Perché è viva la Resistenza

 

Che cosa resta del 25 aprile? Domandarselo è più che legittimo, nel frastuono e nella confusione della vita politica italiana in cui la fretta dei politici di cambiare pelle concede poco spazio alla riflessione sulle modalità dei cambiamenti e sul loro rapporto con le costanti della nostra storia che sono le linee guida dalle quali non si può derogare senza smentire le origini stesse della Repubblica.
E' chiaro che a oltre sessant'anni da quel 25 aprile del 1945 non è riproducibile l'intensità con la quale la mia generazione ha vissuto il giorno della liberazione, dopo la lunga attesa dei giorni dell'occupazione nazista e dell'oppressione della Repubblica sociale nutrita non solo dalla Resistenza ma anche dalle aspettative per il futuro. Il ricambio delle generazioni comporta anche una diversa sensibilità nello sguardo con il quale si percepiscono i fatti storici costitutivi del nostro patto civile di collettività e non possiamo impedire che le nuove generazioni rivivessero con la distanza di oltre mezzo secolo, e quindi con un distacco non solo temporale, i momenti fondativi della Repubblica democratica.
E' altrettanto inevitabile che oggi, salvo rarissime eccezioni, il personale politico proveniente per esperienza diretta dalla Resistenza sia di fatto scomparso dalla scena pubblica, mentre anche la maggior parte degli indicatori ci significano (a cominciare dalla scuola), che la stessa memoria familiare appartiene ormai a un passato irrevocabilmente superato. Mai come in un frangente di questa natura si deve avere coscienza che la sopravvivenza di quelli che chiamiamo i valori della Resistenza è affidata alla persistenza e alla continuità della memoria, che non è un prodotto spontaneo della somma delle memorie individuali ma un processo collettivo, sollecitato da una pluralità di soggetti, istituzionali e non.
Nel primo cinquantennio repubblicano i partiti politici - nati dall'esperienza dei comitati di liberazione - furono tra i soggetti collettivi naturali strumenti di trasmissione di quella tradizione, insieme a una pluralità di enti della vita associativa che concorrevano a compenetrare la società di quei valori e ideali. La lacerazione di quel tessuto politico e associativo, in questa infinita transizione italiana, ha disperso un patrimonio politico-culturale che fa fatica a ricostituirsi e identificare le sedi stesse del suo insediamento sociale.
I partiti politici anche nelle nuove configurazioni, la scuola, l'associazionismo rimangono le sedi privilegiate per custodire e alimentare questa memoria, in una prospettiva ormai di lunga durata ma anche come risvolto di una prassi operativa, nella misura in cui sono valori della Resistenza i vincoli pratici e le regole che devono governare la nostra convivenza e ispirano la nostra direzione di marcia. Soltanto se continuiamo a essere consapevoli di quanto è stata aspra la lotta per sottrarci alla dittatura fascista e nazista, per restituirci le libertà democratiche e consentirci l'elaborazione della Costituzione, restituiremo alla Resistenza il significato di un evento storicamente motivato nel suo naturale contesto temporale e epocale e ridaremo ai valori della Resistenza con la loro materiale evidenza il senso della loro attualità e della loro permanente necessità.
Il 25 aprile rimane un fatto fortemente simbolico, uno di quei punti fermi dei quali ogni collettività ha bisogno come punto di riferimento, ma non è principalmente sui miti e sui riti che si deve alimentare la memoria della Resistenza. Essa sarà viva se gli indirizzi politici saranno improntati a quei valori essenziali per i quali in Italia e in Europa migliaia di uomini e donne hanno sacrificato la loro esistenza per rivendicare la propria autonoma responsabilità e il diritto di partecipazione, il rispetto della dignità dell'uomo, l'aspirazione alla giustizia sociale e all'eguaglianza, l'utopia di una Europa pacifica e pacifista. Una tavola di valori che si trova scritta nelle Lettere dei condannati a morte della Resistenza, italiana e europea, il libro che vorremmo fosse letto dalle generazioni più giovani.

  

Enzo Collotti           il manifesto  25/4/2007