A Roma il voto disgiunto è un segnale di laicità
A Roma, nelle prossime elezioni comunali, si svolgerà un
inconsueto esperimento politico. Proprio nella città che ospita il Vaticano si
candida a sindaco Franco Grillini, protagonista delle più coerenti battaglie
laiche in difesa di quei diritti civili così osteggiati dalle forze e clericali
nonché presidente onorario dell'Arcigay.
Nel frattempo i partiti della Sinistra Arcobaleno e i radicali si sono accordati
col candidato sindaco del Partito democratico, Francesco Rutelli. L'ex leader
della Margherita è stato già sindaco di Roma e ha dato particolare prova di
remissività e connivenza nei confronti degli interessi della Curia. D'altronde
Rutelli è colui che si è fatto strumento di Ruini nell'allargare prima la
Margherita e poi il Partito democratico alla componente fondamentalista dei
teodem.
Rincresce che, per puro opportunismo politico, le nomenclature di partiti che
pure hanno promosso o sono protagoniste di grandi battaglie laiche, fin dal
primo turno, indichino come loro candidato questo campione del clericalismo.
Nessuno può far finta di credere che il neodemocristiano Rutelli non sarà
oltremodo remissivo rispetto al potere ecclesiastico e ai comitati d'affari a
esso contigui, che operano da decenni per uno sviluppo distorto della capitale.
Mostrare di illudersi del contrario fa parte del vuoto tatticismo che sta
uccidendo il centrosinistra e la sinistra italiana.
Ho letto l'intervista sul manifesto di Patrizia Sentinelli. Non è affatto
convincente. L'argomento, molto diffuso in questi giorni, che col voto disgiunto
si favorisca Alemanno è del tutto inconsistente. E si fonda sull'ignoranza del
meccanismo elettorale.
Al primo turno Alemanno, per vincere, deve ottenere lui il 51 per cento.
Qualunque sia il risultato dei suoi avversari. Non credo proprio che, essendo
presente la lista di Storace, Alemanno sia così forte. Ma se avesse
effettivamente il 51 per cento nessuno ci potrebbe fare nulla contro.
Mi turba invece l'argomento della Sentinelli a difesa della decisione della
Sinistra Arcobaleno di appoggiare Rutelli fin dal primo turno, nonostante
l'evidente imbarazzo. Sostenere che altrimenti Rutelli, tra il primo e il
secondo turno, preferirebbe allearsi con Baccini è un strano argomentare e una
dimostrazione di assoluta sfiducia nei confronti della posizione politica del
proprio candidato. Perché gli elettori dovrebbero averne di più?
Altrettanto debole è l'accettazione della sconfitta sul mancato ticket al
vertice del Campidoglio. La Sinistra Arcobaleno ha digerito il rifiuto di
candidare a vice sindaco proprio Patrizia Sentinelli senza troppo protestare, e
la giustificazione che ne viene data («avrebbe potuto aprire tensioni», ma non
si sa bene tra chi) non si regge in piedi.
Proprio la contrattazione del proprio appoggio con un candidato sindaco, tra il
primo e il secondo turno, avrebbe massimizzato la capacità di scambio della
Sinistra Arcobaleno. E non avrebbe disgustato molti elettori. D'altronde, il
sistema a due turni serve proprio a questo. «Turarsi il naso» al primo turno è
invece inutile e ipocrita. E' ovvio che lo stesso discorso vale anche per il
partito radicale.
Ci troviamo di fronte all'ennesimo contrasto tra la «politica» e gli interessi
del personale partitico. Ma gli elettori possono fare giustizia di questi
bizantinismi, senza peraltro danneggiare la lista del cuore. Il sistema
elettorale per le elezioni comunali permette il voto disgiunto e quindi
l'elettore può votare partito radicale o Sinistra Arcobaleno, ma nello stesso
tempo dare la preferenza a Grillini sindaco. I romani sanno che sarebbe
importantissimo dare un segnale di laicità in una città come Roma, proprio nel
momento di maggiore pressione clericale. Votare al primo turno Rutelli mi pare
davvero troppo. E non c'è machiavellismo che tenga. Non ci si può assumere una
responsabilità negativa così grande.
Enzo Marzo Il manifesto 5/4/08