I mille volti di Gesù nella ricerca ebraica e cristiana. Un convegno a Roma
Per ricordare La riflessione e le opere di Giuseppe Barbaglio, biblista e studioso dell'Antico e Nuovo Testamento
Un anno fa, proprio in questi giorni, si spegneva Giuseppe
Barbaglio, studioso del nuovo e vecchio testamento, grande biblista e una delle
voci più ascoltate nei nostri incontri a Montegiove. Si credeva in salvo da una
pesante malattia quando un'insospetta tempesta lo portò via, troncando un
progetto di lavoro sul quale teologi e amici, credenti e non credenti, si
riuniranno a discutere sabato 29 e domenica 30 presso la Facoltà Valdese di via
Cossa 42 a Roma. Nell'ordine discuteranno per un giorno e mezzo Alfio Filippi,
Yann Redalié, Romano Penna, Stefano Levi della Torre, Jean Noel Aletti,
Gabriella Caramore, Severino Dianich, Ernesto Borghi, Giancarlo Martini, Antonio
Guagliumi, Carla Busato, Rossana Rossanda, Mario Tronti, e concluderanno Raniero
La Valle e Claude Geffré. Tema: «I mille volti di Gesù».
È il titolo che Barbaglio aveva dato alla messe di appunti bibliografici
lasciati sul computer. Suscita molte domande, prima di tutte: in che senso
Barbaglio - che aveva portato a fondo una ricerca puntuale (e ricevuta con
scarso entusiasmo oltretevere) su quello che aveva chiamato l'«Ebreo di
Galilea», quell'uomo, quello specifico «individuo» - si proponeva un'indagine
sui suoi «mille volti»? Pensava che fossero di molteplice significato e
intrepretazione i gesti e le parole raccolte nei vangeli sinottici, negli atti
degli apostoli, nei testi discussi ma non ammessi nel canone, che aveva valutato
con l'acribia dello storico, saggiandoli in quel ribollente tempo di attesa del
messia? Tempo in cui molti uomini lasciavano casa e figli per andare cercando e
predicando e guarendo, profeti come quel Giovanni Battista che tormentava la
coscienza dei potenti, o guarendo come fece anche Gesù, o aggregandosi in sette
riflessive alla ricerca della parola? Il suo «Ebreo di Galilea» era uno di loro.
Nessun altro studio, meno che mai quello tranquillo ed edificante pubblicato un
paio di anni dopo da Ratzinger, restituisce a mio avviso l'impatto di quel
destino illuminato e atroce in un secolo in fermento, coagulo di miserie e
speranze d'una trascendenza salvifica. Un Gesù così diverso dal giovane biondo e
un po' melenso appeso ai muri delle sagrestie della chiesa devozionale, ma anche
dalla compostezza oltremondana dei crocifissi italiani del rinascimento o
dall'orrore dei corpi dislocati e purulenti della pittura nordica.
Il senso, per Barbaglio, non è come in Duchamp: il quadro è di chi lo legge. I
mille volti non sono di quello che per i cristiani è il figlio di dio, ma di
coloro che in occidente, nei duemila anni seguiti, si sono veduti in lui, sia
nel dilatarsi dell'universo cristiano sia nell'imponenza della chiesa che vi si
costruiva sopra. Teologi, filosofi, esegeti e gente semplice, che sullo scandalo
della Croce hanno rifratto idee, dubbi, bisogni, speranze, angosce.
Barbaglio ha lasciato una sapientissima bibliografia, ordinata capitolo per
capitolo, senza consegnarci lo schema dei capitoli di quel che aveva in mente e
non ha fatto in tempo a scrivere. I «mille volti» non indicavano, penso, una sua
nuova interpretazione delle parole del Cristo, ma la complessità dell'itinerario
dei suoi molti esegeti; a cominciare da Paolo, per anni al centro degli studi di
Barbaglio che delle parole di Cristo aveva fatto una prima elaborazione per
immetterle in una cultura scettica e avanzata come quella dell'ellenismo. Il
«pensare di Paolo» doveva superare l'ostacolo costituito dal fatto che quel che
Gesù aveva detto come imminente non si era verificarto. I discepoli si erano
attesi la resurrezione come una gloriosa epifania davanti al mondo ed era invece
apparso brevemente soltanto ad essi lasciandoli isolati nell'ostilità degli
ebrei. E con questo pareva vanificarsi la promessa resurrezione dei morti - «se
Cristo non è risorto nessuno risorgerà». Ma la resurrezione era il cardine della
nuova fede.
E così il mancato avvento del Messia, cui Gesù aveva avvertito di tenersi
pronti. Paolo vi si dibatte nel suo discusso «Cristo è già fra voi, fra noi»:
prendeva sulle sue spalle quel che i nostri deboli tempi chiamano «il silenzio
di Dio». Ma come si mette oggi tutto questo in una fede? Come lo ha messo
Barbaglio, sul quale è calata quella cieca morte che Paolo diceva vinta: «Morte,
dov'è la tua vittoria?» Noi, non toccati dalla grazia, la incontriamo soltanto
vincente.
Non sapremo, o almeno io non saprò come, non avendo potuto moltiplicargli le
domande - credevamo di avere molto tempo, tanto ci azzuffavamo un po' per
scherzo perfino via telefono. Io trovavo terribile, fin odioso, a parte il
Genesi, il dio dei primi libri del Vecchio Testamento, vendicativo, irascibile,
crudele. Ma no, faceva Barbaglio con quel suo sorriso allegro, no, c'è anche nel
Vecchio Testamento un dio amoroso, un filo rosso... Ma quale filo rosso
tempestavo.
Negli ultimi mesi battibeccammo su Ruth, cara ad alcune mie amiche e che io non
amo affatto, né mi è riscattata dalla relazione con Noemi: sono due che si danno
abilmente da fare per assicurare a Ruth un uomo, che cosa ci trovi? Mi
scombussolò sentirgli dire, piano: «Non capisci, io sono Ruth» - uno cui molto,
e quando tutto credeva perduto, era stato dato. Incrociammo affettuosamente le
spade fino all'orlo della sua morte: mi aveva mandato una relazione di Geffré
che gli era parsa illuminante, sull'ecumenismo dove il Vaticano fa un passo
indietro dopo l'altro. Chi pregano gli «altri»? Geffré non rispondeva, come
molti credenti: «È lo stesso dio quello che ciascuno, ciascuna prega e
intravvede, nelle forme cui la sua cultura lo presenta». Diceva che in ognuna
delle grandi fedi c'è qualcosa che manca all'altra - c'è una mancanza, un manque
per cui nessuna è in sé compiuta. Giuseppe era preso dagli scenari che apriva il
manque - l'assenza come chiave. Una mancanza nella rivelazione, ma come è
possibile, ma che Dio è? - strepitavo io tale e quale un seminarista. «Benedetta
donna, ma perché non capisci...», sono forse le ultime battute che ci siamo
scambiati.
L'incontro di sabato e domenica sarà chiuso appunto da Geffré
Rossana Rossanda Il manifesto 27/3/08