PIÙ VANGELO, MENO POLITICA. LETTERA
APERTA AL CARD. RUINI
Eminenza,
Recentemente lei ha avuto modo di condannare con molta forza e determinazione, e
lo ha fatto anche L'Osservatore Romano, il progetto avanzato da Romano Prodi per
la regolamentazione giuridica dei rapporti tra persone dello stesso o di diverso
sesso che convivono senza aver contratto matrimonio, affermando che la proposta
costituisce un attacco all'isti-tuzione matrimoniale e alla famiglia, intesa non
solo come comunione di persone unite da un vincolo sacramentale, ma anche come
base fondamentale della società civile.
L'aspetto più sorprendente di questo pronunciamento appare la difesa, non
direttamente dichiarata ma pur sicuramente implicita, del matrimonio civile che
è stato sempre considerato dalla Chiesa come una unione peccaminosa,
assolutamente analoga, sotto questo profilo, a quella dei conviventi di fatto.
Questo inusitato atteggiamento deve considerarsi un ripensamento in materia o un
semplice escamotage teso a rafforzare la contrarietà alla proposta Prodi?
Perché non provvedere alla sistemazione legale dei rapporti di singoli uniti in
coppie di fatto? Perché non disciplinare con legge le difficoltà che presentano
tali unioni, come la reversibilità della pensione, l'assistenza sanitaria o la
successione nei diversi rapporti economico-sociali?
A questo proposito è opportuno osservare che un contratto tra i due conviventi,
da qualcuno recentemente proposto, non è sufficiente a regolare tutta la
materia. Un patto del genere, sempre possibile per l'ampia libertà contrattuale
riconosciuta ai privati dal Codice Civile, in realtà produrrebbe effetti
soltanto tra i due interessati e non anche nei confronti di enti o
amministrazioni pubbliche, per avere efficacia verso le quali è indispensabile
uno specifico provvedimento legislativo.
Ora le chiedo: che cosa avrebbe a che vedere una disciplina legale di queste
unioni di fatto con l'istituto del matrimonio? Credo che la differenza tra le
due situazioni sia del tutto evidente ed incontestabile, almeno per chi vuole
esaminarle senza pregiudizi! Del resto come a-vrebbe potuto il cattolicissimo
Prodi proporre una legislazione tendente a sminuire il valore del matrimonio e,
in prospettiva, a minacciare l'istituzione famiglia?
La questione più inquietante, al di là del contenuto di merito, è peraltro
costituita dalla forma con cui La Conferenza Episcopale Italiana, e più in
generale la Chiesa cattolica istituzionale, si sono espresse in questa come in
altre circostanze di un passato più o meno recente.
Sul referendum indetto per decidere l'abrogazione o il mantenimento della legge
40/2004, che disciplina la procreazione assista, la Cei e la Chiesa di Roma non
hanno riaffermato, com'era senza dubbio legittimo e persino doveroso, il
principio della sacralità della vita e l'assoluta conseguente impossibilità di
utilizzare gli embrioni, che già costituiscono esseri viventi - almeno secondo
l'inter-pretazione ufficiale cattolica - per fini diversi da quelli naturali. È
stato invece "consigliato" ai cittadini-fedeli di astenersi dal voto. Le
virgolette vogliono sottolineare il carattere pressante e la capillarità, da
parte di tutte le parrocchie d'Italia, con cui è stato impartito il consiglio.
In questa circostanza, inoltre, la Chiesa cattolica ha mostrato una certa
ipocrisia tanto lontana dallo spirito evangelico: poteva consigliare un
comportamento conseguente ai valori indicati, ha invece quasi ordinato
l'astensione, ben sapendo che se tutti fossero andati a votare non si sarebbe
molto probabilmente raggiunto il quorum per la validità del referendum, ma
certamente i no all'abrogazione della legge avrebbero di gran lunga superato i
sì al suo mantenimento!
Fortunatamente il popolo di Dio non sembra seguire con molto entusiasmo questi
"inviti" dal sapore decisamente politico, come esperienze passate e recenti
confermano ampiamente. Né può considerarsi un'eccezione il risultato del citato
referendum. L'astensionismo non è certo dovuto, se non in minima parte, al-l'intervento
ecclesiastico, ma piuttosto alla delusione della gente che ha sempre visto
disattesi i risultati scaturiti da queste consultazioni, che pur rappresentano
lo strumento più efficace di democrazia diretta.
Anche se l'influenza sui cittadini è piuttosto scarsa, queste ingerenze della
Chiesa ufficiale nella vita politica e sociale dello Stato italiano, oltre che
meravigliare per la loro frequenza ed incongruenza storica, dovrebbero
preoccupare per le ricadute che possono avere, ed hanno certamente, sulla
religiosità dei fedeli e soprattutto sui loro rapporti con l'istituzione Chiesa.
Non credo che lei possa sentirsi rassicurato dalle folle che si radunano accanto
al Papa in occasione dei festanti raduni della gioventù, o nella più triste
circostanza della morte del pontefice. È evidente che queste manifestazioni,
gioiose o dolorose che siano, ben poco hanno a che vedere con la fede e con il
sentimento religioso.
Quella che ormai da più parti viene definita la secolarizzazione della società è
certamente da attribuire, come la Chiesa si sforza di ribadire continuamente,
alla scomparsa di certi valori etici ed al progressivo affermarsi
dell'importanza pressoché assoluta del benessere, del mercato,
dell'individualismo. Ma è altrettanto indubitabile che la voce di chi dovrebbe
richiamare il popolo a ben diversi scopi del vivere sociale, alla giustizia,
alla tolleranza e alla solidarietà, in una parola agli insegnamenti di Cristo,
si leva troppo spesso a sollecitare atti e comportamenti che non risultano
limpidamente evangelici e non è quindi in grado di dare un indirizzo chiaro e
comprensibile. La secolarizzazione, così come viene letta dalla gerarchia
ecclesiastica, non può non far nascere fondati dubbi sulla sua utilizzazione
come di un comodo alibi.
Avversare pubblicamente una legge, o anche una semplice proposta, dichiarandone
l'antisocialità e il carattere di grave pregiudizio per la cittadinanza,
criticare apertamente l'operato del Governo o delle forze politiche di questo
Paese, oppure indicare perentoriamente - magari con minaccia di severe sanzioni
per i disobbedienti - un preciso orientamento di voto in occasione di
consultazioni elettorali, non possono considerarsi richiami ai valori che la
Chiesa dovrebbe continuamente ribadire e sempre praticare, come spesso fa
soltanto la chiesa con la "c" minuscola e cioè la comunità cristiana, il popolo
di Dio, quella chiesa di base che la gerarchia quasi sempre ignora e talvolta
contrasta.
Sono convinto che siano questi comportamenti politici, oltre ai non infrequenti
atti di intolleranza, che concorrono in buona parte ad allontanare la gente
dalla Chiesa e riducono al minimo la pratica religiosa, ormai limitata, per la
maggior parte dei battezzati, alla cresima, in parte al matrimonio, al funerale.
Termino con una preghiera: cerchi, almeno per quanto possibile, di sollecitare
la Chiesa italiana ad un comportamento morale più evangelico e meno politico,
anche se numerosi sono i sacerdoti che già lo fanno, ed inviti i fedeli a
sentirsi più liberi e sereni, nel rispetto degli altri e soprattutto di coloro
che non credono o professano una religione diversa.
Con molti auguri di buon lavoro.
di
Sergio Giorni*
* della
Comunità di base di San Paolo, Roma - ADISTA notizie 73 2005