Il Pd e la laicità
Caro direttore, diciamoci la verità: nei loro dibattiti i filosofi e i politici
si comportano spesso come i marinai di una volta, che quando incontravano una
balena le gettavano una botte vuota affinché, divertendocisi, essa evitasse di
far violenza alla nave. Lo stratagemma fu usato scherzosamente da Jonathan Swift
nella Storia di una botte, ma ora sembra essere stato riesumato seriamente dagli
estensori del Manifesto dei Valori del Partito Democratico, che hanno gettato in
mare una poetica e astratta discussione sulla laicità per evitare di affrontare
il tema dei più prosaici e concreti rapporti fra Stato e Chiesa. Seguiamoli
dunque su questo terreno, o su queste acque, senza dimenticare però che si sta
parlando al sacrestano o alla perpetua affinché il prete intenda.
Per iniziare, prenderei le mosse dall´articolo di Giancarlo Bosetti «Ma laicità
e ateismo pari non sono» su la Repubblica del 7 gennaio, che rispondeva al mio
«Il Pd, la laicità e la vergogna» del 30 dicembre. Come già annuncia il titolo,
Bosetti sostiene che «laicità e ateismo non sono affatto la stessa cosa», e ci
mancherebbe che su questo non fossimo d´accordo! Se non altro perché,
altrimenti, tanto varrebbe usare una sola parola invece che due.
Lui però pensa che io non condivida, e il suo equivoco nasce dalla mia
affermazione che «laicità e ateismo costituiscono una sorta di nudità
teologica». Ora, il fatto che le abbia accostate non significa che io non sappia
distinguere in teoria, e non distingua in pratica, le due posizioni: tanto per
essere precisi, per me ateismo significa non credere nel trascendente, cioè non
avere una fede religiosa, e laicismo non mescolare il trascendente col
contingente, e più specificamente la fede con la politica.
Naturalmente, si può avere una pratica religiosa senza avere una fede
trascendente: l´esempio più tipico di «religione atea» è il buddismo, come il
Dalai Lama ripete continuamente nei suoi libri e nei suoi discorsi, e ha
ribadito pubblicamente, non più tardi del 16 dicembre scorso, in una sua
conferenza a Torino. Altrettanto naturalmente, si può avere una fede
trascendente senza permettere che essa interferisca con le proprie azioni
contingenti: in fondo, la prima riguarda l´aldilà e le seconde l´aldiqua, e
l´uno e l´altro possono benissimo essere tenuti separati, visto che lo sono.
Di cosa stiamo parlando, allora? Del fatto che quando da noi si dice religione,
si intende il cattolicesimo: cioè, una fede in un dio trascendente incarnato e
in una rivelazione mediata da una Chiesa. Dunque, una religione che per sua
stessa natura non può essere non solo atea, ma neppure laica: e non può proprio
perché la dottrina dell´incarnazione immette il trascendente nel contingente, e
rende difficile separare i due ambiti dell´aldilà e dell´aldiqua, che diventano
poi inseparabili quando la Chiesa stessa si configura come uno Stato a se
stante. Il problema è dunque filosofico o teologico, prima e più ancora che
politico: una sorta di contraddizione originale interna che rende sicuramente
difficile, e forse impossibile, a un cattolico l´essere veramente laico.
Ma proprio per questo, la politica italiana deve tutelarsi dalle naturali
tentazioni all´ingerenza dei cattolici individuali da un lato, e delle gerarchie
ecclesiastiche dall´altro, sapendo già in anticipo che la natura della loro fede
tenderà inevitabilmente a sconfinare dall´ambito religioso e teologico per
invadere terreni che sono propriamente sociali e politici. Anzi, che tenderà a
farlo con tanta più convinzione e forza, quanto più è forte e salda la fede:
come nel caso dei cattolici che definiamo teodem, ma che se fossero islamici
chiameremmo semplicemente fondamentalisti o taliban. L´ultima delle ingerenze
ecclesiastiche, e più in generale religiose, in questioni sociali e politiche è
la faccenda della moratoria sull´aborto proposta, in ordine di esternazione, dal
cardinal Camillo Ruini, dal giornalista Giuliano Ferrara e dal papa Benedetto
XVI. La seconda persona di questa improbabile trinità ha tirato in ballo pure
me, chiamandomi «estremista dell´ateismo di Stato e difensore peloso di Bacone»,
nel suo editoriale «Fate l´amore, non l´aborto» su Panorama del 4 gennaio,
benché io non abbia mai espresso pubblicamente alcuna posizione al riguardo.
Colgo dunque l´occasione per farlo adesso, e per dire apertamente che l´intera
faccenda suona estremamente pretestuosa, vista appunto con gli occhi di un
laico.
Anzitutto, perché si potrebbe facilmente ribattere a Ferrara che sarebbe meglio
dire «fate l´amore col preservativo o la pillola, e non farete l´aborto»: cosa
alla quale si oppongono invece con ostinazione Ruini e Benedetto XVI, reiterando
le disposizioni dell´enciclica Humanae Vitae che Paolo VI promulgò nel 1968,
benché solo quattro (!) dei settantacinque membri della commissione di studio
istituita da Giovanni XXIII, e da lui stesso confermata, avessero dato parere
negativo agli anticoncezionali. Oggi, poi, con il flagello dell´Aids, chiunque
istighi a non usare il preservativo nelle nazioni da esso infestate è
difficilmente credibile in qualunque sua «difesa della vita dal concepimento
alla morte».
Altrettanto facilmente si potrebbe ribattere a Ferrara che il motto suo e della
sua parte politica è in realtà «fate la guerra, non l´aborto». E poiché la
guerra è da sempre la maggiore responsabile delle morti procurate dall´uomo
all´uomo, non è credibile chiunque sia contrario all´aborto ma favorevole ad
essa: come coloro che, e non solo da destra, in questi anni hanno plaudito ai
nostri interventi in Jugoslavia nel 1999, Afghanistan nel 2001 e Iraq nel 2003.
Non parliamo poi di quelli che accettano la pena di morte: direttamente, come i
fondamentalisti cristiani degli Stati Uniti, a partire dal presidente Bush, o
indirettamente, nella forma della legittima difesa individuale o nazionale, come
facciamo quasi tutti in Occidente.
Tutto questo per dire che un conto è il rispettabilissimo rifiuto buddista della
violenza in tutte le sue manifestazioni, coniugato a una rispettabilissima
difesa della sua vita in tutte le sue forme: da quelle attuali, umane e animali,
a quelle potenziali. Un altro conto è invece il sospettosissimo rifiuto
cattolico dell´aborto, unito alla sospettosissima accettazione, più o meno
condizionale e selettiva, della legittima difesa e addirittura della pena di
morte, come fa espressamente il nuovo Compendio del Catechismo agli articoli 467
e 469 (tra parentesi, il Vaticano ha abolito ufficialmente la pena di morte
soltanto nel 1969).
E discussioni analoghe si potrebbero fare per tutti gli argomenti che stanno a
cuore alla Chiesa, dal ruolo della famiglia tradizionale alla distribuzione
delle risorse economiche: argomenti sui quali il papa non ha avuto pudore a
strigliare, oggi stesso in Vaticano, gli amministratori della città e della
provincia di Roma, e della regione Lazio. Ecco, se il Manifesto dei Valori del
Partito Democratico, invece di ribadire nella sua ultima bozza «la rilevanza
nella sfera pubblica, e non solo privata, delle religioni», proclamasse che i
politici, in quanto tali, non devono inginocchiarsi di fronte al papa, né
letteralmente né metaforicamente, farebbe qualcosa di meritorio non solo per la
laicità, ma anche per l´indipendenza del nostro paese. In fondo, Zapatero fa già
cosí: perché non dovremmo chiedere di farlo anche a Veltroni?
Piergiorgio Odifreddi Repubblica 11.1.08