L'Italia, il boia, le guerre. La pena di morte e le pene in vita

 

Il boia non ha una sola faccia e nemmeno una sola mannaia. La battaglia vinta all'Onu per la moratoria sulla pena di morte, promossa dall'Italia, è senza dubbio una vittoria della civiltà contro la barbarie e ce ne rallegriamo. Ma non serve nemmeno uscire dal Palazzo di vetro per registrare l'amnesia dell'Italia di fronte ad altre vittime. Quelle irachene.
Dopo l'ubriacatura dei nostri governanti per il successo in Assemblea, subito dopo al Consiglio di sicurezza l'Italia ha votato a favore del prolungamento di un anno della missione internazionale (di occupazione) in Iraq. E oggi tocca al Kosovo, un'altro fronte su cui ha svettato il tricolore.
L'Italia al governo non era forse contro la guerra e l'occupazione? Non è per questo che ha ritirato le truppe? Ora scopriamo che è favorevole all'occupazione statunitense, proprio nel momento in cui i britannici cedono il controllo di Bassora agli iracheni e la Polonia annuncia il ritiro. Certo non è una svista e quindi ne chiediamo conto.
Eravamo tra quelli contrari alla guerra, che si sono battuti per il ritiro delle truppe e abbiamo plaudito al rientro dei militari italiani, ma eravamo altrettanto convinti che non bastava il ritiro, non si poteva abbandonare l'Iraq nelle mani degli altri occupanti senza porci il problema di un risarcimento del popolo iracheno. E invece se un iracheno, anche profugo in Siria o Giordania, chiede un visto per partecipare a una iniziativa in Italia (con tanto di invito ufficiale) deve subire un esame a discrezione della nostra diplomazia. E se i nostri consoli non sono sicuri che tornerà a vivere di stenti in Siria piuttosto che sotto le minacce in Iraq, non può nemmeno partire per una settimana. Dopo che abbiamo occupato e distrutto il loro paese, perché gli iracheni non dovrebbero avere il diritto di restare nel nostro?

 

Giuliana Sgrena      Il manifesto 20/12/07