L'università a piazza San Pietro
Molte voci, da una parte e
dall'altra del Tevere, chiedono di archiviare quello che è accaduto
all'università La Sapienza di Roma. Non sarà facile anche per la risonanza
mediatica che la rinuncia del papa ha avuto e per la sottolineatura che
dell'episodio ha fatto e sta facendo l'autorità vaticana. Comunque un aspetto di
questa vicenda non va dimenticato né sottovalutato: la posizione del papa sul
rapporto fra fede e ragione, una posizione che era già emersa con chiarezza nei
primi due anni del pontificato e che è stata ulteriormente chiarita nel discorso
che il papa avrebbe dovuto tenere all'università e che è stato poi ufficialmente
reso noto. Un tema, questo del rapporto fede-ragione che attraversa tutta la
storia del pensiero cristiano, ma che è diventato sempre più centrale, anche per
i suoi contatti con l'altro tema tipico dei tempi moderni, il rapporto fra il
cristianesimo e le altre religioni.
Nella prima parte del suo discorso il papa compie un'ampia analisi del compito
della università, nonché dei limiti, a questo proposito, della autorità
ecclesiastica. Un'analisi sorretta e sostenuta da autori che gli sono
particolarmente cari, soprattutto da Jurgen Habermas. Ma poi il discorso
prosegue verso approdi particolarmente significativi del pensiero di Benedetto
XVI. Nonostante gli sforzi dell'università, la ragione stenta a raggiungere la
meta: senza la fede gli sforzi della ragione sono insufficienti. È qui, in
questa affermazione, il nodo centrale del discorso pontificio. Sulle possibilità
della ragione senza la fede, un deciso pessimismo. «Il pericolo del mondo
occidentale - per parlare solo di questo - è che l'uomo, proprio in
considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla
questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla
fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all'attrattiva
dell'utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo».
E ancora, a scanso di equivoci: «Se la ragione - sollecita della sua presunta
purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e
dalla sua sapienza inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più
le acque che gli danno vita». E ancora: «Applicato alla nostra cultura europea
ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle
proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e - preoccupata della
sua laicità - si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più
ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma». La vera ragione, dunque,
non può non condurre a «percepire Gesù Cristo come la luce che illumina la
storia e aiuta a trovare la via verso il futuro». Anche l'università, dunque, a
piazza San Pietro.
Filippo Gentiloni Il manifesto 23/01/2008