Il Papa sfida l'Italia: Vuole lo stato etico e molti soldi alla scuola cattolica 

 

Curioso. Un presidente della Repubblica che parla del mondo, della pace, dell'Onu, del conflitto tra israeliani e palestinesi, delle ingiustizie e delle diseguaglianze che contribuiscono a scatenare tragedie sulla terra. E un papa invece che pronuncia la parola pace appena di sfuggita, come sinonimo di concordia interna al popolo italiano, e per il resto concentra il proprio discorso su una esplicita rivendicazione della difesa del matrimonio, il rifiuto dell'eutanasia, la tutela della vita dal concepimento, cioè il no all'aborto, e il sostegno statale alla scuola privata. In mezzo, larga più del Tevere che divide la sponda del Cupolone da quella del Quirinale, la questione della laicità dello Stato.

La prima visita di Benedetto XVI nel palazzo di Ciampi, che fu un tempo residenza dei papi, cade a pochi giorni dal referendum e a qualche settimana dalla successione al soglio di Pietro. Gli effetti si fanno sentire tutti. La familiarità dei gesti non fa velo alla sostanza dei discorsi e se entrambi i protagonisti parlano lungamente dei rapporti tra l'Italia e la Chiesa non è per ragioni di protocollo.

«Con orgoglio affermo - dice Ciampi nel suo saluto pubblico all'ospite - la laicità della Repubblica». Il Presidente invita Ratzinger alla finestra aperta sul panorama di Roma: di fronte c'è San Pietro, cioè «un altro stato» - sottolinea - «esempio tangibile di come si possono comporre in spirito di pace le controversie tra gli stati». La «concordia» tra le istituzioni pubbliche e la Chiesa - insiste Ciampi - è stata «consolidata» dalla «necessaria distinzione tra il credo religioso di ciascuno e la vita della comunità civile regolata dalle leggi».

Una laicità senza aggettivi né limiti, quella indicata dal Capo dello Stato. «Una sana laicità», replica Benedetto XVI. «Le realtà temporali - spiega il pontefice - si reggono secondo norme proprie, senza tuttavia escludere quei riferimenti etici che trovano il loro fondamento ultimo nella religione». Solo così la laicità è «dunque legittima».

"Sana" è l'aggettivo di quattro lettere che fa la differenza e segna la grande sfida che le gerarchie ecclesiastiche hanno lanciato in Italia e in Europa. Fare le leggi "come se Dio esistesse", ha scritto lo stesso Ratzinger nel suo ultimo libro da cardinale e ha raccolto subito il consenso del presidente del Senato Marcello Pera e di altri laici "cristianisti".

Anche sulle "radici cristiane" del nostro Paese e del continente europeo la convergenza tra il Papa e il Presidente appare più sfumata che in altre occasioni. Ratzinger raccomanda come sempre all'Italia di dare «un contributo validissimo all'Europa aiutandola a riscoprire le radici cristiane». Ciampi aggiunge che «il patrimonio della civiltà italiana» è «cristiano e umanistico» pur concordando sul fatto che esso costituisce anche «elemento unificante dell'identità europea». E se il Papa parla dell'Europa solo a questo proposito, il Presidente non perde l'occasione per ribadire che l'Unione europea «non è un'utopia» malgrado l'attuale «prova impegnativa».

Benedetto XVI giunge al Quirinale sull'auto scoperta. Già all'uscita dal Colonnato, confine tra il Vaticano e la Repubblica, lo accolgono il vicepremier Fini, il sottosegretario Gianni Letta, gli ambasciatori Vattani e Balboni Acqua. Ratzinger indossa occhiali da sole scuri, insoliti per un papa. A Piazza Venezia scende dalla vettura per salutare il sindaco di Roma Veltroni e le autorità cittadine. Scortato dai granatieri a cavallo, fa ingresso nel cortile d'onore del palazzo presidenziale onorato dallo schieramento militare e dalla banda della Guardia di finanza. Una lunga visita guidata alle bellezze artistiche e storiche del complesso, una preghiera nella Cappella Paolina, quindi il colloquio privato con Ciampi che dura oltre mezz'ora mentre gli stati maggiori della Santa sede e della Cei - Sodano, Ruini, Sandri, Lajolo, Romeo, Szoka - si incontrano nella Sala Napoleonica con Berlusconi, Fini, Pisanu e Letta.

Ruini è visibilmente soddisfatto. A pochi passi da lui, uno accanto all'altro, c'è il nuovo Papa che ha condiviso la linea vittoriosa dell'astensione al referendum sostenuta dai vescovi e il Presidente che invece si è fatto vedere al seggio già di prima mattina, un gesto che non ha fatto gioire gli ambienti curiali.

Nei giorni scorsi il cardinale Ruini ha condannato nuovamente qualsiasi ipotesi di riconoscimento delle coppie di fatto e in particolare delle unioni omosessuali. «Non basta chiamarle in altro modo. - aveva detto - se poi di fatto sono assimilate al matrimonio». Ora il discorso che Ratzinger rivolge a Ciampi sembra tratto quasi in blocco dai documenti della Cei.

Secondo il Papa ci sono alcune questioni che «per il loro carattere universalmente umano» non possono sfuggire alla «responsabilità» dei politici. Sono temi non nuovi per un pontefice. Anche Giovanni Paolo II ne aveva indicati alcuni, praticamente tutti, nella sua visita al presidente Scalfaro nel 1998 e nell'orazione al Parlamento italiano nel 2003. Stavolta però colpisce la stringatezza "rivendicativa" del discorso papale nei confronti dello Stato. L'elenco è infatti minuzioso. Al primo punto la «tutela della famiglia fondata sul matrimonio» come «valore importantissimo che deve essere difeso da ogni attacco mirante a minarne la solidità e a metterne in questione la stessa esistenza». Per Benedetto XVI la famiglia appartiene «alla volontà di Dio iscritta nella natura stessa della creatura umana» e la Chiesa lo sa perché è abituata a «scrutare» i segni divini nell'uomo. Si tratta appunto di quei valori "naturali" da cui non può prescindere una "sana laicità". Lo stesso vale per «il rispetto della vita umana, tanto nel suo inizio quanto nel suo termine». La messa in guardia da leggi che consentano forme di eutanasia è precisa. Ratzinger, infatti, anticipando le obiezioni, sostiene «la doverosità di adeguate cure palliative che rendano la morte più umana» pur di impedire la "buona morte". Ancora più "parlamentare" è il riferimento del Papa alla scuola, altro tema costante nelle posizioni della Cei.

Ratzinger «auspica» che «sia concretamente rispettato il diritto dei genitori ad una libera scelta educativa». In parole povere vuol dire che bisogna dare la possibilità di mandare i figli alle scuole private, confessionali o no. Il Papa non si ferma qui. Con una puntualità sorprendente aggiunge: «senza dover sopportare per questo l'onere aggiuntivo di ulteriori gravami». La traduzione è facile: lo Stato deve finanziare gli istituti privati.

 Sarebbero queste le «soluzioni umane» «rispettose dei valori inviolabili» che le istituzioni pubbliche devono garantire alla collettività. «L'autonomia della sfera temporale - sostiene Ratzinger - non esclude un'intima armonia con le esigenze superiori e complesse derivanti da una visione integrale dell'uomo e del suo eterno destino».

Ed è proprio questa invocata "armonia" tra l'etica pubblica e la morale derivante dal credo religioso a caratterizzare il suo modo di intendere i rapporti tra la Chiesa e lo Stato. Da un lato, infatti, Benedetto XVI assicura che «la Chiesa intende proseguire il suo cammino senza mire di potere e senza chiedere privilegi di vantaggio sociale ed economico». Non lo dice soltanto agli italiani, lo ha ripetuto in diverse occasioni agli ambasciatori e alle autorità di altri paesi e, del resto, questa è la sua prima visita ufficiale "all'estero". Ma l'indipendenza dei ruoli tra le autorità religiose e statali, nell'impostazione ratzingeriana ancora più nettamente che in Wojtyla, è compensata da un esplicito riconoscimento civile di alcuni valori religiosi quali fondamenti etici per le stesse leggi, in quanto ritenuti connaturati all'umanità.

 La signora Franca, moglie di Ciampi, scherza, vivace come sempre, con l'illustre ospite, non tralasciando nemmeno un apprezzamento per la giovane età del segretario papale Georg Gaenswein, il sacerdote tedesco che ha preso il posto di don Stanislao, l'immancabile custode di Karol Wojtyla. Questo appuntamento al Quirinale era stato programmato proprio da Giovanni Paolo II per il 29 aprile scorso. Il vecchio Papa non aveva ancora fatto visita a Ciampi nel suo palazzo. Del resto le puntate di un pontefice sul Colle, da quando c'è la Repubblica, sono state soltanto otto.

 

Fulvio Fania    Da Liberazione 25 giugno 2005

 

 

 

 

L'8 per mille «poco caritatevole» della chiesa 

Solo il 33% degli italiani firma per la Chiesa. Il resto è una sorta di premio di maggioranza. Della cifra complessiva, 320 milioni di euro vanno al sostentamento del clero, 180 milioni alla carità. Alla Cei per il 2004 sono andati 960 milioni di euro, grazie all'«astensione» degli italiani.  Solo il 20% va ad opere di bene. L'introito cresciuto di 160 milioni tra il 2001 e il 2002.

Più di 960 milioni di euro è il monte premi che la Chiesa ha incassato nel 2004 grazie al meccanismo di ripartizione dell'otto per mille. Un montepremi in costante aumento, ma che dedica agli interventi caritativi una quota inferiore al 20%. Una cifra che rappresenta il risultato delle scelte di quel 65% degli italiani che ogni anno lascia in bianco la casella dell’otto per mille. La “scelta non espressa”, infatti, non implica la destinazione diretta all’erario della quota Irpef, come sarebbe lecito aspettarsi in uno Stato laico. Al contrario, questi soldi finiscono in massima parte alla chiesa cattolica. Come questo sia possibile è la legge 222/85 a stabilirlo all’articolo 47: “In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti - recita il testo - la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse”.  Una specie di sistema elettorale proporzionale con un lauto premio di maggioranza, in cui la preferenza di tre votanti su dieci – la quota di astensione è salita in dieci anni dal 55 al 64% - decide anche per gli altri sette. Così facendo, nell’anno 2000 (redditi ’99) ultimo di cui si conosce l’esatta ripartizione percentuale dei fondi dato il ritardo nella produzione dei dati, la chiesa cattolica ottenne l’87% del totale: un assegno da 755 milioni di euro. A tutti gli altri, tranne lo Stato che partecipò alla torta per un marginale ma sostanzioso 10% andarono solo le briciole, anche in virtù degli accordi successivi alla legge che escludono le congregazioni minori dalla ripartizione delle preferenze inespresse. Ma questa non fu l’esatta volontà dei cittadini contribuenti. Non proprio almeno: solo ìl 38% di essi mise la propria firma nel riquadro, e ciò significa che solo il 33% dell'universo dei contribuenti lrpef scelse di devolvere i propri soldi alla Chiesa. Questa, a rigore di logica, avrebbe perciò dovuto ottenere 'solo' 287 milioni di euro. Gli altri 500 milioni sono il premio di maggioranza di due misere righe di testo di legge, la cui conoscenza meglio dovrebbe essere garantita.

Al contrario, a fronte delle 56 pagine di istruzioni per il solo modello 730, per ritrovare l'argomento «ripartizione» bisogna cercare una riga e mezza del secondo capoverso di pagina otto, senza peraltro che dal modello alle istruzioni ci sia alcuna nota che segnala l'inghippo. A completare l'universo fiscale sopra citato ci sono poi i lavoratori dipendenti, che godono di un bonus di scomodità nel far valere la propria intenzione. Questi, infatti, hanno sì la possibilità di esprimere la preferenza sull'otto per mille, ma per renderla valida devono compilare e spedire l’apposito tagliando contenuto nel Cud.

A beneficiare della complicazione sarà perciò sempre e comunque chi può contare sulla guida di una fede che muova la penna, cioè la Chiesa. A guardare la tendenza, infatti, si scopre che i 755 milioni stanziati nell'anno 2000 sono diventati 908 nel 2002, un miliardo di euro nel 2003, 936 milioni nel 2004, e quest'anno - resoconto dell'assemblea generale della Cei alla mano - la quota dovrebbe avvicinare nuovamente la soglia del miliardo di euro. Cifre a cui, in realtà, corrispondono spostamenti nelle scelte dell'ordine di uno o due punti percentuali, come ha sottolineato Paolo Naso, della Tavola Valdese, ricordando anche la differenza di trattamento per cui «la chiesa cattolica viene informata ogni anno della quota percepita, mentre a noi dicono adesso quello che ci spettava nel 2000». Una vera e propria miniera d'oro, quella gestita dai vescovi, che ha portato le casse della conferenza episcopale italiana a vantare un 'residuo' di 79 milioni di euro nell'esercizio 2003 e un totale di 936 milioni di euro del bilancio 2004, di cui solo 180 milioni però, destinati alle opere di carità. Niente di male, sia chiaro, nel sostenere la chiesa cattolica, ma, a voler entrare nello specifico, l'incremento dei fondi è a dir poco singolare. È l'opinione dei Radicali, che più volte hanno parlato di «sistema truffaldino». In particolare, è il passaggio fra il 2001 e il 2002 a destare l'attenzione maggiore, con un aumento dei fondi stanziati da 762 a 908 milioni di euro. Una maggiorazione vicina al 20% in un solo anno, difficilmente spiegabile, anche volendo sommare l'aumento del gettito fiscale all'effetto prodotto dalla riduzione delle firme.

Difficile avere conferma della posizione ufficiale, rappresentata dalla segretaria della commissione per l'otto per mille, la dottoressa Anna Nardini, secondo la quale «l'incremento si deve all'aumentato gettito Irpef», poichè i documenti amministrativi prodotti da questa commissione non sono pubblici. Dal marzo 2004 giace infatti inevasa una domanda di accesso presentata dai Radicali italiani, tuttora bloccata in attesa di sentenza del Tar di fronte al diniego del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Scettici sulla conclusione gli stessi Radicali, per voce di Marco Staderini, secondo il quale  «l'Avvocatura dello Stato ha ricevuto forti pressioni perché lavorasse ad un esito favorevole».

La soluzione migliore resta allora quella di prendere la calcolatrice e cercare di verificare se la concomitante diminuzione delle quote espresse e l'aumento tra queste delle preferenze alla chiesa cattolica sia un motivo sufficiente a giustificare gli aumenti. Ammesso che sia possibile riuscirci, per garantire la trasparenza del sistema sarebbe sufficiente apporre una firma.

 

Scheda: L’8 per mille – Le entrate della CEI (Dati in milioni di Euro)

 Anno                       1999  2000  2001  2002  2003  2004

 Anticipo Anno in corso 540    555   630    724    788   782

Conguaglio                 215    88     133   184    228   153

__________________

Totale                      755     643   763    908   1016  936

Fonti:
www.chiesacattolica.it
www.sovvenire.it

  

Bilancio CEI – Ripartizione fondi

Anno                                        2002              2003        2004

Sostentamento del Clero               308              329,5       319,5

Esigenze di culto                         425              422,5       437

Interventi caritativi                      175              185         180

Fonti:
www.chiesacattolica.it

 

Ritanna Armeni    Da Liberazione 29 giugno 2005

 

 

 

 

Trasparenza e libertà di scelta per evitare l'indifferenza
Lo Stato si presta a un inganno, il Vaticano commette peccato

 

 La Chiesa cattolica - si sa - ha usato l'indifferenza di molti italiani perché al referendum sulla fecondazione assistita vincesse l'astensione e non passassero le modifiche referendarie. Non è stato bello. La nostra morale, quella laica, quella che non ritiene che i mezzi debbano essere separati dai fini, avrebbe preferito una bella battaglia politica nella quale - visti i risultati - forse il no avrebbe vinto.

Adesso, nei giorni a ridosso della dichiarazione dei redditi, abbiamo di fronte un altro caso in cui la Chiesa cattolica usa il silenzio, l'indifferenza, per raggiungere i suoi scopi. Parliamo dell'8 per mille che ogni italiano ogni anno può devolvere per alle istituzioni religiose, fra cui la più importante in Italia è sicuramente la Chiesa cattolica o allo Stato. Questo giornale ha spiegato - spiega anche oggi - con grande precisione quello che molti moltissimi italiani non sanno e cioè che la Chiesa cattolica non riceve solo i soldi che i cittadini italiani decidono liberamente di affidargli, ma anche la maggior parte di quell'otto per mille dei cittadini che per indifferenza, incuria o ignoranza non esprimono alcuna opzione.

 Ecco, questo alla nostra morale laica, ancora una volta, non pare giusto. Parrebbe più giusto che alla Chiesa si desse quello che é della Chiesa e che i cittadini hanno scelto liberamente di dare. E allo Stato rimanesse il resto. E ci parrebbe giusto che lo Stato ci dicesse ogni anno in che modo ha speso questo denaro. Anzi che ci dicesse preventivamente come intende spenderlo in modo che i cittadini possono decidere liberamente se darglielo o meno.

 Invece no. Lo Stato "si presta" ad un inganno (espressione generosa e probabilmente non vera perché l'inganno è sapientemente organizzato da una legge precisa). Fa credere ai cittadini di poter scegliere e di lasciare in mano allo Stato ingenti somme di denaro, e poi passa queste somme nella grandissima parte alla Chiesa cattolica.

 Tutto questo non ci piace. E vorremmo che qualcuno si facesse carico del problema che solleviamo. In nome della nostra modesta morale laica, rispettosa della fede religiosa ma irremovibile su alcune questioni fondamentali, vorremmo che:

1. Che sui soldi dei contribuenti italiani ci fosse la massima trasparenza e quindi fosse chiaro che quello che va alla Chiesa va alla Chiesa e quello che allo Stato va allo Stato.

2. Che la Chiesa abbia la possibilità di ricevere tutti i soldi possibili, ma solo e in quanto le vengono liberamente dati dai cittadini.

3. Che ciascuno dei soggetti che riceve dai contribuenti queste risorse dica come intende spenderli e come li ha spesi.

Senza il rispetto di queste regole, o di altre consimili, siamo vicini ad una estorsione e ad un inganno che, sempre secondo la nostra modesta morale laica, andrebbe evitato. Se queste regole fossero rispettate guadagneremmo in consapevolezza e partecipazione dei cittadini. Quanto ai credenti e alla Chiesa, anche per loro non dovrebbe essere male convincere con le "opere" e con le "parole" che i soldi dati alla Chiesa cattolica sono quelli meglio utilizzati e meglio spesi. Usare le omissioni e usarle spregiudicatamente, secondo una vecchia preghiera cattolica, è peccato.

 

Fabio Amato  da L’Unità 26 giugno 2005