La chiesa è viva. Ma sempre più sola

È giustificato l'allarme del Vaticano sul calo delle vocazioni?
Il corpo cattolico dimagrisce in modo irreversibile: sempre meno preti e suore, in Italia e altrove. E le nuove fiammate di spiritualità beneficiano altri organismi. Ratzinger ha in mente un colpevole: la crisi della famiglia. Per questo insiste senza tregua

 Forse Dio non è morto, ma di certo è sempre più solo. La crisi delle vocazioni al sacerdozio devasta la chiesa cattolica in lungo e in largo, a tutte le latitudini. Il problema è serio, centrale per la vita stessa della chiesa ed è, soprattutto, in cima ai pensieri di papa Ratzinger. Il fatto è che la generale rivincita del sacro, l'emergere dalla religione nella vita pubblica di tante nazioni, nei paesi occidentali come in Oriente o nel Sud del mondo, non si traduce in un rigoglio vocazionale, di persone che dedicano la loro vita al sacerdozio o alla consacrazione. Tutt'altro: ne beneficiano invece movimenti carismatici, soprattutto di matrice protestante, nuove comunità religiose, gruppi new age ed esperienze a sfondo religioso meno istituzionalizzate della chiesa cattolica. Che si arrovella nel sua eterno combattimento interiore fra la necessità di restare fedele a se stessa - immutabile nei suoi dogmi secolari - e l'urgenza di rispondere, adeguandosi, a un mondo in rapido sviluppo sociale, culturale, religioso. Certo, oggi la battaglia sembra persa e il tentativo estremo di papa Ratzinger di rinverdire l'anima cristiana dell'Europa, per recuperare un terreno di valori - e dunque uno stile di vita - ispirato in tutte le sue forme al messaggio di Gesù, appare come una lotta donchisciottesca ai mulini a vento o un voler chiudere la stalla quando i buoi sono già da tempo scappati via.
E' un'analisi seria, minuziosa, a tratti impietosa, quella proposta dal vaticanista Francesco Peloso nel suo testo Se Dio resta solo (Lindau, 2007) da oggi disponibile sui banchi delle librerie italiane. Credibile e circostanziata, soprattutto perché parte dal grido d'allarme lanciato dagli stessi vescovi cattolici di tutto il mondo, riuniti nell'ultimo sinodo convocato da Benedetto XVI nell'ottobre 2005. Un grido lancinante che aveva l'Europa come cuore della crisi, in una ferita che il fervore delle giovani chiese - quelle africane, in parte quelle asiatiche e latinoamericane - solo in parte riesce a curare. Nel cuore dell'Europa la crisi colpisce in modo trasversale, e per diverse ragioni, paesi di grande tradizione cattolica come Spagna e Italia, nazioni dal sottofondo culturale razionalista come la Francia, paesi nordici influenzati dal calvinismo (dalla Germania in su). Ma non risparmia nemmeno i paesi dell'est, dove spesso la fine della repressione ha generato il diffondersi di un consumismo pervasivo che contribuisce ad allontanare la popolazione dai «valori cristiani», in nome del profitto e del successo, dando alla chiesa altre difficoltà e ulteriore terreno da recuperare, soprattutto nel rapporto con le giovani generazioni.
«Non è un caso - ricorda il testo - che Giovanni Paolo II parlò con felice e drammatica espressione di silenziosa apostasia dell'Europa, mentre il suo successore, Benedetto XVI, batte incessantemente sul tema del relativismo, cioè sul prevalere di una visione dell'uomo che non è più fondata sul riconoscimento ultimo della verità cristiana».
Le cifre (quelle ufficiali, diffuse dalla Santa Sede) parlano chiaro, fa notare Peloso: guardando all'ultimo quarto di secolo i sacerdoti in Europa sono diminuiti di oltre il 20%, ma è tutto l'Occidente a segnare un inarrestabile declino: a partire dal continente americano, dal Canada agli Stati uniti, dove una chiesa bastonata dallo scandalo dei sacerdoti pedofili vivacchia da qualche anno nel silenzio e nel torpore della stagnazione, dopo la pubblica gogna. Fino all'Australia, altro paese di cultura occidentale, dove pure si assiste a un forte calo delle vocazioni e quindi a una costante diminuzione del clero. Un fenomeno a cui va ad aggiungersi l'invecchiamento dei preti (di pari passo con l'andamento demografico), fra i quali gli ultrasessantenni la fanno ormai da padrone. Stesso trend tocca i «consacrati», cioè suore e frati appartenenti alle congregazioni religiose: nell'arco di tempo che va dal 1978 al 2004 gli uomini sono diminuiti del 27%, le donne del 22%. La preoccupazione c'è e si avverte sia nelle riflessioni e nei richiami che vengono dal Vaticano, sia nei documenti delle singole conferenze episcopali.
E' anche vero che la chiesa, per certi versi, sembra darsi la zappa sui piedi, insistendo su alcuni particolari - come il celibato sacerdotale- che non sono essenziali a quel tipo di vocazione ma sono solo prassi affermatesi con il passare dei secoli, non certo dogmi intangibili. Anche il «no» pervicacemente ribadito alla possibilità del sacerdozio femminile (ammesso dai cristiani protestanti) è un'altra componente che stride e contribuisce ad allontanare i giovani dalla possibilità scelta dell'ordinazione.
A dare pensiero è soprattutto l'eziologia della «malattia»: se calano i preti, se i giovani non hanno più voglia di farsi frati o suore, le ragioni profonde vanno cercate nella cultura, è vero, ma soprattutto nella famiglia: è quella la «culla» delle vocazioni, dell'educazione ai valori cristiani, che sta venendo meno, che sta crollando sotto i colpi inferti dalla secolarizzazione, dal progressivo sparire della fede (almeno di quella tradizionale) dall'orizzonte personale, comunitario, sociale. Se cede la famiglia, ancoraggio dei valori evangelici, terreno fertile in cui piantare il germe della fede, è naturale che i giovani non avvertano più il fascino di una vita donata nel celibato al ministero sacerdotale, un ministero «al servizio della comunità cristiana», un'opera di mediazione fra l'uomo e Dio. Anche figure che in passato hanno avuto un richiamo di eroismo, come i missionari, «sono divenute figure non più riconoscibili come intimamente proprie dalle società occidentali», nota Peloso, sostituite magari dalla possibilità, offerta a tanti, di assolvere il medesimo servizio all'umanità come volontari internazionali, operatori dello sviluppo, specialisti della cooperazione.
Per queste ragioni la battaglia di Benedetto XVI si è incentrata fortemente sulla difesa della famiglia, istituzione-baluardo in cui il papa riconosce il puntello per un possibile recupero dell'evangelo - e dunque degli «operai della messe» - nella società occidentale. Da qui la campagna senza quartiere contro la fecondazione assistita e contro le forme di riconoscimento delle unioni civili, soprattutto nel Bel Paese. Da qui il richiamo ai valori famigliari anche in occasioni in cui protagonista doveva essere la politica internazionale, come i messaggi al corpo diplomatico e il documento per la giornata mondiale della pace. I richiami, per ora, sembrano cadere nel vuoto. E papa Benedetto, da ieri ottantenne, si prepara, negli ultimi anni di pontificato, a governare la decadenza. Più che dell'alba, la sua sembra una chiesa del tramonto.
 

Mimmo de Cillis     il manifesto 20/4/2007