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I perche' dell'economia  del 2000

(Alcuni incontri svolti nell'anno 1999-2000)

 

Secondo incontro     Terzo incontro      

 

1. Introduzione al corso - Cos’è l’economia

a. etimologia.

Dal greco: oikos (casa) e nemein (ripartire, distribuire) = gestione degli affari della famiglia, specialmente in    riferimento a procurarsi e amministrare il reddito.

b. di cosa si occupa l'economia.

Una definizione (non l’unica!): l’economia è la scienza che studia come i singoli e la società scelgono di impiegare risorse scarse che potrebbero avere usi alternativi allo scopo di produrre vari tipi di beni e di distribuirli per il consumo, nel presente o nel futuro, tra gli individui e i gruppi della società  La macroeconomia adotta una visione “dall’alto” e si occupa dell’andamento del sistema economico nel suo insieme: della produzione, dell’inflazione, della disoccupazione, dei tassi di cambio, ecc.. La microeconomia adotta una visione “dal basso” e si occupa del comportamento di famiglie o imprese, di come viene determinato un prezzo in un certo mercato, ecc.

c. il metodo dell'economia.

L’economista studia i fenomeni attraverso un modello - ossia una rappresentazione semplificata - del funzionamento della realtà. Nelle prime opere di economia (ad esempio “La ricchezza delle nazioni” di Adam Smith del 1776) il modello è espresso completamente a parole senza ricorrere alla  matematica. A partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, quando l’economia è stata notevolmente influenzata dagli sviluppi delle scienze fisiche, i modelli economici hanno utilizzato sempre di più la matematica e la statistica.

 


2. Se il PIL aumenta stiamo tutti meglio? La differenza tra crescita economica e benessere.

Chi fa i conti dell’Italia

I dati ufficiali sulla situazione economica del nostro Paese sono prodotti dalla Contabilità Nazionale dell’Istat (Istituto Nazionale di Statistica). La contabilità nazionale produce moltissimi dati sull’andamento economico dell’Italia; il più noto è il PIL (Prodotto Interno Lordo). Nonostante la popolarità di cui gode, il PIL non viene sempre interpretato correttamente.

Lo scopo dell’incontro è:

capire che cos’è il PIL e, di conseguenza, anche cosa il PIL NON è.

 

Perchè un paese “si fa i conti”

Uno dei fattori fondamentali all’origine dello sviluppo dei moderni sistemi di contabilità nazionale fu il manifestarsi della necessità di una adeguata pianificazione della economia da parte dello stato all’epoca della Grande Depressione (fine anni ‘20). Successivamente, con la prima e la seconda guerra mondiale, i dati economico-statistici divennero essenziali per le valutazioni delle fonti di finanziamento e, al termine dei conflitti, per l’elaborazione di piani di ricostruzione, necessari per beneficiare dell’erogazione di aiuti, come avvenne nel caso del piano Marshall.

Un altro fattore determinante per lo sviluppo della Contabilità Nazionale fu l’affermazione di teorie economiche che assegnavano grande potenzialità all’intervento pubblico nella gestione economica e rafforzavano quindi la necessità di disporre di strumenti quantitativi per la programmazione.

Fin dall’inizio, proprio perché lo sviluppo dei conti era in parte legato ad esigenze che coinvolgevano vari paesi, come nel caso dell’erogazione dei fondi del piano Marshall, si è cercato di garantire l’uniformità dei conti a livello internazionale. Questa standardizzazione ha il vantaggio di rendere i numeri che i paesi producono confrontabili tra loro.

 

Cos’è il PIL e come si calcola

Cos’è. PIL significa Prodotto Interno Lordo (PIL). Il  PIL è la principale misura della produzione di beni e servizi di un paese.

Come si calcola  La produzione si compone di beni e servizi diversi, le cui quantità non possono essere sommate tra loro. Per questo si ricorre ai prezzi, che rendono confrontabile il valore (prezzo x quantità) di diversi prodotti.

Tuttavia, molti beni e servizi nel corso della produzione vengono “incorporati” in altri; ad esempio, la farina venduta ad un forno diventerà pane, e il valore del pane venduto dal forno comprenderà quello della farina che il forno ha comprato. Se sommassimo nel PIL il valore del pane E quello della farina conteremmo la farina due volte. Per evitare questo problema, nel calcolo del PIL al valore di ogni prodotto viene sottratto il valore dei beni e servizi utilizzati per produrlo. Nel nostro caso al valore del pane prodotto dal forno sarà sottratto il valore della farina acquistata[1].

 La differenza tra il valore dei beni e servizi finali - e cioè quelli acquistati dal consumatore (il pane) - e il valore dei beni e servizi intermedi - cioè che sono stati impiegati per produrre i beni finali (la farina) - si chiama valore aggiunto.

 

 

2. I perché dell'economia del 2000

Introduzione

Il secondo e terzo incontro affrontano alcune tematiche di quella parte della economia che va sotto il nome di economia internazionale. L’economia internazionale tratta due grandi temi:

Anche da un punto di vista storico è possibile distinguere tra una fase iniziale in cui il commercio ha riguardato soprattutto i beni e servizi e una fase più recente in cui il peso maggiore è dato dagli scambi riguardanti gli aspetti finanziari della economia.

Made in...? La logica del commercio internazionale

Alcuni dati rilevanti

Per misurare il peso del commercio internazionale nell’economia di uno o più paesi si utilizza in genere il rapporto tra il valore delle importazioni - o delle esportazioni - e il Prodotto Interno Lordo (PIL).

Dai due grafici allegati, che illustrano alcuni dati significativi sul commercio tra i paesi, possiamo dedurre che

  1. 1870 - 1950; a partire dal 1870 il commercio mondiale inizia a crescere rapidamente; tuttavia il fenomeno riguarda ancora prevalentemente l’Europa occidentale e si inverte in corrispondenza delle 2 guerre mondiali e della crisi del 1929;
  2. dal 1950 il commercio mondiale riprende a crescere e coinvolge anche gli USA ed altri paesi (che non compaiono nel grafico).

Questo sviluppo del commercio è avvenuto anche in presenza di politiche commerciali che limitano gli scambi internazionali.

Da un punto di vista economico, due interrogativi rilevanti sono:

1. perchè i paesi commerciano tra loro?

2. è opportuno limitare gli scambi commerciali?

Lo scopo dell’incontro è:

capire le risposte fornite dagli economisti a questi due interrogativi

 

 

1. Perchè i paesi commerciano tra loro?

I paesi sono diversi tra loro in termini di fattori che influenzano i costi di produzione: la qualità e quantità di risorse naturali, il livello di sviluppo tecnologico, il grado di qualificazione della forza lavoro. Produrre un bene in un paese o in un altro può richiedere dunque costi molto diversi. Al limite, esistono beni che possono essere prodotti SOLO in alcuni paesi, come nel caso del petrolio o di altre risorse del sottosuolo. In questa situazione l’autarchia non è economicamente vantaggiosa perchè ogni paese, oltre a dover rinunciare ai beni che non può produrre, è costretto a produrre in proprio anche quei beni per i quali ha costi di produzione elevati. Analogamente ai vantaggi della divisione del lavoro in ambito locale, la teoria economica afferma (e dimostra) che è vantaggioso per i paesi specializzarsi nella produzione di uno o più beni, che esporteranno, e importare gli altri beni di cui hanno bisogno.

In base a quali criteri un paese si specializza nella produzione di uno o più beni?

una prima risposta: il concetto di vantaggio ASSOLUTO

In una delle prime riflessioni sulle cause e gli effetti del commercio tra le nazioni, Adam Smith (nella "Ricchezza delle nazioni" del 1776) affermò che è vantaggioso produrre i beni nel paese che presenta i minori costi di produzione. Ad esempio, nel caso della tabella seguente, a parità di risorse impiegate, il bene 1 viene prodotto in modo più efficiente nel paese A (10 unità contro 3 sole unità prodotte dal paese B) mentre il bene 2 viene prodotto in modo più efficiente nel paese B (5 quintali contro i 2 del paese A).

 

Produzione ottenibile utilizzando X risorse (lavoro, capitale, ecc.)

PAESI

Bene 1= computer (unità)

Bene 2 = pomodori (quintali)

A

10

2

B

3

5

A ha un vantaggio assoluto nella produzione del bene 1 e si specializzerà nella produzione di computer, B ha un vantaggio assoluto nella produzione del bene 2 e si specializzerà nella produzione di pomodori.

In generale, secondo questa teoria, i paesi esportano beni che possono essere prodotti a costi più bassi all’interno che all’estero e importano i beni che vengono prodotti a costi minori all’estero rispetto all’interno.

un’altra risposta: il concetto di vantaggio COMPARATO

In realtà esistono situazioni in cui i paesi commerciano anche se uno di loro presenta dei vantaggi assoluti nella produzione di TUTTI i beni.

Questo fenomeno è spiegato dal concetto di vantaggio comparato, in base al quale i paesi si specializzano nella produzione di quel bene ( o quei beni) in cui sono più efficienti, non in assoluto ma relativamente agli altri beni che producono. Nell’esempio semplificato della tabella seguente, il paese A, a parità di risorse iniziali, produce più unità di B sia del bene 1 sia del bene 2 e il vantaggio di A è maggiore per il bene 1.

 

Produzione ottenibile utilizzando X risorse (lavoro, capitale, ecc.)

PAESI

Bene 1= computer (unità)

Bene 2 = scarpe (unità)

A

10

20

B

3

15

A ha un vantaggio comparato nella produzione del bene 1 e si specializzerà in computer, B ha un vantaggio comparato nella produzione del bene 2 e si specializzerà nella produzione di scarpe.

Il concetto di vantaggio comparato è stato originariamente introdotto da David Ricardo (in "Principi di politica economica e di tassazione", 1817) in riferimento alla sola risorsa "lavoro", e poi esteso (modificando anche alcune delle ipotesi del modello di Ricardo) ad un concetto più ampio di risorse che include il lavoro, il capitale, la terra e le risorse naturali. Con questa generalizzazione si arriva alla conclusione che ogni paese trae vantaggio a produrre e ad esportare i beni che utilizzano intensamente le risorse di cui il paese dispone in misura relativamente abbondante.

E’ dunque logico attendersi che i paesi più avanzati esportino prevalentemente beni ad elevata tecnologia e che richiedono manodopera qualificata (prodotti farmaceutici, chimici, ecc) e che i paesi in via di sviluppo esportino prevalentemente beni che richiedono molta manodopera e tecnologia semplice (scarpe, vestiti).

Il vantaggio comparato di un paese nell’uso di una certa risorsa dipende da due elementi: quanto si riesce a produrre con una data quantità della risorsa (produttività), e quanto costa l’uso della risorsa stessa. Un paese può dunque avere un vantaggio comparato nella produzione di beni che utilizzano una certa risorsa o perchè sono più produttivi di altri nell’utilizzarla, oppure perchè il costo della risorsa è più basso che in altri paesi.

In sintesi:

Nonostante le ampie differenze di impostazione degli studi che hanno affrontato questo argomento (vedi nota 1), le risposte che vengono date dalla teoria economica alla domanda 1 si possono sintetizzare nei seguenti punti:

1. I paesi commerciano tra di loro perchè ne traggono benefici in termini di maggiore produzione e maggiore consumo.

2. I benefici derivano soprattutto (ma non solo) dalla possibilità per ogni paese di esportare quei beni la cui produzione fa un uso relativamente ampio di risorse di cui il paese è più dotato e di importare beni la cui produzione fa un uso relativamente ampio di risorse di cui il paese è meno dotato.

Va inoltre osservato che il beneficio in questione riguarda il paese nel suo complesso e non necessariamente TUTTI i gruppi che compongono la società. Tra chi guadagna dal commercio figurano sicuramente le imprese produttrici di beni che risulta conveniente esportare, mentre le imprese produttrici di beni che risulta conveniente importare possono risultare svantaggiate rispetto alla situazione autarchica. A questo problema è necessario fare fronte atttraverso politiche opportune, ad esempio meccanismi per la riqualificazione edi lavoratori, che consentano la rapida transizione da un lavoro all’altro, e misure di redistribuzione del reddito.

 

2. E’ opportuno limitare gli scambi commerciali?

2.1 I principali strumenti della politica commerciale

a) tariffe o dazi: tasse sulla importazione di un bene.

Effetto: il prezzo del bene per il paese importatore aumenta

Lo scopo: aumentare le entrate dello Stato o proteggere alcuni settori industriali

b) barriere non tariffarie, ad esempio:

b1) contingentamento delle importazioni: vengono imposti limiti alla quantità di specifici prodotti che può essere importata;

b2) sussidi alle esportazioni

Effetto: i prezzi del paese che garantisce il sussidio diminuiscono

b3) imposizione di standard a tutela della salute, sicurezza e ambiente

b4) procedure doganali particolarmente complesse

Nella realtà questi strumenti vengono ancora usati dai paesi, mentre una situazione di "libero scambio" prevederebbe l’assenza di qualsiasi misura commerciale. Gli stati tendono a proteggere le industrie nazionali contro la concorrenza internazionale e dunque a fornire incentivi alle esportazioni imponendo limiti alle importazioni.

 

2.2 Limiti agli scambi: si o no?

Le argomentazioni della teoria economica contro l’uso di strumenti commerciali sono sia di tipo puramente economico sia di tipo politico.

Le argomentazioni di tipo economico sottolineano soprattutto l’effetto di distorsione nella produzione e nel consumo causato dalle barriere agli scambi. Per distorsione si intende un livello della produzione (più basso) e dei prezzi al consumo (più elevati) meno vantaggioso per il paese nel suo complesso di quello che si avrebbe in assenza delle barriere.

Le argomentazioni di tipo politico sottolineano come l’uso di strumenti commerciali sia spesso influenzato dal peso relativo dei diversi gruppi di interesse e va dunque solo a vantaggio di pochi.

Alcuni economisti, tuttavia, ammettono l’uso di strumenti commerciali. La loro tesi si basa sulla osservazione che generalmente le teorie economiche a favore del libero scambio ipotizzano che il mercato funzioni "perfettamente"; ciò significa, ad esempio, che i mercati del lavoro e del capitale sono in grado di assicurare - nel caso di mutamenti nella struttura produttiva - un trasferimento rapido verso i nuovi settori. Dato che nella realtà i mercati sono imperfetti sarebbe giustificato limitare gli scambi; in questo modo, anche se il commercio internazionale NON è la causa del problema, limitare gli scambi può fornire una soluzione, anche se parziale. A queste obiezioni viene risposto che le eventuali imperfezioni del mercato devono essere corrette da politiche interne specifiche che vadano alla fonte del problema e non da politiche commerciali che rischiano di non risolverlo.

In sintesi

In generale la teoria economica ha criticato il protezionismo e ha sottolineato invece i vantaggi di una maggiore apertura commerciale sia per i benefici derivanti dal commercio sia per il timore che le restrizioni commerciali siano mirate a difendere interessi di gruppi ristretti.

 

Un approfondimento: i costi del lavoro e i costi ambientali come elementi del vantaggio comparato dei paesi.

Tra le risorse che contribuiscono a determinare il vantaggio comparato dei paesi ve ne sono alcune sul cui uso il dibattito è sempre molto acceso: si tratta dei costi del lavoro e delle risorse ambientali. Qual’è la visione del problema da un punto di vista economico? E’ giusto utilizzare le misure commerciali per compensare le differenze esistenti tra i vari paesi nei costi del lavoro e nei costi ambientali?

Per quanto riguarda il costo del lavoro distinguiamo tra salari e costi derivanti dal rispetto dei diritti dei lavoratori.

Differenze salariali tra paesi uguale sfruttamento?

  • In economia le differenze salariali sono giustificate se riflettono differenze di produttività. Pertanto è possibile che i lavoratori di un paese ricevano salari molto più bassi che in altri paesi senza per questo essere sfruttati.
  • In presenza di commercio internazionale i salari dei paesi meno sviluppati risultano comunque più alti che in assenza di commercio.
  • NON ha nessun senso utilizzare la politica commerciale per imporre ai paesi di elevare i salari, distorcendo il loro vantaggio comparato nella produzione di alcuni beni.

I diritti dei lavoratori

  • Il rispetto di norme quali la libertà sindacale, la libertà di negoziazione collettiva, l’assenza di discriminazione sul lavoro NON ha un impatto significativo in termini di costi e anzi, determina guadagni di produttività.
  • Il commercio, generando crescita, determina una maggiore sensibilità dei paesi per i diritti dei lavoratori. I dati mostrano, ad esempio, che la stragrande maggioranza dello sfruttamento minorile (3/4 su un totale di 120 milioni) avviene nell’ambito dell’agricoltura di sussistenza.
  • Non è quindi giustificato l’uso, rivendicato da alcuni, degli strumenti commerciali come mezzo di pressione per il rispetto dei diritti dei lavoratori.

L’ambiente

La dotazione di risorse ambientali dei paesi varia così come variano le dotazioni di altri fattori. La dotazione ambientale dipende sia da elementi "naturali", sia da scelte di tipo "politico". Tra i fattori naturali ci sono la diversa localizzazione geografica di un paese e dunque il suo clima, la esposizione ai venti, il tipo di coste e di bacini, tutti fattori che influenzano la "capacità di assorbimento" dell’inquinamento. I fattori politici riguardano le misure messe in atto dai paesi per il controllo dell’inquinamento, sia nella forma di politiche nazionali sia nel contesto di accordi ambientali internazionali. Di fatto le misure di politica ambientale e i costi derivanti da esse variano in modo considerevole tra i diversi paesi.

Quando un paese è "dotato" di risorse ambientali, per fattori naturali o perchè ha bassi costi di protezione dell’ambiente, coerentemente con la logica del commercio internazionale si specializza nella produzione di beni che richiedono un maggior uso del fattore ambiente, ossia maggior prelievo di risorse naturali o maggior inquinamento. Ciò è perrfettamente accettabile in quanto:

  • è coerente con la teoria dei vantaggi comparati;
  • il grado di protezione ambientale adottato da un paese è una sua libera scelta specialmente nel caso di problemi di inquinamento locale;
  • non è dimostrato che esista un incentivo esplicito e derivante dalla liberalizzazione commerciale a ridurre gli standard ambientali;
  • anzi, l’aumento di ricchezza derivante dagli scambi determina in generale maggiori possibilità economiche per proteggere l’ambiente;
  • la difesa dell’ambiente può essere un fattore di competitività.

Quindi anche nel caso dell’ambiente NON è lecito imporre ai paesi il rispetto di alcuni standard attraverso l’uso di strumenti commerciali.

Inoltre, l’uso unilaterale di barriere commerciali può essere in contrasto con le norme del commercio internazionale. Uno dei casi più famosi è riportato nel box seguente.

Il conflitto tra Stati Uniti e Messico per il problema delle tecniche di pesca del tonno.

Gli Stati Uniti hanno introdotto, nell'ambito del Marine Mammal Protection Act del 1972, una norma che proibisce l'uso delle reti a sacco per la pesca dei tonni. Lo scopo è la protezione dei delfini, che, per ragioni biologiche non ancora chiare, tendono a nuotare al di sopra dei tonni e risultavano dunque vittime della pesca del tonno con le reti a sacco. Dal momento che il tipo di pesca in questione è caratteristico delle acque dell'Oceano Pacifico tropico-orientale, gli USA hanno ritenuto necessario e coerente con la misura introdotta a livello nazionale, impedire tutte le importazioni di tonno pescato nella zona, imponendo un embargo a cinque paesi: Ecuador, Messico, Venezuela, Panama e Vanuatu. Il Messico si è appellato al GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), sostenendo che l'embargo non rispettasse le regole del commercio internazionale. Il GATT ha condannato l'embargo, giudicato non "necessario", in quanto non era l'unica misura a disposizione per raggiungere l'obiettivo di protezione dei delfini. Opzioni alternative, secondo i giudici, potevano essere rappresentate da un accordo tra i paesi coinvolti oppure dall'introduzione di etichette ambientali per i prodotti derivati dal tonno - nazionali e importati - che identificassero il tonno pescato in modo conforme alle regole del Marine Mammal Protection Act. Gli USA hanno sostenuto di aver introdotto l'embargo soltanto in seguito al fallimento di numerosi tentativi di accordo multilaterale.

 

 

3. La tutela della concorrenza: teoria economica e strumenti pratici.

1.     TEORIA E POLITICA DELLA CONCORRENZA

1.1   Il paradigma della concorrenza perfetta

             - la teoria classica:

A. Smith il ruolo centrale del concetto di concorrenza: mezzo attraverso il quale l'interazione tra soggetti economici che perseguono il proprio interesse si realizza nel benessere comune (macellaio, mano invisibile); essenzialmente concetto di gara con concorrenza sul prezzo fino all'equilibrio

             - la teoria neoclassica:

Formalizzazione del concetto di concorrenza perfetta: imprese piccole e numerose, price takers (scheda di domanda orizzontale), il cui obiettivo è quello di massimizzare i profitti, in assenza di ogni comportamento strategico volto a migliorare la qualità dei prodotti o a superare i concorrenti (che è l'attuale idea di concorrenza); attenzione all'insieme minimo di condizioni necessarie a garantire il funzionamento del mercato:

Cournot ha dimostrato che se è presente sul mercato un numero infinitamente grande di imprese, nessuna di esse può influire sul prezzo attraverso variazioni dell'offerta, per cui è possibile il raggiungimento dell'equilibrio sui singoli mercati

             - la teoria del benessere

formalizzazione del concetto di concorrenza perfetta su tutti i mercati, teoria dell'equilibrio economico generale, nel contesto dell'economia del benessere

Primo teorema Fondamentale:

data la distribuzione iniziale delle risorse ed alcune ipotesi sulla natura dei beni, sulle informazioni disponibili, sul comportamento degli agenti e sulle tecnologie, la concorrenza perfetta implica una distribuzione finale delle risorse efficiente in senso Paretiano, cioè una distribuzione delle risorse scarse iniziali rispetto alla quale nessuno ha possibilità di migliorare il proprio stato senza far peggiorare lo stato di qualcun altro.

Ipotesi:

a) consumatori ed imprese razionali, preferenze e curva di utilità;

b) funzione di produzione con rendimenti di scala non crescenti, altrimenti le economie di scala inducono la formazione di monopoli naturali;

c) informazione perfetta dei consumatori sui beni scambiati;

d) informazione perfetta delle imprese anche sul futuro;

e) non ci sono beni pubblici;

f) non ci sono esternalità positive o negative

In presenza di situazioni tipo b)-f) si generano i cosiddetti market failure che il processo concorrenziale non è in gradi di risolvere in modo efficiente, per cui è necessario l'intervento del di azioni esterne al mercato (autoritative).

1.2   Principi di politica della concorrenza

       - le origini storiche della politica della concorrenza negli USA

Ascesa dei grandi monopoli dell'acciaio e del petrolio con forti effetti sulla distribuzione della ricchezza e sulla concentrazione del potere economico, non solo perdita di benessere da monopolio, ma sconfitta dell'ideale americano del piccolo imprenditore: con la normativa sulla concorrenza (Sherman Act del 1890) si tenta di ricondurre il sistema alle condizioni previste per l'operare della concorrenza con politiche adeguate (presenza sul mercato di un numero sufficientemente elevato di operatori senza posizioni dominanti, eliminazione di barriere all'entrata artificialmente create, diffusione dell'informazione, eliminazione della collusione e di pratiche predatorie sui prezzi, contenimento dei volumi di pese promozionali e pubblicitarie), invece in caso di esistenza di economie di scala, regolamentazione o nazionalizzazioni.

Tendenza a privilegiare un approccio normativo basato su relazioni di tipo struttura-condotta-performance: l'intervento normativo è finalizzato a conseguire configurazioni industriali efficienti. Infatti si spiega la performance di un'industria, cioè la sua prossimità ad una configurazione industriale efficiente, tramite la struttura della stessa, cioè la dimensione e la distribuzione delle imprese, la presenza di barriere all'entrata o all'uscita e l'elasticità della domanda, al quale, a sua volta influenza il comportamento delle imprese, cioè la loro funzione obiettivo: (p-ci)/p=(si/e)(1+li). Ci si allontana dalla concorrenza perfetta quanto maggiore è si, tanto più li è vicina a zero (collusione), tanto più bassa è l'elasticità della domanda. Allora attenzione agli indici di concentrazione industriale.

La disciplina antitrust nasce su queste basi: impedire la costituzione di cartelli, fusioni, integrazioni orizzontali e verticali tra imprese, esclusive territoriali, che possano ridurre il grado di concorrenza del mercato; insieme alla regolamentazione dei settori in cui si presentano economie di scala, soprattutto se si tratta di servizi pubblici.

             - concorrenza potenziale e mercati contendibili

Anni '70, dura critica all'approccio strutturalista ed alle politiche di concorrenza, poiché quello che conta è la concorrenza potenziale non quella effettiva: anche in presenza di un'impresa monopolista, in assenza di barriere all'entrata, ogni tentativo di fissare prezzi superiori al costo medio induce nuove imprese ad entrare sul mercato. Tutto questo ha però bisogno di tempo. Allora bisogna fare attenzione soprattutto alle condizioni di entrata e di uscita dai mercati: politiche di deregolamentazione dell'entrata con lo smantellamento dei vincoli istituzionali nell'industria del trasporto aereo americano hanno indotto risultati sorprendenti.

             - la New View e la politica della concorrenza:

L'economia presenta nella maggior parte dei casi condizioni di concorrenza imperfetta: formazione di barriere all'entrata, pratiche collusive, con conseguenti perdite di benessere ben maggiori di quelle misurate dal prezzo monopolistico. In effetti i mercati non sono contendibili, cioè le imprese non percepiscono una curva di domanda orizzontale, almeno a sinistra del proprio q

                                      barriere all'entrata

Un costo che deve essere sopportato dalle imprese che cercano di entrare su un mercato, ma non grava su quelle già presenti. La presenza di questo costo crea un'asimmetria tra le imprese incumbent e le potenziali entranti che ha effetti sul processo concorrenziale e pertanto sull'efficienza allocativa delle risorse. Secondo la tassonomia definita da Bain e Sylos negli anni '50 (vantaggi assoluti di costo, economie di scala, differenziazione di prodotto), arricchite seconda la teoria più recente dall'azione strategica delle imprese:

prezzi predatori, pre-empting e sovracapitalizzazione. Vale anche la credibilità dell'incumbent.

                      costi non recuperabili

la decisione di un'impresa di entrare su un nuovo mercato dipende dalle condizioni che prevarranno dopo il suo ingresso: se l'incumbent abbassa il prezzo sotto il costo medio e se i costi di entrata sono recuperabili, l'entrata è fortemente disincentivata. Anche costi di entrata limitati come le spese promozionali o pubblicitarie possono costituire un costo irrecuperabile disincentivante. Particolari sono i costi di R&S, soprattutto se si concretizzano con l'acquisizione di un brevetto. Un ridotto grado di appropriabilità dell'innovazione può però avere effetti perversi sullo sviluppo tecnologico, poiché le imprese sono disincentivate ad investire in R&S.

                      informazione imperfetta

Il calcolo dei costi di un'impresa da parte del regolatore può risultare molto complesso a causa dell'informazione imperfetta che esiste tra il produttore ed il controllore: allora la presenza di concorrenti può servire a questo scopo.

 

Oggi: uso maggiore di per se rules per evitare effetti perversi della concorrenza: eccesso di spese procedurali, riduzione del grado di innovazione, del learning by doing, del grado di cooperazione necessario allo sviluppo di attività molto costose.

 

2.     L'AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO

2.1   Ruolo istituzionale

Autorità amministrativa indipendente, aliena da forme di dirigismo pubblico, né influenzata dal potere politico. equidistanza da interessi sia pubblici sia privati.

Nomina dei componenti, come organo collegiale presieduto da un presidente, scelti tra persona di notoria indipendenza, designati dai Presidenti delle Camere. Il Presidente deve aver ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità, mentre i componenti devono mostrare adeguate garanzie di specifica ed elevata competenza.

Garanzia di autonomia: divieto di assunzione di qualsiasi incarico che diminuisca l'indipendenza; sette anni di mandato non rinnovabile;

Autonomia organizzativa;

Autonomia finanziaria nell'ambito di un fondo iscritto nello stato di previsione della spesa del Minind

2.2   Poteri dell'Autorità ed aree di intervento

Procedere d'Ufficio o su segnalazione di operatori o di organi istituzionali o di Governo su

intese, abusi, concentrazioni, indagini conoscitive o segnalazioni su atti normativi in vigore o in corso di attuazione (parere);

Aree: tutti i settori economici, escluso il credito (parere alla Banca d'Italia).

 

3.     GLI STRUMENTI PER LA TUTELA DELLA CONCORRENZA

3.1   Definizione di mercato rilevante

             - mercato del prodotto

Sostituibilità dal lato della domanda e dell'offerta

             - mercato geografico

Condizioni omogenee di domanda e offerta

 

La legge è rivolta alle imprese, intese come soggetti economici che agiscono sul mercato e che possono influenzarne i meccanismi concorrenziali: esteso fino ai professionisti e ad una serie di soggetti pubblici (Unire, FIV), nelle legislazioni dei paesi dell'Est si parla solo di soggetti economici

 

3.2   Intese

Corrispondenza quasi biunivoca tra art.85 e art.2 della 287/90;

Accordi tra imprese, decisioni di associazioni di imprese (cambio librario), pratiche concordate (non comportano atti scritti, anche taciti, ma va provato che ci sia effettivo coordinamento, latte);

per oggetto o per effetto di impedire restringere o falsare il libero gioco della concorrenza (vedi tariffario degli Spedizionieri, anche se non c'erano strumenti per imporne il rispetto);

in maniera consistente, nella CEE sono stati introdotti riferimenti quantitativi alle dimensioni dei mercati interessati, non ancora in Italia (anche solo l'1% del mercato nazionale, come per la birra in Germani);

fissare direttamente o indirettamente prezzi, gli accordi orizzontali sono normalmente lesivi

Orizzontale, tra operatori dello stesso livello di produzione; verticali, tra livelli di produzione diversi;

a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi, fissazione del cambio librario, indiretta; anche segnalazioni su leggi o listini;

b) limitazione degli sbocchi o accessi al mercato;

c) ripartire il mercato o delle fonti di approvvigionamento, distribuzione del cemento con ripartizione della clientela;

d) condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, di solito si tratta di sconti quantità, non discriminatori;

e) subordinare, interessanti quando imposti da imprese in pos. dominante, allora abuso.

Esenzioni, in base ai regolamenti per la CEE (franchising, distribuzione o acquisto esclusivi) se ci sono altri benefici per il funzionamento del mercato, per esempio non si può fissare il prezzo del franchisor ma solo consigliarlo. In Italia solo esenzioni ad hoc, per art.4, anche per rimozione di alcune clausole, o su comunicazione in base all'art.13.

Casi: Intese banche-assicurazioni, mercati della distribuzione assicurativa regionali, restrizioni nella durata e nelle clausole di esclusiva connesse alle posizione delle parti sui mercati locali; risultati: rimozione delle clausole di esclusiva e riduzione della durata. INA-Banca di Roma autorizzato ai sensi del 4 perché:

creazione di un nuovo canale distributivo che permette di veicolare prodotti assicurativi standardizzati con costi minori, integrandolo con l'offerta di servizi aggiuntivi. Clausole restrittive ritenute essenziali per l'ottenimento di risultati positivi del consolidamento del canale distributivo bancario (5 anni).

Intesa latte: solo fresco, provincia di Roma, Assobar obbligata a diffondere la delibera dell'Autorità.

 

 

3.3   Abusi di posizione dominante

Posizione dominante: dalla giurisprudenza comunitaria, "posizione di potenza economica detenuta da un'impresa, che conferisce alla stessa il potere di ostacolare il mantenimento di una concorrenza effettiva sul mercato di cui trattasi, fornendole la possibilità di comportamenti indipendenti in misura apprezzabile rispetto ai propri concorrenti, ai clienti nonché ai consumatori";

Di per sé la posizione dominante non è vietata, ma limitata nei comportamenti

Necessità di strumenti di analisi che consentono di valutare i comportamenti strategici delle imprese:

posizioni dominanti collettive e pratiche collusive, prezzi predatori, barriere all'entrata strategiche, amministrative o tecnologiche.

Nella legge assenza di qualsiasi riferimento a dati strutturali, ma attenzione alla tipologia di azioni e dei loro effetti;

elementi analizzati, quota di mercato e comportamenti collusivi, ruolo della concorrenza potenziale ed esistenza di eventuali barriere all'entrata.

 a) prezzi di acquisto o vendita o altre condizioni contrattuali eccessivamente onerose, deriva direttamente dalla teoria del monopolio che causa perdite di benessere, difficile da valutare;

b) limitazione agli sbocchi o accessi, a danno dei consumatori, tutti i comportamenti scorretti destinati a rafforzare la propria posizione rispetto a quella dei concorrenti, anche rifiuti di contrattare o altre forme di boicottaggio, più frequente nei casi di monopolisti;

c) discriminazione, bisogna sempre valutare rispetto a chi avviene la discriminazione, se si tratta dei consumatori finali non c'è restrizione della concorrenza;

d) tie in, cioè clausole leganti, abuso di rafforzamento e non di sfruttamento, per allargare il proprio potere ad aree contigue.

Manca l'esplicito riferimento a prezzi predatori, che possono costituire l'elevazione di barriere ed in generale rafforzamento rispetto ai concorrenti.

Casi: Ducati-Sip, posizione dominante nel mercato della distribuzione dei terminali radiomobili TACS, clausole di esclusiva finalizzate ad impedire l'accesso al mercato della distribuzione ad altri operatori. Rimozione delle clausole prima a fine istruttoria.

GSM, apertura alla concorrenza a fine istruttoria

 

3.4   Concentrazioni

Il controllo inizia nel 1990 anche per la Comunità ex Reg. 4064/89, in Italia artt. 5-6-7 legge 287/90;

in alcuni casi è stato forzato lo strumento degli artt.85-86 per perseguire concentrazioni;

Campo d'applicazione comunitario: almeno una con fatturato mondiale>5 mld di ECU e

fatturato comunitario di almeno 2>250 mil di ECU

salvo che ciascuna delle imprese realizzi almeno 2/3 del fatturato in un medesimo stato membro

Italia: insieme delle parti (acquirente ed acquisita fatturato >586 mld di lire oppure

acquisita con fatturato >58,6 mld di lire

Art. 16 obbligo di comunicazione, con sanzione per omessa comunicazione, vedi Cinema Cecchi Gori,

Art. 5 definizione di concentrazione, erano incluse anche le intragruppo

acquisizione diretta o indiretta del controllo

costituzione di una nuova impresa: impresa comune concentrativa o cooperativa, dal 1993 concentrativa anche se una delle due case madri resta sul mercato, per la teoria della leadership industriale, vedi Alitalia-Malev come concentrazione e non intesa.

Valutazione: costituzione o rafforzamento di una posizione dominante che riduca in modo durevole la concorrenza sul mercato rilevante

importanza della concorrenza potenziale e della contendibilità del mercato

anche criterio del salvataggio di impresa

Casi: Alitalia-Malev, FS-Sogin sì con condizioni

 

4.     DESCRIZIONE DI ALCUNI CASI:

4.1     La Concentranzione Parmalat-Eurolat

4.2     L’Intesa TIM-Omnitel

4.3     L’abuso da parte di Microsoft