Laicità il problema di avere un papa che sogna di tornare a innocenzo III
Il vuoto di pensiero politico apre spazi alla Chiesa
La presenza sempre più pervasiva della Chiesa su tanti temi è la conseguenza del
fatto che la Chiesa è uno dei pochi centri di potere, capace anche di esprimere
un pensiero. Ciò vale non solo sul tema della scienza e della tecnica, ma per i
temi socio-economici, per i temi della criminalità (se nel Sud si incontrano
ancora delle autorità rispettabili e credibili queste sono di solito i vescovi,
tra le poche persone degne e con le quali si può parlare in modo serio di cose
serie) e altri temi. L'agghiacciante vuoto di pensiero che caratterizza la
classe dirigente italiana (e non solo la classe politica) apre spazi nuovi e
inaspettati per la Chiesa e per il Papa. La domanda centrale è se la Chiesa si
inserisce in questi spazi in modo utile e appropriato o meno. Io, parlando da
aspirante cristiano e cattolico-liberale con sofferenza, rispondo di no.
Se i vertici della Chiesa (Papa e Cei), approfittando della debolezza di
pensiero della classe dirigente, invece di aiutare a colmare questo vuoto,
cercano di riportare indietro le lancette della storia, è inevitabile che il
confronto tra pensiero laico e pensiero teocratico, superato dal Vaticano II, si
riacutizzi. E a me sembra che questo Papa e questa Cei invece di impegnarsi a
diffondere nella società lo spirito religioso, cioè il senso del divino, invece
di diffondere e applicare il Vangelo (per usare un'espressione amata da quei
preti "da strada" che, come me, soffrono per questa Chiesa arrogante, ricca,
potente e scintillante di gioielli), siano impegnati principalmente in una
grande operazione di potere. E allora devono attendersi delle reazioni. Se la
Chiesa si muove direttamente e in prima persona come un partito politico, se c'è
qualcosa di vero in quello che, scherzosamente ma non troppo, disse tempo fa
Cossiga: «come presidente della Cei Ruini è stato un grande, ma come segretario
regionale della Dc sarebbe stato il massimo», allora episodi come quello della
Sapienza vanno inquadrati in una prospettiva più ampia. Questo episodio preso in
sé e per sé è il frutto di due errori. Il primo è quello di cercare di impedire
la parola a un'autorità intellettuale in una università, che è il luogo per
eccellenza della libertà di pensiero e di parola. E il secondo è quello di
invitare il Papa non a parlare ma a tenere il discorso di apertura dell'anno
accademico in una università pubblica. L'invito è stato una dimostrazione di
debolezza intellettuale, servilismo, ricerca impropria di effetti mediatici,
tipica di una dirigenza senza pensiero, senza dignità e senza rispetto per
l'istituzione che è chiamata a dirigere. Ma forse l'accettazione di questo
invito è stata una decisione non ben valutata.
Io credo però che più che preoccuparci della limitata ostilità alla
preannunciata presenza di Ratzinger alla Sapienza, sia più giusto preoccuparci
del contrario. Credo che abbia ragione Carlo Augusto Viano, professore emerito
di Storia della filosofia all'università di Torino che, tempo fa, (prima delle
vicende della Sapienza), ha detto: «Voci critiche e discordanti! Ma se Ratzinger
è l'uomo meno criticato del Pianeta. In Italia ormai c'è una devozione
agghiacciante verso il Papa che neanche nel peggiore regime democristiano, non
esiste alcuna voce discordante o se c'è non se ne dà mai notizia. Basta guardare
i mezzi di comunicazione: ogni giorno c'è il Papa, non chi la pensa diversamente
da lui. Siamo eredi dello Stato pontificio e questo ci rende succubi del Papa.
Inoltre solo in Italia ci si stupisce del fatto che il Pontefice venga
criticato, e ci siamo ormai abituati a non contraddirlo mai».
Marco Vitale il Riformista 6.2.08