridendo: «E’ impressionante quanti politici riscoprano ora il loro passato cattolico!».

Stupisce anche che la vivacità e la multiformità del mondo cattolico odierno, che si articola in tanti gruppi, movimenti, associazioni, circoli di preghiera, organismi di volontariato, inziative culturali o nel campo dei media si ritrovi poi al seguito delle sortite politiche della Cei in un apparente monolitismo. Pietro Scoppola, lo storico, parla di «afasia» del cattolicesimo italiano. Un’incapacità di farsi sentire ed esprimere le proprie differenze. «E’ il frutto del pontificato wojtyliano», commenta. «Per un quarto di secolo i fedeli, i vescovi, i movimenti si sono identificati con il Papa e le sue aperture profetiche, perdendo spazi di ruolo e di visibilità. Sotto la scia di Giovanni Paolo II e la continuità di Ruini alla presidenza della Cei si è prodotta questa situazione. Ma credo stia per sbloccarsi».

Certamente un dato salta agli occhi a proposito delle tematiche dell’ultimo referendum. Sotto la pressione di una campagna martellante, portata nelle parrocchie, il 75 per cento degli elettori non è andato a votare, ma quando il cattolico medio è incoraggiato ad esprimere la sua opinione emergono risposte sorprendenti. Una recente indagine delle Acli, allineatissime con Ruini, ha mostrato che il 47 per cento degli interrogati è favorevole alle ricerche sull’embrione e solo il 33 per cento è contrario. Eppure queste diversità di posizioni non emergono mai ai vertici. Pasquale Colella, direttore della rivista cattolica Il Tetto, spiega questa silenziosità della base o delle molte sfaccettature del cattolicesimo in periferia con la «lunga normalizzazione attuata nella Chiesa italiana» nell’ultimo trentennio. Organismi ribelli come le Acli sono stati ricondotto in carreggiata e c’è stato un radicale rimpasto dell’episcopato. «Il 70-80 per cento dei vescovi – afferma – è stato nominato nell’era wojtyliana. Nomine di persone moderate, anche mediocri, scelte per ridimensionare i predecessori. Personalità come i cardinali Martini o Piovanelli sono state mandate rapidamente in pensione. E così i più tacciono alle assemblee della Cei e i pochi più vivaci sono diventati prudenti. Parlano solo gli emeriti». Cioè i pensionati.

Mons. Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, non si stanca in effetti di ripetere che la Cei vive in un clima di grande centralismo: «I vescovi – ha detto più volte – si trovano dinanzi a conclusioni raggiunte in precedenza, con una discussione che si apre su una prolusione del presidente della Cei (vistata dal Papa), già pubblicata sui mass media. Allora di che si discute?».

Si tace ai piani alti e si tace in periferia. Enzo Mazzi, esponente storico delle comunità di base, racconta di un cattolicesimo che in provincia è veramente variopinto, ma che «vive in tanti nuclei scollegati tra di loro». Ognuno pensa alle proprie iniziative. Tuttavia è mutato anche il popolo delle parrocchie: «Ci si affida di più ai modi tradizionali, ad un ritorno del sacro ispirato al passato, si ha bisogno di sicurezze». Inevitabile, soggiunge, il diffondersi di atteggiamenti omologanti. E questo influisce anche sul dibattito all’interno dell’associazionismo. Nei confronti della gerarchia ecclesiastica non c’è più un “diverso parere”. Al referendum soltanto gli scout dell’Agesci si sono rifiutati di partecipare al Comitato Scienza e Vita, messo in piedi per la propaganda all’astensione.

Ciò nonostante molti non coindividono la linea interventista della Cei e le sue manovre politiche come quella di attaccare la diffusione delle intercettazioni telefoniche per difendere il chiacchieratissimo Fazio o l’appetito costante di esenzioni fiscali e altre agevolazionia o la stessa copertura offerta dall’Avvenire al ritorno al proporzionale.

Un prete esasperato, don Albino Bizzotto, ex direttore di Nigrizia, sta facendo circolare fra i suoi amici un appello: «Sono sempre più i laici che ci chiedono di trovare un modo semplice ma concreto per esprimere il nostro essere Chiesa in rapporto e fedeltà al Vangelo e non alla politica del Governo. I silenzi e le esternazioni del cardinal Ruini e, tramite lui, della Cei sconcertano e scandalizzano. Intervenire e agire con speranza per me significa accettare di evidenziare con schiettezza il conflitto anche all’interno della Chiesa». E’ urgente, conclude il sacerdote, «trovare espressioni positive, che rendano evidente e presente un altro modo di essere Chiesa oggi in Italia».

 

 

Marco Politi      Da Il venerdì di Repubblica n. 918 21 ottobre 2005