L'errore della Teopolitica

 

A chi gli domandava in che modo si potesse sconfiggere la violenza del Male, Francesco d'Assisi un

giorno rispose: "Perché aggredire le tenebre? Basta accendere una luce, e le tenebre fuggono

spaventate". E' "l'aggressione delle tenebre", ciò con cui bisogna farla finita, in tutti i campi. Di

aggressioni, crociate e controcrociate, non ne possiamo più. Non è con l'aggressione che si combatte

il male o ciò che sembra tale. E' con la conoscenza: un certo modo della conoscenza che oggi

soprattutto è compito del pensiero chiarire, e che oggi potrebbe illuminare di luce nuova tutti i

mondi in cui allignano ed esplodono conflitti. Dalle relazioni internazionali alla vita politica,

economica, civile di una comunità. Nel secolo scorso è prevalso un modo di pensare che in realtà

lasciava pochissimo spazio in questi campi alla "conoscenza che illumina", come possiamo

chiamare la luce di cui parla Francesco, e di cui anche l'Illuminismo, checché se ne dica, si è

candidamente nutrito. Come Socrate, invece, questo Francesco - che appartiene a tutta l'umanità e

non a questa o quella sua parte - ben più che della volontà, della conoscenza faceva un grandissimo

conto, negli affari umani. Ma il suo genio ampliò l'orizzonte della conoscenza, e vi incluse i valori

delle cose, e ampliò l'organo dell'intelligenza, annettendovi il cuore. Il Cantico delle creature va ben

oltre il sentimento di fratellanza con l'intera natura. Oggi possiamo leggervi una felice e fiduciosa

ammirazione per tutto il visibile, e per ciò che il visibile annuncia. Ma non per la visibilità della vita

pubblica, della piazza, della polis. Non in questo visibile traduce l'Invisibile: crederlo fu l'immenso

errore che portò nel mondo la teocrazia, e in Italia l'ideologia neoguelfa. E che nel secolo scorso

nutrì le forme veramente ateo-devote della teopolitica: un nichilismo decisionista che tutto riduce a

brutali o raffinati rapporti di potere, e che addirittura ha finito per ridurre le categorie del politico a

una barbarica semplificazione, venata di una punta mafiosa: amico-nemico.

Altro è il visibile che Francesco glorifica, quello dell'umile vita di ciascuna creatura. La conoscenza

che illumina è un sapere che apprezza. Non che proietta qualità di valore positive o negative nelle

cose: che le riconosce, semplicemente. Ne prende atto. Prende atto della preziosità di ciò che è

prezioso, della bruttezza di ciò che è laido, anche quando nessuno l'aveva vista prima. I valori sono

sempre da scoprire. Questo è un realismo tutto diverso da quello che si intende con "realismo

politico". E' quello che possiamo chiamare un realismo assiologico, un realismo dei valori. L'Italia e

il mondo debbono questa scoperta alla sensibilità francescana. Francesco rese a tutti visibile quello

che era fino allora invisibile: vide il valore segreto, la bellezza, il gratuito - cioè il divino -

dell'acqua, del fuoco, del paesaggio. Proseguì l'opera dell'incarnazione. E inventò, in fondo, l'Italia:

il suo paesaggio, la sua dolcezza, la sua umiltà, il suo splendore. La sola Italia che ci resta da amare,

ancora visibile - se con sciagurate demolizioni di regole, sciagurati condoni, sciagurate svendite di

beni pubblici, non finiremo di distruggerla.

E' strano quanto ancora, anche con le migliori intenzioni, i cattolici italiani di tutti gli orientamenti

politici ancora insistano nell'idea che i partiti in cui militano debbano soprattutto tutelare la loro

identità cattolica, cioè renderla visibile e affermarla. Ci sono virtuosissime eccezioni: e c'è il grande

tentativo di molti uomini di buona volontà, che hanno dato vita al Partito Democratico, di fare in

modo che questa sia idea finalmente accantonata. Infatti, non è conseguenza, anche questa idea, del

terribile equivoco relativo al visibile e all'invisibile, al divino - la sostanza - e ai fenomeni -

l'apparenza? "Fede è sostanza di cose sperate / ed argomento delle non parventi" (ovvero prova

delle cose che non si vedono), scrive Dante parafrasando San Paolo. Questa è la formula di una vita

di ricerca, dove sentire e capire, che sono per noi l'essenziale del vivere, diventano appunto "prova",

nel senso di esperienza, di quell'invisibile in cui proseguono le cose di questo mondo, che è poi il

loro fragile senso d'essere, il loro nascosto valore (le cose dell'altro mondo, invece, nessuno le ha

mai viste davvero). Se questo invisibile non ci fosse, nessuna opera d'arte potrebbe mai

profondamente colpirci come rivelazione di qualcosa che non avevamo visto prima, nessun pensiero


       
potrebbe parerci illuminante e vero benché non inteso prima, nessuna azione parerci rivelatrice di

una possibilità nuova, di una via non battuta. Francesco lesse in cuore al Lupo. Dunque l'invisibile

non gli restava tale…

C'è un equivoco profondo anche nel modo in cui ci siamo abituati a leggere le differenza fra

cattolici e protestanti. E' legata a questo errore sul visibile e l'invisibile, l'interiorità e la vita

comune, radice purtroppo della suprema blasfemia: non solo tentare di possedere il divino in

formule umane ("noli me tangere": questo chiede il Risorto!) ma addirittura farne bandiera di una

parte politica. Questo errore ha legato troppi cattolici professi alla peggiore fra le due possibilità di

intendere l'importanza del visibile, del sensibile, del temporale. Non l'acqua, il fuoco, il lupo e la

sorella morte di Francesco, ma il campo di battaglia e la pubblica piazza. Non lo splendore del

visibile ma l'infinita disputa televisibile. Non l'oblio di sé perfetto che è necessario a capire il cuore

dei lupi, ma la rivendicazione della propria identità e dei propri valori. Ma non dovevamo saperlo,

che chi vorrà avere salva la sua vita la perderà? Frutti così dolci, in questo paese popolato di

monasteri ormai quasi vuoti, ha dato l'altra, la davvero universale fiducia nel visibile, il respiro

ampio e tranquillo di chi confida nella sostanza e nel valore ancora invisibili di ogni cosa, e non in

sé. Frutti carichi di intelligenza e di bellezza, architetture del divino, campi dei miracoli, biblioteche

di tesori inesplorati, la quiete ontologica che il ritmo dello studio e del lavoro onora

quotidianamente. Questa è l'Italia che è impossibile non amare.

 

 Roberta De Monticelli       La Repubblica   27/2/08