Il «pluralismo» del Vaticano

La parola d'ordine è: esserci. Nei sacri palazzi vaticani da un lato, e nella chiesa italiana dall'altro, la strategia dettata per la campagna elettorale è perfettamente coincidente: essere presenti, contare e influenzare tutte le formazioni politiche. Fra le due sponde del potere ecclesiastico romano esiste ormai un ponte immaginario, o un iperfrequentato canale sotterraneo che collega le stanze vaticane a quelle di via Aurelia (dove alberga la Cei). E se in passato erano possibili alcuni distinguo, oggi la presenza Oltretevere del segretario di stato Tarcisio Bertone, che ha avocato a sè i rapporti con la politica italiana, ha contribuito non poco a unificare le posizioni e creare un'unica, chiara linea politica per la chiesa e i fedeli cattolici.
La prima preoccupazione, condivisa dalla vecchia volpe Camillo Ruini, è l'incidenza e la significatività della presenza cattolica nei partiti vecchi e nuovi. Sparita la Dc, il quadro politico ha fatto sì che i credenti potessero disseminarsi un po' dappertutto. Con un pericolo - sparire - e un'opportunità: crescere e influenzare dall'interno, scalare posizioni, mostrare la «trasversalità» delle battaglie cattoliche, quelle sui temi etici e sui valori cristiani. Insomma, uscire dal ghetto di un unico partito e far emergere un «pluralismo virtuoso» capace di incidere nelle scelte politiche di governo e nell'elaborazione legislativa, con il sostegno attivo della chiesa istituzionale e, perchè no, degli «atei devoti» e dei teocon, nuovi figli adottivi beneaccolti nell'ovile.
Nella campagna elettorale 2008 questa strategia è ormai ben delineata, secondo l'ispirazione del «Progetto culturale della chiesa italiana», il cavallo di battaglia del cardinale Ruini, che mirava a un cattolicesimo «vivo e vitale» e chiedeva «una maggiore capacità di proposta e una più concreta incidenza della fede cristiana nell'Italia di oggi». Ecco allora la difesa della scelta di Casini di conservare il simbolo scudocrociato e tutelare un partito di tradizione cattolica. Ma certo senza scomunicare Berlusconi e il grande contenitore del Pdl. Ecco la presenza dei teodem Binetti e Bobba nel Pd, a capo di una compagine che, sia pur minoritaria, conserva il cattolicesimo sociale nel partito di Veltroni (e la scomunica di Famiglia Cristiana all'apparentamento con i radicali, ritenuti un ostacolo in questo processo). Ecco le simpatie per Ferrara, ma anche il dissenso verso una lista «tematica» (quella per l'aborto) che, al contrario del disegno dei cattolici «lievito dei partiti», rischia di ghettizzare e circoscrivere una questione che la chiesa vuole resti interesse di tutti. Ecco ritornare in auge il richiamo di Benedetto XVI che, a ottobre 2006, parlando a Verona al IV Convegno nazionale della chiesa italiana, esortò i cattolici a non ripiegarsi su se stessi, a mantenere vivo il loro dinamismo, ad «aprirsi con fiducia a nuovi rapporti». L'obiettivo dichiarato è, dunque, tornare a innervare la politica italiana con la grande tradizione dell'antropologia cristiana (piuttosto che rinnovare una pretesa neoguelfa). Pronti a stringere patti, nel cinismo della realpolitik, con qualunque forza politica si appresti a governare.

 

Mimmo de Cillis        Il manifesto 26/02/08