Vorremmo vivere in una Nazione che garantisca e realizzi la separazione fra Stato e Chiesa, con lo scopo di mettere al riparo le attività dello Stato nei suoi diversi ambiti di intervento (legislativo, esecutivo, giudiziario) dalle influenze religiose. Questa aspirazione è così sentita in Italia -con una certa specificità rispetto al resto d'Europa dove, anche in paesi profondamente cattolici (Spagna per tutti), si registra una consolidata consapevolezza della separazione e autonomia dei due soggetti- perché entro i nostri confini la Chiesa cattolica non solo pretende, ma riesce anche ad interferire con successo nella vita pubblica, dettando legge sulle questioni di interesse collettivo ex cattedra, di fatto imponendo a tutti i cittadini una morale di parte. Al contrario, essendo la comunità sociale composta di credenti (per altro di diversa fede) ma anche di cittadini che non credono affatto, è indispensabile arrivare ad una forma di convivenza che garantisca entrambi. Lo stato laico non confessionale è l'unica forma politica capace di garantire democraticamente questa coesistenza fra concezioni diverse, riconoscendo la libertà di professare il culto senza assegnare a nessuno di questi un primato, favoritismi e vantaggi. Il contrario di quanto si è verificato e si verifica in Italia, dove la religione cattolica ha assunto un ruolo di predominanza rispetto agli altri culti, condizionando così la politica.
E' bene chiarire, però, che questo desiderio di tutelare il rispetto del principio di laicità dello Stato non si traduce in un "fondamentalismo laicista", nel senso che con la rivendicazione dell'autonomia della politica dalla religione non si intende in alcun modo negare a quest'ultima il diritto di esprimersi e gli spazi in cui farlo. Il punto è contrastare lo sconfinamento in una sfera comune dove non può essere imposto, come universale, un sistema di valori parziale, a cui soltanto alcuni si sentono vincolati.
Gli esempi di questa ingerenza vaticana nella sfera pubblica e nella vita dello Stato sono molteplici e storicamente individuabili, e si sono accentuati sotto il pontificato di Ratzinger: il referendum sulla legge 40 in merito alla fecondazione assistita, che la Chiesa ha esortato a boicottare; l'ostruzionismo dimostrato verso il riconoscimento dei diritti alle coppie di fatto (Pacs-Dico-Cus); la criticità verso il tentativo di approvazione di una norma riguardante il testamento biologico; la messa in discussione, di nuovo, del diritto al divorzio e all'aborto. Se si tiene conto dei progressi messi in campo nell'ambito medico-scientifico ci si rende conto di come la sfida laica sia destina a farsi sempre più marcata. Le nuove frontiere della scienza e della tecnica infatti pongono al legislatore il confronto con la necessità di legiferare su temi nuovi, che allo stesso tempo inaugurano altrettanti nuovi spazi di collissione con la Chiesa: si pensi, solo per fare un esempio, allo stesso testamento biologico o alla fecondazione assistita.
All'origine di questa intrusione tipicamente italiana della religione nella vita pubblica vi sono diverse ragioni, principalmente due: una geografica (la presenza del Vaticano nel nostro Paese), l'altra giuridica (il Concordato). Proprio l'accordo fra Vaticano e Stato italiano, firmato da Mussolini nel 1929 e poi rinnovato da Craxi nel 1984, giustifica la Chiesa a rivendicare uno status speciale, che praticamente si concretizza nel finanziamento pubblico delle scuole confessionali; nelle agevolazioni ICI per le attività commerciali; nel sostegno retributivo statale ai professori di religione cattolica scelti dalla Chiesa; e quant'altro.
A questo punto, un elemento importante di riflessione è rappresentato dalla
politica. Quest'ultima, responsabile di aver alimentato nei secoli i privilegi
della Chiesa, e quindi inevitabilmente la sua stessa forza di controllo, oltre
che il suo potere economico, è ora incapace di contrastarla. Come accadeva nel
Medioevo infatti, l'autorità politica necessità in qualche modo dell'avvallo
religioso (l'antica investitura), ponendosi in questo modo sotto la sua ala
protettrice ma anche ricattatoria: politiche, iniziative e scelte del referente
politico sono condizionate e devono favorire gli interessi vaticani.
L'alternativa ad una politica autonoma e non permeabile al religioso, sarebbe
infatti punita e delegittimata da quest'ultimo. Si comprende dunque come
l'invasione cattolico-vaticana su i temi cosiddetti sensibili miri anche a
consolidare i rapporti di forza esistenti da secoli fra la Santa Sede e Stato
-teoricamente- laico.
E' soprattutto la sinistra, poi, ad avere il compito di portare avanti la
battaglia in difesa della laicità dello Stato, ma è sempre e soprattutto la
sinistra ad aver abbandonato questo stesso impegno, che pure il suo elettorato
si aspetta di vedere tradotto sul piano pratico nell'estensione della platea dei
diritti.
Accanto a questa battaglia politica, si deve però accompagnare anche quella culturale, propedeutica e di sostegno alla prima. Suo scopo dovrebbe esser quello di far capire che la laicità non è un contenitore vuoto, privo di valori o di etica, bensì uno spazio in cui si realizza il confronto democratico, in cui si dibattono scelte e decisioni di interesse generale, rispettando però la Costituzione e i diritti dell'uomo come patrimonio e humus condiviso. Per questo, la laicità non è assenza di valori o etica, ma convivenza fra posizioni diverse che si confrontano democraticamente per decidere e scegliere in un vivace pluralismo fondativo: di fatto, quasi una sorta di metodo per la coesistenza sociale. Eppure nonostante ciò, spesso la laicità viene indicata come "pensiero debole", privo di riferimenti etico-morali. Niente di più falso visto che essa, al contrario, si richiama ad un principio fondamentale che è quello della fiducia nella capacità di compassione che contraddistingue l'essere umano, un sentire che non scaturisce da alcuna ideologia religiosa ma dalla natura stessa degli uomini, e che li spinge a riconoscersi reciprocamente libertà e autonomia.
AprileonLine 27/11/2007