25 aprile Ma la storia non si cancella


Un senatore, persona assai vicina al presidente Berlusconi, poco prima del voto, ha dichiarato che si sarebbe adoperato perché, nei libri di storia, almeno in quelli a uso scolastico, il «mito» del 25 aprile, cioè della Liberazione, venisse opportunamente ridimensionato.
Non è il primo e, certamente, non sarà l’ultimo a manifestare questo proposito. Che equivale, esattamente, a voler ridimensionare il Risorgimento. Il Risorgimento non è un mito, ma un fatto, come lo sono la Resistenza e la Liberazione.
Gli eventi storici che portarono alla Resistenza sono così semplici da essere assolutamente incontrovertibili, non possono essere né revisionati (la Storia non è un’automobile alla quale rilasciare tagliandi di validità a scadenze stabilite) né ridimensionati. Dopo l’ignominiosa fuga del re e di Badoglio da Roma, gli italiani e le forze armate italiane furono abbandonate a se stesse e il nostro paese venne militarmente occupato dai soldati di Hitler. Allora furono in molti a ribellarsi a questa occupazione diventando partigiani, combattenti per liberare la Patria dallo straniero.
Si trovarono fianco a fianco comunisti, socialisti, cattolici, liberali, uomini del partito d’azione, ufficiali dell’esercito, graduati, soldati, senza partito, reduci dai vari fronti.
Fu un movimento del tutto spontaneo e popolare. Solo dopo, solo quando il fantoccio Mussolini creò la Repubblica di Salò, la guerra di Liberazione divenne anche lotta contro i repubblichini che avevano così entusiasticamente affiancato i nazisti, autori d'innumerevoli stragi contro la popolazione inerme.
Non si trattò di una guerra civile, come affermano alcuni storici, e se lo fu in parte questo avvenne come conseguenza dell’intervento dei fascisti. I partigiani hanno segnato una pagina gloriosa della nostra storia. Hanno permesso che l’Italia si riscattasse dalle colpe del fascismo, prime tra tutte le leggi razziali, e riacquistasse la sua dignità di nazione. Hanno fatto sì che nascesse uno Stato democratico, hanno fatto sì che si potesse scrivere una Costituzione alla stesura della quale hanno contribuito tutti i rappresentanti delle diverse volontà popolari.
Hanno fatto rinascere l’Italia. Che c’è da revisionare?

Andrea Camilleri

 


I loro obiettivi: 25 aprile e Costituzione



La libertà è come l’aria: ci si rende conto che è essenziale solo quando manca. Per questo l’anniversario della Liberazione deve essere solennemente celebrato, per non dimenticare mai ciò che avevamo perduto e per rinnovare la nostra gratitudine verso coloro che hanno combattuto per ridarcela. Legato a questo dono è il testamento lasciatoci dai nostri padri della Patria: la Costituzione, cioè le fondamenta della costruzione repubblicana, la casa ideale in cui da oltre mezzo secolo viviamo e che abbiamo il dovere di custodire con cura. Purtroppo in un periodo di grande sciatteria morale, intellettuale e culturale come quello che stiamo attraversando, non sempre si è in grado di coglierne il valore e la bellezza che l’accompagna soprattutto nella prima parte, quella dei principi fondamentali assolutamente intoccabili perché caratterizzano il nostro Stato (se, con un colpo di mano venissero alterati o modificati, cambierebbe il tipo di Stato). Se si leggono i lavori preparatori della Carta Costituzionale si resta sbalorditi dalla profondità di pensiero dei partecipanti, dalla loro onestà intellettuale, dalla capacità di ricercare un linguaggio forbito, ma chiaro, con una proprietà terminologica degna del migliore linguista. Pochi sanno che compiuta la stesura, il testo della Costituzione fu sottoposto all’esame di insigni linguisti, in modo che la Carta fondante il nostro ordinamento giuridico fosse non solo “buona”, ma “bella”.
Con l’incoscienza e la presunzione propria di chi non sa, alcuni improvvisati “restauratori” del passato hanno tentato in pochi, in breve tempo ed in anomalo spazio di modificare quest’opera grandiosa che è la nostra Costituzione, frutto del lavoro congiunto di 556 membri di altissima levatura intellettuale e culturale, con la collaborazione esterna delle università, dei giuristi, degli avvocati, rivelando una straordinaria capacità di conciliare posizioni ideologiche diverse, con la ferma volontà di dettare norme giuridiche sintetiche e facilmente comprensibili.
Non ogni articolo, ma ogni parola dei 139 articoli è pesata, analizzata e vagliata singolarmente e nel suo contesto globale perché possa garantire la massima rispondenza sociale e giuridica al comune intento. Sarebbe impossibile, per l’inadeguatezza di chi scrive e per ovvi motivi di spazio, fornirne un’ampia dimostrazione; è sufficiente richiamare sia pur velocemente i primi tre articoli. Art. 1: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Perché l’Italia anziché “lo Stato italiano”? Una differenza tutt’altro che casuale: si è voluto così sottolineare l’identità etnica e l’unità spirituale della nazione quale espressione e punto di arrivo del processo di unificazione che ha portato alla nascita della nazione italiana. Di qui la sua implicita indivisibilità dello Stato, che viene espressamente sancita dall’art. 5 la cui lettura non può essere disgiunta da quella del citato art. 1. Il termine “Stato” è riservato alla designazione della parte dell’ordinamento giuridico che attiene alla complessa struttura centrale dell’apparato a cui è riconosciuta personalità giuridica. Il termine “Repubblica” sta, invece ad indicare un concetto più vasto, lo “stato Comunità” che riguarda tutte le istituzioni pubbliche secondo il criterio pluralistico indicato poi dall’art. 5, quindi non solo gli organi centrali, ma anche quelli periferici in conformità al principio delle autonomie locali e dei servizi decentrati (per cui il nostro ordinamento è quello di uno “Stato composto”).
Art. 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Un articolo il cui altissimo valore morale (il richiamo ai principi del Vangelo è spontaneo) illumina come un faro dalla luce potentissima il porto a cui deve sempre dirigersi il cammino istituzionale e quello dei cittadini. I costituenti hanno voluto appositamente collegare l’aggettivo “inviolabile” dei diritti fondamentali dell’uomo con quello di “inderogabile” dei doveri perché, come è stato autorevolmente scritto «nessuna democrazia può riuscire vitale se non sia sussidiata da un saldo e diffuso spirito civico, da una virtus che alimenti la coscienza dei singoli e ne ispiri i comportamenti secondo un principio di solidarietà». Si badi bene: si parla di “uomo” non di “cittadino” e si richiamano i diritti al plurale tra i quali va certamente incluso anche quello di avere una vita dignitosa che possa consentire a chiunque di realizzare la propria personalità. Sui doveri a cui fa riferimento l’articolo dovremmo tutti fare un onesto e doloroso esame di coscienza, siamo ben lontani dall’esercitare una effettiva solidarietà che troppo spesso anziché concepirla come un preciso dovere di cittadini confondiamo con l’appagante gesto di carità.
L’art. 3 recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzioni. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza». È questo l’articolo più frequentato nelle nostre coscienze e nell’aula della Corte Costituzionale perché più numerose e gravi sono le sue infrazioni che avvengono quotidianamente e di cui siamo diretti ed indifferenti testimoni.
In un agile volumetto «La mia Costituzione» Oscar Luigi Scalfaro dà un’intervista toccante sulle fasi di preparazione della Carta, non mancando di far sentire tutto il suo spirito cristiano ed il suo profondo senso dello Stato e della politica. In un momento come quello attuale contrassegnato da una mancanza di valori, da un’incultura che rasenta e a volte supera la rozzezza, da una politica che ha perso il senso e lo spirito originario di buon governo della cosa pubblica, da un dissennata corsa verso i fuochi fatui del successo e del consumismo, la lettura attenta della nostra bella Costituzione nel suo anniversario può essere un segno di speranza per il futuro, un lenimento per la nostra disaffezione e delusione politica, mentre la sua difesa deve costituire un impegno primario per tutte le persone che ancora credono nell’uomo e vogliono che la politica sia fatta per lui e non viceversa.

 Giancarlo Ferrero
 

 

l’Unità 24.4.08