Se il prete è un assassino

 

C’è un prete assassino condannato all’ergastolo che per la Chiesa è ancora prete. La gerarchia tace e

aspetta, ma cosa? Quando un sacerdote tradisce le regole che guidano la missione, la Chiesa lo isola

dai fedeli: sospeso a divinis. Ancora nessuna sospensione per il sacerdote Christian Von Wermich

chiuso nel carcere penale di Buenos Aires: testimoni e documenti hanno provato la sua

responsabilità in 7 omicidi, 42 arresti illegali, 31 casi di tortura. Anni della dittatura militare. «Non

odiate chi vi sta torturando. Volontà di Dio» erano le sue parole di conforto distribuite dal padre

consacrato nelle quattro prigioni segrete attorno a Buenos Aires. I militari lo invitavano a spiare e

Von Wernich usava la confessione per far parlare quei prigionieri che non si arrendevano alla

tortura. Per dire cosa, poi? Nomi di compagni di scuola scandalizzati dalla violenza dei generali P2;

chiacchiere tra studenti. Von Wermich confessava con la doppia morale di un malandrino. Li

sollecitava ad abbandonarsi al perdono di Dio, e se l’abbandono interessava la polizia, riferiva, e

altre persone sparivano.

Quattro mesi fa guardavo Von Wernich nel maxischermo che ne allargava il volto davanti tribunale

di La Plata. Indifferente mentre i giudici leggevano la condanna. Appena un sorriso di scherno,

come per dire «in qualche modo ne uscirò». Negli appunti ritrovo pagine che il silenzio della Chiesa

obbliga a ricordare per far capire cosa non sta succedendo. Hector Timerman, console generale

dell’Argentina a New York, riferisce ciò che il padre - Jacobo Timerman, direttore di un giornale

indipendente - ha raccontato e scritto a proposito del sacerdote. «Era presente ai miei interrogatori e

quando la benda che fasciava gli occhi si abbassava per effetto delle scariche elettriche, vedevo Von

Wermich seduto accanto al capo della polizia di Buenos Aires, Ramon Camps. Mi guardavano come

si guarda un cane che sta morendo». Nei verbali del tribunale la commozione di Maria Mercedes

Molina Galarza: è nata in una prigione segreta, Von Wermich l’ha battezzata promettendo a Maria

Mercedes e ad altri sei ragazzi, tranquilli, vi accompagnerò al confine. La vostra pena sarà l’esilio.

Von Wermich ha consegnato la bambina ai nonni: molto devoti, gli si erano rivolti per sapere

qualcosa della figlia scomparsa. «Si farà viva lei, forse fra un anno, forse da un altro Paese. Non

posso dire di più». Con la piccola fra le braccia, il cuore dei nonni si è aperto. Hanno preparato una

valigia, vestiti, qualche soldo. «Ne avrà bisogno. Gliela consegno personalmente. Mi raccomando,

silenzio...». Ma il viaggio della ragazza madre (Liliana Galarza) e dei suoi compagni, è stato un

viaggio breve. Julio Emilio Emmended, poliziotto condannato per sette delitti, racconta come è

finito. «Padre Christian Von Wernich benedice i sovversivi ammanettati e mi raggiunge

nell’automobile dove aspettavo assieme a Jorge Bergés, medico della polizia segreta. “Adesso sono

vostri”. Allora scendo con la pistola in mano e quando i sovversivi vedono la pistola cercano di

disarmarmi ma hanno le mani legate. Colpisco col calcio dell’arma, li stordisco. Interviene il

medico: due iniezioni per uno, sempre nel cuore. Il liquido è rosso, veleno. Sconvolto, li vedo

morire ma padre Von Wermich mi rincuora. “L’hai fatto per la patria. Dio sa che hai agito per il

bene del Paese”. Avevo le mani sporche di sangue. E del sangue dei ragazzi era macchiato l’abito

del padre...».

Le voci sono tante, i documenti precisi. Crolla la dittatura e Von Wernich sparisce. Passa dal

Brasile, lo ritrovano in Cile: un settimanale di Santiago lo fotografa mentre distribuisce la

comunione non lontano dalla capitale. Il nome era falso, nessuno poteva sospettare. Possibile che la

Chiesa cilena avesse affidato la cura di una parrocchia ad un sacerdote argentino senza voler sapere

da Buenos Aires “come mai è qui”? Mistero che si perde nella rete dei cappellani militari.

Cinque minuti dopo la condanna, il comunicato della Commissione Episcopale argentina. Perché

cinque minuti dopo e non quattro anni prima quando i delitti di Von Wermich erano da anni

documentati? Martin de Elizaide, vescovo della diocesi della quale Von Wermich era sacerdote

chiede che il religioso «venga assistito affinché riesca a comprendere e riparare il danno arrecato

con scelte personali che non coinvolgono le istituzioni». Lascia capire che la procedura necessaria


 

alla Chiesa per prendere una decisione sarà lunga: non ne fissa il tempo. In fondo, è solo uno dei

tanti sacerdoti che hanno abbracciato gli ideali fascisti della dittatura. Le trame del piano Condor

allargano le complicità ai cappellani militari delle squadre della morte: America Centrale, Brasile,

Cile, Uruguay, Paraguay. Con quale abbandono si sono rivolti a Dio mentre davano una mano agli

assassini?

Quattro mesi fa la sentenza e la Chiesa non ha più parlato. Bisogna dire che i rapporti diplomatici

tra Vaticano e Argentina sono congelati dal braccio di ferro che divide l’ex presidente Kirchner e la

nuova presidente-moglie, dalla burocrazia diplomatica di Roma. Tre anni fa Kirchner nomina

ambasciatore in Vaticano un ex ministro: Alberto Juan Bautista Iridarne, signore squisito ma

divorziato e risposato come quattro milioni e mezzo di argentini. Come Berlusconi, Fini e Casini

considerato dal monsignor Ruini «esempio di cattolico in politica». Il Vaticano non accetta chi ha

infranto il sacramento del matrimonio e un Paese borghese e devoto viene rappresentato nel grigiore

della routine di un incaricato d’affari. Comunicazione non interrotta, ma evanescente proprio nel

momento in cui il congresso di Buenos Aires decide la dissoluzione del vescovado castrense,

pastore guida dei cappellani militari. Il passato continua ad impaurire il presente. I cappellani in

divisa hanno accompagnato il golpe obbedendo ai vescovi che appoggiavano la dittatura dei

generali. Von Wernich è il primo caso risolto dal tribunale, ma i nomi sono tanti, si annunciano altri

processi. L’essere divorziato e l’essersi risposato non viene messo sullo stesso piano delle colpa di

chi si è servito della confessione per far sparire ragazzi senza colpa, ma la soluzione è fulminea: no

e subito all’ambasciatore; vediamo cosa fare per il prete assassino.

Il clero argentino è diviso. Vescovi rigidi contro il governo e vescovi alla ricerca della soluzione.

Monsignor Casaretto, segretario della commissione episcopale, genovese di nonni e presidente della

Caritas che ha sfamato milioni di affamati nei mesi bui della crisi economica non smette di

dialogare.

Intanto, nell’istituto penale dove è rinchiuso Von Wernich sono stati trasferiti militari e poliziotti

arrestati dopo che il presidente Kirchner ha annullato le due leggi (Punto Final e Obbedienza

Dovuta) imposte dalle forze armate per consentire «la pacificazione nazionale». Molti di loro

avevano atteso il processo in prigioni soffici come grandi alberghi. Camere con Tv, aria

condizionata, palestre per tenersi in forma. Una certa libertà. Adesso si sono ritrovati dove

dovevano essere dal primo giorno. Von Wernich li raccoglie in angoli non frequentati con l’aria di

un confessore. Celebra la messa della sera e riceve la considerazione che è abitudine verso i

religiosi nelle carceri argentine.

Il silenzio della Chiesa continua. Forse i vescovi credono all’intrigo al quale Von Wernich si

aggrappa dichiarandosi vittima di complotti senza prove mentre le prove e i racconti dei

sopravvissuti gli passavano sotto gli occhi in tribunale. A Buenos Aires e in Vaticano la gerarchia

cattolica è impegnata a difendere il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale. Questo

diritto alla vita prevede la condanna di chi brucia la vita con torture e delitti? Passa il tempo e si

aggrava il profilo morale di un assassino che ostenta dignità di sacerdote mentre la gerarchia medita

dubbiosa sull’orrore delle colpe certificate dalla giustizia civile. La sopravvivenza sacerdotale di

Von Wernich è lo sbalordimento che avvilisce non solo i credenti. E il mistero dei vescovi senza

parole insinua nella fede dei cattolici il sospetto di uno scandalo istituzionale. Solo qualche vescovo

ha chiesto perdono alle vittime. Ma non basta mentre la memoria di un passato doloroso scuote ogni

comunità: dal ricordo dell’Olocausto, alla Spagna impegnata a rileggere i crimini della guerra

civile. Impossibile immaginare per Von Wermich la dolcezza di una esclusione senza sospensione a

divinis che ha accompagnato la fine di Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo. «Ussari di

una Chiesa combattente alla conquista mondo». È morto negli Stati Uniti quattro giorni fa,

l’Osservatore Romano ne ha rimpicciolito la memoria. Sarà sepolto nel suo Messico dove i

Legionari si mescolano alla politica del governo conservatore. Nel 1968 è stato accusato da 30

seminaristi; li aveva insidiati facendo pesare l’autorità di un generale intoccabile. Il quotidiano

messicano La Jornada ne ha ricostruito i peccati con una precisione che è valsa il premio nazionale

di giornalismo. Ma Roma non se ne è accorta e il Vaticano non gli è mancato di rispetto accogliendo

le raccomandazioni del nunzio apostolico in Messico, monsignor Girolamo Prigione,

dell’arcivescovo Norberto Rivera e dei vescovi Onesimo Cepeda ed Emilio Berlié, estremisti della

destra religiosa in America Latina. Nel dogma di un integralismo esasperato, Marcial Maciel ha

aperto a Roma l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. I Legionari controllano 150 collegi,

dispongono di una serie di piccoli seminari, da Monterrey a San Paolo Brasile, attorno ai campus

degli Stati Uniti, si aprono scuole nell’ex impero sovietico: 550 sacerdoti, 2500 novizi, 60 mila laici

raccolti in una specie di terz’ordine, il Regno di Cristo. Dopo aver ignorato per dieci anni le accuse

largamente provate, nel 2004, il cardinale Ratzinger finalmente prende in esame il caso, e nel 2006

Marcial Marcel viene comandato a lasciare la guida dell’ordine per dedicarsi ad una vita di

preghiera e penitenza. Nessun processo canonico per «l’età avanzata», solo la proibizione di dire

messa e parlare in pubblico. Punizione veniale per i semplici credenti, ma terribile per il padre dei

Legionari: sperava d’essere beatificato con la velocità del Balaguer fondatore Opus Dei. Vanità

rinviata all’eternità e senza un santo protettore nel suo ordine si allungano le ombre. Marcial Marcel

aveva 87 anni, Von Wermich 69. I fedeli argentini non hanno voglia aspettare diciotto anni per

sapere se la Chiesa ha deciso di allontanarsi da un prete così.

 

Maurizio Chierici        “l'Unità” del 4 febbraio 2008