Il
pd, la laicità e la vergogna
Caro direttore, nel suo editoriale "Non nominate il nome di Dio invano" del 27
dicembre 2007, Eugenio Scalfari ha ampiamente commentato "pensieri e parole"
della senatrice Paola Binetti, citando in particolare il dialogo che ella aveva
tenuto con me su "La Stampa" del 23 dicembre.
Il giornale indicava nei titoli lei e me come, rispettivamente, "l´anima teodem
e quella atea del Partito Democratico", e l´espressione "anima atea" andrebbe
forse sottolineata. Anzitutto, perché costituisce un ossimoro positivo e
virtuoso da contrapporre, assieme ad "anima laica", a quelli negativi e viziosi
di "ateo devoto" e "ateo in ginocchio". E poi, perché il suo singolare
suggerisce e richiama, a differenza delle espressioni appena citate, la
situazione di isolamento o di minoranza in cui si trovano nella nostra società
odierna coloro ai quali essa viene applicata. Nella fattispecie, le anime laiche
e atee non sembrano effettivamente essere molte nel Partito Democratico in
generale, e nella Commissione dei Valori in particolare. Sembra infatti che la
laicità e l´ateismo, che costituiscono una sorta di nudità teologica naturale,
siano diventate quasi una vergogna da nascondere sotto i variopinti paramenti
delle fedi e dei credi.
Non sono stati molti i commissari che hanno reagito alla prima bozza del
Manifesto dei Valori del Partito Democratico, stilata dal filosofo cattolico
Mauro Ceruti, che a proposito della laicità partiva dicendo che essa «è un
valore essenziale del Pd», per continuare: «Noi concepiamo la laicità non come
un´ideologia antireligiosa e neppure come il luogo di una presunta e illusoria
neutralità, ma come rispetto e valorizzazione del pluralismo degli orientamenti
culturali e dei convincimenti morali, come riconoscimento della piena
cittadinanza – dunque della rilevanza nella sfera pubblica, non solo privata –
delle religioni». Ora, io non mi sento di sottoscrivere nessuna di queste
affermazioni. E poiché la Binetti mi aveva già accusato di avere dei pregiudizi
nei confronti dei cattolici, ho ribadito alla Commissione di non credere di
averne, così come non credo di averne nei confronti degli astrologi o degli
spiritisti: semplicemente, mi limito a constatare che essi hanno visioni del
mondo antitetiche a quella scientifica, e più in generale alla razionalità, e ne
deduco che sarebbe bene che esse rimanessero confinate nel campo individuale. E,
così come non propongo l´abolizione degli oroscopi, non propongo neppure di
impedire le prediche: mi sembra sensato, però, pretendere che non sia sulla base
di queste cose che vengano prese le decisioni politiche dei nostri governanti e
del nascente partito.
Apriti cielo! Il deputato Francesco Saverio Garofani, membro del coordinamento
nazionale del Pd, ha subito inveito sul sito del partito contro le mie
"provocazioni" e la mia "idea caricaturale della laicità". E Ceruti gli ha
subito fatto eco, affermando: «Odifreddi non si può nemmeno definire un laico.
Diciamo che non è proprio interessato all´incontro con una cultura spirituale.
Laicità per lui è sinonimo di diniego assoluto della religione. Ma il suo è un
retaggio del passato».
Sarebbe troppo facile ribattere che se un diniego è retaggio del passato, a
maggior ragione dovrebbe esserlo ciò che viene negato, che per forza di cose
deve precedere la propria negazione. Mi sembra più costruttivo cercare invece di
espellere una certa confusione di idee a proposito della laicità e dintorni, che
sembra albergare nelle menti dei cattolici citati. Compresa la Binetti, che nel
nostro dialogo ha ribadito più volte non solo di considerare se stessa laica, ma
anche che la laicità è uno dei valori fondamentali predicati dal fondatore
dell´Opus Dei: quel Josemarìa Escrivà de Balaguer, alla cui beatificazione in
Piazza San Pietro hanno assistito il 31 maggio 2001 sia Veltroni sia D´Alema. A
questo proposito la Binetti ha dichiarato, nel nostro colloquio su "La Stampa":
"La circostanza che Veltroni e D´Alema apprezzino Balaguer è il segno che viene
compresa la santificazione del lavoro promossa dall´Opus Dei". A me, invece,
questo atto pubblico da parte del sindaco di Roma e dell´allora presidente dei
Ds sembrano un perfetto esempio di come un politico laico non dovrebbe
comportarsi, qualunque siano le sue credenze, secondo la mia definizione di
laicità: agire come se la religione e la Chiesa non ci fossero, senza
naturalmente far nulla affinché non ci siano. Questa posizione è un compromesso
tra i due estremi del clericalismo e dell´anticlericalismo. Il primo va inteso
come la pretesa di agire, e far agire, in ossequio alla volontà della religione
e della Chiesa, e io non saprei trovarne una formulazione migliore dell´Articolo
7 della Carta delle Finalità del Campus Biomedico di Roma: "L´Università intende
operare in piena fedeltà al Magistero della Chiesa Cattolica, che è garante del
valido fondamento del sapere umano, poiché l´autentico progresso scientifico non
può mai entrare in opposizione con la Fede, giacché la ragione (che ha la
capacità di riconoscere la verità) e la fede hanno origine nello stesso Dio,
fonte di ogni verità". A scanso di equivoci, questa non è un´invenzione di
Borges: il Campus esiste veramente, in esso lavora la Binetti.
Non c´è bisogno di battersi in Italia contro l´anticlericalismo, che va inteso
come la pretesa di agire per far sì che la religione e la Chiesa non ci siano:
questi sì che sarebbero i veri retaggi del passato, dalla Rivoluzione Francese
alla Guerra Civile di Spagna, ma per fortuna oggi nessuno li propone seriamente.
Proprio per questo, però, la posizione intermedia del laicismo rimane scoperta
sul fianco sinistro e viene percepita come un estremismo, quando invece essa è
già il compromesso razionale tra le due opposte irrazionalità di coloro che
vorrebbero imporre agli altri le loro credenze da un lato, e le loro avversioni
a queste dall´altro. Naturalmente, non è affatto anticlericalismo, ma laicismo
allo stato puro, rifarsi al motto risorgimentale della "libera Chiesa in libero
Stato". Che la religione e il Vaticano abbiano la massima libertà di parola e di
azione, senza che lo Stato interferisca né con l´una, né con l´altra. Ma che le
stesse libertà le abbia anche lo Stato, senza dover essere costretto a subire la
pressione ufficiale e ufficiosa delle gerarchie ecclesiastiche, a legiferare in
ossequio alle loro credenze, e a pagare di tasca propria per la propaganda e gli
affari altrui: in particolare, tra le tante revisioni costituzionali mettiamo
mano anche all´Articolo 7, per ridare all´Italia la libertà che Mussolini e
Togliatti le hanno tolta. Questo dovrebbe fare un partito democratico, e questo
mi auguro che faccia il Pd nel nuovo anno.
Piergiorgio Odifreddi Repubblica 30.12.07