Ai confini della laicità

 

Ogni giorno che passa, fra i difensori della laicità si accentua la sensazione desolante di presidiare

una frontiera già attraversata in lungo e in largo dalle incursioni nemiche. Ma saranno poi sempre

nemiche, tali incursioni? Se il "vescovo rosso" Fernando Lugo vince le elezioni in Paraguay

ponendo fine a oltre mezzo secolo di regime di destra, salutiamo in lui un'avanzata della

democrazia.

E se all'altro capo del mondo, in Polonia, un politico come Lech Walesa dichiara che "sarebbe una

disgrazia" la nomina del reazionario monsignor Slawoj Leszek Glodz alla guida della diocesi di

Danzica, apprezziamo il coraggio con cui - da cristiano - interferisce pubblicamente in una scelta

del suo papa.

Gli esempi potrebbero essere numerosi. Basti per tutti l'importanza che l'argomento religioso riveste

nella campagna elettorale di Barack Obama. Bisognerà pure che i suoi numerosi estimatori laici

riconoscano quanto Gesù è presente nei suoi discorsi. Fin da quando gli ultraconservatori lo

attaccavano: «Gesù Cristo non voterebbe per Barack Obama, perché Obama si è comportato in

modo inconcepibile per Cristo». Sollecitandolo a invadere il loro stesso terreno con le motivazioni

bibliche del suo impegno pubblico: «Dopo la stagione dei condottieri come Mosè, capaci di sfidare

il faraone affermando i diritti degli afroamericani, io sento di appartenere alla generazione di

Giosuè, dei continuatori». Dovremmo forse accusarlo di integralismo?

Al contrario, temo che il ritardo con cui la politica italiana si è emancipata dall'egemonia di partiti

fondati su un'appartenenza religiosa, oggi ci stia giocando un brutto scherzo. La nascita del Partito

democratico, inteso dai suoi fondatori come superamento degli steccati identitari, è stata così

faticosa da sollecitarli a una cautela eccessiva. Tra i democratici italiani prevale tuttora l'idea

anacronistica che la motivazione religiosa dell'impegno politico vada sottaciuta. Pena il rischio di

urtare le suscettibilità altrui o, peggio, di evidenziare le divisioni culturali esistenti nel campo

cattolico.

Naturalmente un tale scrupolo è ben lungi dallo sfiorare la destra, protesa nel tentativo di

appropriarsi in toto dell'argomento religioso, ma nel frattempo svelta ad accusare di tradimento i

pochi pastori d'anime che osano criticare la sua politica. Mentre i benpensanti laici restano appostati

in trincea a denunciare ogni sconfinamento tra politica e religione, i leghisti milanesi non hanno

esitato un minuto a rivendicare il "loro" Vangelo (in ruvido, discutibile stile padano) volantinando di

fronte alle chiese contro l'arcivescovo Tettamanzi, colpevole di eccessiva sensibilità per i diritti

degli immigrati senzatetto. Quarant'anni fa, nel 1968, era il dissenso cattolico a osare simili

contestazioni pubbliche nei confronti della gerarchia. Trattenuto da una malintesa concezione della

laicità, oggi il cattolicesimo di sinistra mugugna stordito nell'attesa che si levi, sempre più rara, la

voce di un cardinale amico a rappresentarne il malessere.

Il problema italiano non è infatti che Camillo Ruini parla troppo di politica. Il problema è che

nessun esponente politico gli risponde sul suo medesimo terreno della testimonianza, della

prossimità, della misericordia, della coerenza, della spiritualità. I vari Prodi, Rutelli, Marini, Bindi,

Parisi se lo sono proibiti, come se la sfida culturale fosse ancora delegabile ai loro riferimenti

conciliari, quasi tutti scomparsi se non altro per ragioni anagrafiche.

Così si consolida il luogo comune che nel mondo contemporaneo il messaggio religioso sia

appannaggio della destra. E viceversa che non possa più esistere una sinistra religiosa.

Tale rinuncia produce l'effetto di una vera e propria mutilazione. Posti di fronte alla ripetuta,

frequente violazione del comandamento («Non invocherai il nome di Dio falsamente»); e di fronte

allo stravolgimento dello spirito evangelico riguardo a tante persone di cui viene negata la stessa

umanità, molti politici religiosi si autocensurano e con ciò si diminuiscono. Evitano di significare

pubblicamente le motivazioni più profonde del loro impegno civile.


       
Attardandosi sulla frontiera colabrodo della laicità, rischiamo di esagerare l'importanza dei nuovi

compagni di viaggio "teodem", faticando a riconoscerli membri a pieno titolo del Partito

democratico. Il fastidio diffuso nei confronti di Paola Binetti si alimenta di un equivoco. Tutt'altro

che un retaggio clericale d'altri tempi, né impiccio né residuo, col suo cilicio e la sua affiliazione

all'Opus Dei, la Binetti è figura politica modernissima. Il futuro ce ne riserverà sempre di più, non

necessariamente agganciate come lei a una relazione fiduciaria con la gerarchia ecclesiale. Del resto

il passato del cattolicesimo democratico è ricco di figure capaci di esprimere sé stesse per intero,

senza che ciò violi alcun imperativo di laicità.

Vale la pena citare un ricordo di Raniero La Valle, estensore trent'anni fa del fondamentale articolo

1 della legge 194 sulla tutela sociale della maternità e l'interruzione volontaria della gravidanza.

Intervenendo al Senato in difesa della legge, il cattolico di sinistra La Valle non esitò a citare il fiat

evangelico di Maria al concepimento del figlio di Dio come episodio di autodeterminazione

imprescindibile della donna, riconosciuta titolare inaggirabile del rapporto col nascituro anche nel

Vangelo. La scelta politica e la scelta religiosa si sovrappongono più di quanto certi guardiani

retrogradi della laicità siano disposti a riconoscere. Negarlo regala spazio a chi pratica

l'ostentazione dei valori come strumento di potere.

Come il resto del mondo, è facile prevedere che anche l'Italia sarà palcoscenico in futuro di una

sfida tra destra e sinistra religiosa, anche se baldanzosamente la destra s'illude di averla già vinta.

Tale sfida rischia ovunque di logorare la tenuta del sistema democratico e il principio di laicità dello

Stato. Aggrediti pure dalla miscela di fede, nostalgia, sessuofobia, pregiudizio antiscientifico,

disagio esistenziale, cui ricorrono gli integralismi. Ma l'antidoto non sarà mai il divieto di una

pulsione incomprimibile. Semmai è la reciproca interferenza, la contestazione dell'oscurantismo

sullo stesso terreno della spiritualità.

Perché il confronto avvenga proficuamente va preservata una cornice di regole pubbliche, quelle sì

da difendere in trincea. La scuola statale di tutti, per prima, come luogo formativo e d'integrazione

nei valori democratici. E poi le norme laiche di un codice civile che non s'illuda di replicare mai il

modello di convivenza già fallito nella democrazia ex-imperiale britannica: un comunitarismo - per

dirla con Amartya Sen - che frantuma la cittadinanza in affiliazioni separate, il cui destino è finire in

rotta di collisione.

Salvaguardata la laicità dello Stato. Conseguito un sistema democratico moderno i cui partiti

ospitano senza distinzioni credenti, non credenti, diversamente credenti. Nel nostro tempo impaurito

la politica tornerà a nobilitarsi solo rappresentando una speranza globale, e dunque - perché no -

anche religiosa.

 

Gad Lerner   la Repubblica  23 aprile 2008